LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO Maria Giulia – Consigliere –
Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. R.G. 23957/2017 proposto da:
GIANNETTI srl in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Guido Ascenzi, con domicilio eletto in Roma, via Carlo Fea n. 6 presso lo studio del suo difensore;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle dogane e dei Monopoli, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
Agenzia delle entrate – Riscossione;
– intimata –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 2043/32/2017 del 27 gennaio 2017, depositata il 6 marzo 2017;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 aprile 2019 dal Consigliere Manzon Enrico.
RILEVATO
che:
Con sentenza n. 2043/32/2017 del 27 gennaio 2017, depositata il 6 marzo 2017 la Commissione tributaria regionale della Campania accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli, ufficio locale, avverso la sentenza n. 26735/20/2015 della Commissione tributaria provinciale di Napoli che aveva accolto i ricorsi proposti dalla Giannetti srl contro l’avviso di presa in carico e la cartella esattoriale per sanzioni IVA 2010.
La CTR osservava in particolare che, contrariamente a quanto opinato dalla CTP, dovevasi ritenere ritualmente perfezionata la notificazione degli atti impositivi prodromici di quelli impugnati, sicchè quest’ultimi non potevano essere impugnati se non per vizi propri e non dei primi.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo un motivo unico.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle dogane e dei monopoli. Non ha spiegato difese l’intimata Agenzia delle entrate – Riscossione. La ricorrente successivamente ha depositato una memoria.
CONSIDERATO
che:
Con l’unico motivo dedotto – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la ricorrente si duole della violazione del D.L. n. 78 del 2010, art. 29, comma 1, del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 24, comma 1, poichè la CTR ha affermato la ritualità della notificazione dell’avviso di accertamento prodromico agli atti della riscossione impugnati.
La censura è inammissibile per più profili.
In primo luogo deve notarsi che la critica che la ricorrente muove alla sentenza impugnata è imperniata su due profili, l’uno, di fatto, concernente l’effettivo contenuto della raccomandata con la quale, secondo l’agenzia fiscale, le sono stati comunicati gli atti di accertamento e contestazione di sanzioni prodromici alla cartella esattoriale, l’altro, procedurale, relativo alla tempestività delle produzioni documentali dell’agenzia fiscale in primo e secondo grado.
Trattasi di questioni non specificamente esaminate dal giudice tributario di appello, che tuttavia la ricorrente non precisa se e come sono state devolute alla cognizione del giudice stesso.
Di qui il primo profilo di inammissibilità, per difetto di specificità del motivo di ricorso.
Per altro verso deve poi anche ribadirsi che “In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione” (ex multis Cass., n. 26110 del 2015).
Con il mezzo in esame la ricorrente maschera la doglianza come “violazione di legge”, ma in realtà critica la valutazione che il giudice tributario di appello ha espresso – nel merito – sulla sua eccezione di nullità della notifica di detto atto impositivo, il che appunto rende il mezzo stesso inammissibile.
Va precisato che la CTR ha accertato in fatto e sulla base delle prove documentali dimesse in giudizio dall’agenzia fiscale e dall’Agente della riscossione che la procedura notificatoria de qua, esattamente riguardante gli atti impositivi prodromici a quelli riscossivi oggetto del presente processo, si è perfezionata ai sensi delle previsioni di cui all’art. 140 c.p.c., trattandosi di un caso di c.d. “irreperibilità relativa” del destinatario della notifica, constatando specificamente la ricezione della “raccomandata informativa” da parte della società contribuente.
Il giudice tributario di appello ha perciò rilevato la definitività di detti atti impositivi e quindi l’infondatezza (inammissibilità) dei ricorsi originari della Giannetti srl.
Questo accertamento di merito avrebbe potuto essere sindacato in sede di legittimità solo attraverso la denuncia dell’omesso esame di un fatto controverso e decisivo che, se valutato dal giudice, avrebbe condotto ad un diverso esito della decisione.
Infine va in ogni caso rilevata l’infondatezza della censura nel profilo riguardante l’asserita tardività delle produzioni documentali dell’agenzia fiscale.
Va infatti ribadito che “In tema di contenzioso tributario, il giudice d’appello può fondare la propria decisione sui documenti tardivamente prodotti in primo grado, purchè acquisiti al fascicolo processuale in quanto tempestivamente e ritualmente prodotti in sede di gravame entro il termine perentorio di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 32,comma 1, di venti giorni liberi prima dell’udienza, applicabile in secondo grado stante il richiamo, operato dal citato decreto, art. 61, alle norme relative al giudizio di primo grado” (Cass., Sentenza n. 3661 del 24/02/2015, Rv. 634467 – 01).
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.300 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 17 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2019