LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –
Dott. TRIA Lucia – Consigliere –
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 25286/2014 proposto da:
Mondo Auto Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Zanghì Antonino, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Comune di Palermo, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Ezio Tomassello, Avvocatura Comunale di Palermo, giusta procura in calce al ricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 645/2012 del TRIBUNALE di PALERMO, depositata il 10/02/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/03/2019 da Dott. PARISE CLOTILDE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO IMMACOLATA, che ha concluso per il rigetto.
FATTI DI CAUSA
1.Con sentenza n. 645/2012 pubblicata il 10-2-2012 il Tribunale di Palermo rigettava l’opposizione proposta da Mondo Auto s.r.l. avverso l’ingiunzione di pagamento emessa ai sensi del R.D. 14 aprile 1910, n. 639, art. 1 dal Comune di Palermo ed avente ad oggetto l’indennità di occupazione di un’area di proprietà del suddetto Comune in relazione al periodo dall’1-1-1995 al 30-9-2002. Il Tribunale riteneva che i provvedimenti concessori del 15-6-1991 e del 13-91991, nonchè l’autorizzazione dell’assessore comunale n. 942 del 27-2-1992 non potessero attribuire alla Mondo Auto s.r.l. il diritto ad occupare sine die ed a titolo gratuito l’area di *****, per adibirla ad esposizione di autovetture. Osservava il Tribunale che difettava la dimostrazione della capacità rappresentativa dell’ente pubblico in capo al funzionario ed all’assessore che adottarono i suindicati provvedimenti ed in ogni caso questi ultimi avevano carattere precario, in quanto temporalmente circoscritti e con previsione espressa di onere di restituzione entro tre giorni, a semplice richiesta dell’Ente.
2. Con ordinanza emessa ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c. e depositata il 19 luglio 2013 la Corte d’appello di Palermo dichiarava inammissibile l’appello proposto dalla Mondo Auto s.r.l..
3. La sentenza del Tribunale di Palermo è impugnata dalla Mondo Auto s.r.l. con ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Resiste con controricorso il Comune di Palermo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4. Con il primo motivo la società ricorrente lamenta violazione del R.D. 14 aprile 1910, n. 639, artt. 1 e ss. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Ad avviso della ricorrente il procedimento speciale di cui al citato R.D. può essere utilizzato dalle Amministrazioni Pubbliche nei soli casi in cui il credito vantato sia certo, liquido ed esigibile. Poichè nella fattispecie concreta non sussistevano tali presupposti, tanto che il Tribunale aveva disposto CTU per la determinazione del credito, l’ingiunzione di pagamento deve ritenersi inammissibile.
5. Con il secondo motivo la società ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la ricorrente che il Comune di Palermo non ha dimostrato in virtù di quale atto o provvedimento avrebbero dovuto ritenersi invalidi i tre provvedimenti autorizzatori del 15-6-1991, del 13-9-1991, e n. 942 del 27-2-1992, non revocati, nè annullati in autotutela, nè impugnati dinanzi al Giudice amministrativo. L’error in iudicando in cui è incorso il Tribunale ha altresì determinato, secondo la prospettazione della ricorrente, l’errata affermazione circa la non gratuità dell’utilizzazione concessa.
6. Con il terzo motivo la società ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sotto un ulteriore profilo. Assume che il Comune di Palermo non abbia fornito la dimostrazione, sullo stesso incombente, del danno subito in conseguenza dell’occupazione abusiva. Il credito era stato determinato esclusivamente mediante CTU e il Tribunale ha così, illegittimamente, supplito alla carenza probatoria imputabile al Comune, parte avente posizione sostanziale di attore nel procedimento di opposizione all’ingiunzione di pagamento.
7. Il primo motivo è inammissibile.
7.1. Secondo costante orientamento di questa Corte, a cui si intende dare continuità, l’ingiunzione emessa ai sensi del R.D. 639/1910 deve ritenersi “sopravvissuta” nella sua componente di atto di accertamento della pretesa erariale, idoneo a dar vita ad un giudizio di legittimità della pretesa, al disposto di cui al D.P.R. n. 43 del 1988, art. 130, comma 2 che ha disposto l’abrogazione delle sole previgenti disposizioni in materia di riscossione e non anche quelle in materia di accertamento. Pertanto l’ingiunzione, inidonea per se stessa, in quanto emanata dopo l’entrata in vigore del D.P.R. n. 43 del 1988, ad attivare il procedimento di riscossione a mezzo ruoli, si sostanzia pur sempre in un invito al pagamento di quanto dovuto, in ordine al quale la notifica a mezzo posta deve ritenersi strumento idoneo al fine di portare il contribuente a conoscenza della pretesa erariale e di consentirgli la piena tutela del diritto di difesa anche in sede giudiziaria (così le pronunce 10923/2003, 17612/04 e da ultimo Cass.2355/2019). L’ingiunzione, perduta la funzione di precetto e di titolo esecutivo azionabile in forme diverse dalla procedura di riscossione a mezzo ruolo tramite il concessionario non essendo più consentito avvalersi della procedura regolata dagli artt. 5 e seguenti del decreto del 1910, che dalle modalità di formazione ed esecuzione del ruolo prescindeva -, ha conservato la residuale funzione di atto impositivo con efficacia accertativa della pretesa erariale, come tale idoneo ad introdurre un giudizio sulla debenza dell’imposta. Nel giudizio di opposizione all’ingiunzione, l’Amministrazione, che sul piano dell’onere probatorio assume la posizione di attore in senso sostanziale, ove ne chieda la conferma, avanza una domanda consistente nel veder riconosciuto in tutto o in parte il diritto di recupero così azionato, sicchè la cognizione del giudice non può limitarsi alla verifica dei presupposti formali di validità dell’atto impositivo, ma deve estendersi al merito della pretesa erariale in esso espressa, sulla cui fondatezza è comunque tenuto a statuire, anche a prescindere da una specifica richiesta in tal senso, e sulla base degli elementi di prova addotti dall’ente creditore e contrastati dal soggetto ingiunto (così le pronunce 19194/2006, 14812/2010, 22792/2011 e da ultimo Cass.2355/2019).
7.2. Il Tribunale si è attenuto ai suddetti principi di diritto e la censura della ricorrente, così come prospettata con il primo motivo, finalizzato ad ottenere una pronuncia sui presupposti formali dell’ingiunzione di pagamento, è inammissibile per difetto di interesse, stante l’obbligo del giudice di estendere la cognizione al merito della pretesa erariale azionata.
8. I motivi secondo e terzo, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono parimenti inammissibili.
8.1. La violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità non in riferimento all’apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito, ma solo sotto due profili: qualora il medesimo, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza; ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale (Cass.4699/2018). Inoltre la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. n. 26769/2018).
8.2. Le doglianze espresse dalla ricorrente non concernono specificatamente i profili sopra indicati, ma si risolvono, in buona sostanza, in una inammissibile richiesta di rivalutazione degli elementi di convincimento posti dal Tribunale a base della decisione. Segnatamente, i provvedimenti autorizzatori, la cui applicazione è invocata dalla ricorrente per sostenere la concessione in suo favore di utilizzo sine die dell’area di proprietà del Comune di Palermo, sono stati interpretati dal Tribunale secondo il loro contenuto letterale, valorizzando, peraltro, la carenza del potere rappresentativo del funzionario e dell’assessore che adottarono i suindicati provvedimenti. Quanto alla prova del danno, il cui onere incombe al Comune (Cass.9989-2016), la C.T.U. è stata espletata solo per verificare la congruità dell’indennità di occupazione pretesa. Il Tribunale, in base ai parametri dettati per il computo della tassa di occupazione di suolo pubblico – TOSAP -, pur scomputando quanto dovuto per il periodo ritenuto prescritto (1-1-1995/15-5-1995), ha dato atto che, in base a quei parametri – non messi in discussione da Mondo Auto -, risultava dovuta una somma superiore a quella pretesa dal Comune e pertanto ha rigettato l’opposizione, rilevando che la somma ingiunta e il credito azionato sono inferiori a quello accertato mediante C.T.U..
9. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
10. Si dà atto – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la società ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro3.500 per compensi, oltre a Euro200 per esborsi, spese generali (15%) e oneri di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 5 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 29 maggio 2019
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