LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N. R.G. 7858/15) proposto da:
F.L., (C.F.: *****), rappresentato e difeso, in forza di procura speciale del ricorso, dagli Avv.ti Raffaele De Luna e Fernando Bonelli ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo, in Roma, Piazzale Clodio, n. 56;
– ricorrente principale –
e EUROSPIN LAZIO S.P.A., (P.I.: *****), in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv. Maria Saracino ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Roma, v. Appia Nuova, n. 251;
– ricorrente incidentale –
contro
G.L., (C.F.: *****) e M.G. (C.F.: *****), rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv. Roberto Bottacchiari ed elettivamente domiciliari presso il suo studio, in Roma, via Oslavia, n. 28;
– controricorrenti –
e Avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 5446/2014, depositata il 9 settembre 2014 (non notificata).
RILEVATO IN FATTO
1. G.L. e M.G. convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, la soc. Eurospin Lazio e F.L. per sentir dichiarare la nullità, per violazione del divieto di patto commissorio, dei tre contratti di compravendita immobiliare conclusi in data 23 ottobre 2002, a rogito del notaio P.G., e di tutti gli altri atti, antecedenti o successivi, comunque connessi con le predette vendite, e, in ogni caso, dei contratti di comodato dei medesimi immobili stipulati in pari data con il F. (legale rappresentante dell’anzidetta società), nonchè per sentir condannare gli stessi convenuti, a titolo di risarcimento danni, al rimborso di tutte le spese relative alle formalità necessarie per le annotazioni, iscrizioni e cancellazioni nei RR.II. dell’atto di citazione e della emananda sentenza.
Nella costituzione di entrambe le parti convenute, che resistevano alla domanda, ed in più il F. proponeva domanda riconvenzionale di accertamento della simulazione dei tre dedotti contratti di compravendita (sul presupposto che, in effetti, i relativi proventi, lungi dal celare un apposito scopo di garanzia, erano destinati all’estinzione dei debiti di altre due società interamente possedute dagli alienanti), l’adito Tribunale – con sentenza n. 4171/2007 – rigettava la domanda principale ed accoglieva quella riconvenzionale formulata dal F..
2. Interposto appello da parte degli originari attori e nella costituzione di entrambi gli appellati, la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 5446/2014, accoglieva, per quanto di ragione, il gravame e, ritenuti configuratisi nella fattispecie i presupposti per la violazione del divieto di patto commissorio, dichiarava la nullità dei contratti di compravendita dedotti in giudizio, rigettando, tuttavia, la domanda risarcitoria, con la conseguente condanna della parti appellate alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
3. Avverso la sentenza di secondo grado hanno proposto – in via successiva ricorsi autonomi (ma convergenti) per cassazione il F.L. e la s.p.a. Eurospin Lazio, ai quali hanno resistito con un unico controricorso gli intimati G.L. e M.G..
I difensori del F.L. e della s.p.a. Eurospin Lazio hanno anche depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con i primi tre motivi di ricorso proposti nell’interesse del F. sono state, rispettivamente, dedotte – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione dell’art. 342 c.p.c., dell’art. 345 e dell’art. 112 c.p.c., avuto, corrispondentemente, riguardo ad un’assunta sussistenza del mancato rispetto – con l’atto di appello – del necessario requisito di specificità dei motivi ed ad un’asserita duplice violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato con riferimento al complessivo “petitum” dedotto in citazione dagli appellanti.
1.1. Con il quarto motivo avanzato nell’interesse del F. risulta denunciato sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione o falsa applicazione degli artt. 2744 e 1273 c.c., nonchè degli artt. 1470 e 1362 c.c., oltre che il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa più fatti controversi e decisivi per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il tutto con riguardo alla ritenuta configurazione, nella sentenza di appello, di tutte le condizioni per la prospettata violazione del divieto di patto commissorio.
2. La s.p.a. Eurospin Lazio – nel costituirsi con controricorso – ha con esso proposto quattro motivi coincidenti con quelli del ricorso del ricorrente principale F.L. e, quindi, esso sarebbe da qualificare come ricorso successivo, assumente la connotazione formale di ricorso incidentale, con l’applicazione di tutte le conseguenze di legge in punto ammissibilità, avuto riguardo ai termini previsti dall’art. 371 c.p.c., tenendosi conto che il ricorso del F. è stato a detta società notificato il 16 marzo 2015, mentre la stessa si è costituita con controricorso spedito e notificato alle altre parti il 24 aprile 2015. Tuttavia, il collegio rileva che una questione di tempestività – e, quindi, di ammissibilità – in rapporto al citato art. 371 c.p.c. e sulla possibile configurazione dello stesso ricorso come ricorso incidentale tardivo (attratto dalla disciplina di cui all’art. 334 c.p.c.) non si pone nel caso in esame. Infatti, per come esso è strutturato e valorizzando il suo contenuto, l’atto di costituzione dell’Eurospin Lazio s.p.a. non può valere come ricorso incidentale ma solo come controricorso adesivo al ricorso principale (corrispondentemente alla stessa prospettazione di detta società risultante dalle pagg. 7-8 dell’atto di costituzione), tanto è vero che, con il medesimo, ci si limita a chiedere il solo accoglimento del formulato ricorso principale ad opera del F. (v. conclusione a pag. 22 dello stesso atto di costituzione), senza contenere la denuncia di censure da ritenersi proposte in via autonoma.
Così qualificato, l’atto di costituzione dell’Eurospin Lazio deve ritenersi tempestivo in relazione al disposto dell’art. 370 c.p.c..
Del resto la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 7564/2006 e, da ultimo, Cass. n. 10329/2016) ha, sul piano generale, statuito che, in tema di giudizio di cassazione, quando con il controricorso il litisconsorte si sia limitato ad aderire alla richiesta del ricorrente principale senza formulare una propria domanda di annullamento, totale o parziale della decisione sfavorevole, si è in presenza di una semplice costituzione in giudizio processualmente valida, anche se subordinata alla sorte dell’impugnazione principale, non essendo al riguardo necessaria la proposizione di un ricorso incidentale, con la conseguenza che l’atto di costituzione deve ritenersi a tutti gli effetti come un mero controricorso.
Infatti, l’interpretazione estensiva dell’art. 370 c.p.c. – secondo cui la facoltà di “contraddire” da parte di chi abbia ricevuto la notifica del ricorso non implica necessariamente l’assunzione di una posizione contrastante con quella dell’impugnante, ma comprende anche l’ipotesi di adesione, parziale o totale, alle relative richieste – si pone in sintonia con il principio dell’art. 24 Cost., comma 2, che garantisce l’esercizio della facoltà di difesa in ogni stato e grado del giudizio, altrimenti negandosi alla parte portatrice di un interesse convergente o analogo a quello dell’impugnante, che non abbia a sua volta ritenuto di proporre una propria impugnazione, di costituirsi nel giudizio di legittimità e rendere note le proprie posizioni.
3. Chiarito questo aspetto pregiudiziale, si può ora passare all’esame dei motivi del ricorso, analoghi – come detto – a quelli addotti a fondamento dell’atto di costituzione dell’Eurospin Lazio s.p.a. (equivalente, perciò, ad un controricorso), da intendersi perciò formulati in senso adesivo a quelli avanzati nell’interesse del F.L..
3.1. I primi tre motivi, siccome tra loro connessi ed attinenti tutti a questioni processuali, possono essere valutati unitariamente.
Essi sono infondati e devono, quindi, essere rigettati.
In primo luogo non sussiste la prospettata violazione dell’art. 342 c.p.c., dal momento che, per quanto emergente dalla stessa sentenza di appello e dal contenuto del gravame proposto dai sigg. G.L. e M.G. (oltre che dalle loro specifiche conclusioni: v. pag. 11 del loro controricorso), i motivi dedotto con l’atto di appello contenevano, in modo certamente sufficientemente specifico, l’esplicazione dei motivi posti a fondamento dell’impugnazione (e delle relative argomentazioni di supporto) per i quali era stata chiesta la riforma della sentenza di primo grado.
In tal senso, pur applicandosi “ratione temporis” l’antecedente testo dell’art. 342 c.p.c. (poi modificato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. Oa), convertito, con modif., dalla L. n. 134 del 2012), deve ritenersi che l’impostazione del predetto atto di appello era sicuramente rispondente ai principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, ai fini della validità dell’appello, pur non essendo sufficiente che l’atto di gravame consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate e i limiti dell’impugnazione, è necessario, anche quando la sentenza di primo grado sia stata censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità, da correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata, con la conseguenza che se, da un lato, il grado di specificità dei motivi non può essere stabilito in via generale ed assoluta, dall’altro lato esso esige pur sempre che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico – giuridico delle prime (cfr. Cass. SU n. 16/2000 e, da ultimo, Cass. n. 22781/2014; del resto tale principio è stato normativamente recepito nel nuovo disposto del n. 2) del comma 1 del successivo testo dell’art. 342 c.p.c., che è stato interpretato negli stessi sensi precedenti dalla sentenza delle SU n. 27199/2017).
Con riferimento, poi, alle denunciate violazioni (dedotte con il secondo ed il terzo motivo) ricondotte all’art. 112 c.p.c.deve affermarsi che la Corte di appello non si è affatto pronunciata “ultra petita”, avendo essa deciso su tutte le domande degli appellanti e su tutti i contratti dedotti in giudizio, sia successivi che, in ogni caso, connessi, avuto riguardo alla complessità delle operazioni commerciali intercorse tra le parti ed adeguatamente ricostruite, in virtù di una motivazione logica ed esauriente, dalla stessa Corte territoriale con l’esame complessivo della materia del contendere così come evincibile dai plurimi rapporti intercorsi tra le parti.
In altri termini, la sentenza di appello risulta pienamente calibrata, nella sua complessiva articolazione, sui motivi degli appellanti (riferiti alle domande proposte con l’atto introduttivo del giudizio) riferiti alla confutazione della pronuncia di primo grado ed implicanti la valutazione del complesso negoziale posto in essere dalle parti (costituito da una scrittura privata “di raccordo”, da cessioni di partecipazioni sociali, da compravendite immobiliari caratterizzate da particolari condizioni, tra le quali la possibile retrocessione, nonchè da contratti di mutuo, tutti tra loro avvinti da un vincolo funzionale), con predisposizione dell’assetto negoziale da parte del F. e dell’Eurospin Lazio, con l’interposizione del legale rappresentante di quest’ultima, coincidente con lo stesso F.L..
3.2. Il quarto motivo – che attiene propriamente al merito dell’asserita violazione dell’art. 2744 c.c. (in relazione agli artt. 1273,1470 e 1362 c.c.) e che è stato dedotto sotto il doppio profilo della violazione di legge e dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (circa più fatti controversi e decisivi per il giudizio) – è anch’esso immeritevole di accoglimento.
Più precisamente, la censura riguardante la dedotta violazione di legge è propriamente infondata nel mentre quella ricondotta al vizio di motivazione nei termini in cui è stata prospettata – è da dichiarare inammissibile.
Quanto a quest’ultimo si evidenzia come sia ormai risaputo che, intorno alla portata del nuovo n. 5 dell’art. 360 c.p.c., la giurisprudenza di questa Corte è consolidata (v. Cass. S.U. nn. 8053-8054/2014 e, da ultimo, Cass. n. 23940/2017) nell’affermare che, in seguito alla riformulazione di detta disposizione normativa, come intervenuta per effetto del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, poichè il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia.
Essendo, nel caso di specie, rimasta esclusa una delle richiamate evenienze, la censura attinente al vizio motivazionale è da qualificarsi inammissibile.
Quanto alla denunciata violazione di legge – e, specificamente, con riferimento a quella riguardante l’applicazione dell’art. 2744 c.c. (in correlazione con le altre norme sostanziali denunciate) – il collegio ritiene che la Corte di appello capitolina, alla stregua di una motivazione del tutto adeguata ed ispirata a conferenti criteri logici-giuridici propriamente applicabili alla controversia questione, si è correttamente uniformata ai principi espressi dalla giurisprudenza di questa Corte, avendo accertato, sul piano fattuale e con riferimento alle obbligazioni assunte con le richiamate scritture private (relative a tre contratti di compravendita del 23 ottobre 2002 e ai correlati contratti di mutuo coevamente conclusi avuto riguardo ai medesimi immobili), che il trasferimento della proprietà degli immobili per cui era stata introdotta la causa non si era accompagnato al versamento, nelle mani dei venditori, del danaro costituente il pagamento del prezzo, ma ad un atto costitutivo di una posizione di garanzia, rispetto alla erogazione di un mutuo da parte del F., con la conseguenza che, nella fattispecie, si era venuta configurare una violazione del divieto del patto commissorio per effetto dell’incompatibilità dell’operazione di mutuo con la causa dei contratti di compravendita.
In particolare, con valutazione di merito insindacabile nella presente sede di legittimità, la Corte territoriale ha compiutamente verificato che, in realtà, la garanzia immobiliare concessa dai sigg. G.- M. al F. non presentava carattere di stabilità ma era condizionata dall’evoluzione dei rapporti tra le parti a seconda che i suddetti mutuatari, anche debitori della società Eurospin Lazio (in quanto soci della s.r.l. CADA e della s.r.l. GI.PA., quali società che avevano accumulato debiti verso la stessa Eurospin per la somma di Euro 384.665,36), avessero o meno esercitato il diritto di opzione che era stato loro riconosciuto, una volta superate le difficoltà finanziarie, perchè, al fine di riacquistare la proprietà dei beni immobili oggetto di formale trasferimento, avrebbero dovuto restituire la somma destinata dal F. all’estinzione, per conto degli stessi, dell’esposizione debitoria assunta verso la società Eurospin Lazio.
Alla stregua di questa logica ed adeguata ricostruzione di merito operata dal giudice di appello, quest’ultimo ne ha desunto – in linea con la giurisprudenza di questa Corte – che, in effetti, valorizzando la “ratio” alla quale è ispirata la previsione di cui all’art. 2744 c.c. – non sussistesse alcuna ragione per non rilevare la violazione del divieto del patto commissorio da detta norma contemplato con riferimento alle tre richiamate compravendite immobiliari, siccome da ritenersi concluse per soddisfare uno scopo di garanzia dell’intervento finanziario del F., dal momento che l’effetto traslativo sarebbe divenuto definitivo ed irrevocabile solo a seguito della mancata restituzione, da parte dei venditori-mutuatari ( G.- M.), dell’apporto finanziario ricevuto e nei termini appositamente concordati, sia pure, soltanto formalmente, per l’esercizio del diritto di opzione che tale restituzione, così come dilazionata, presupponeva.
A tal proposito l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 7585/2001, Cass. n. 19950/2004 e Cass. n. 14903/2006) è univoco nel ritenere che gli artt. 1963 e 2744 c.c., i quali sanciscono il divieto del patto commissorio, postulano che il trasferimento – ovvero il procedimento indiretto della promessa di trasferimento al creditore, cui l’indicato divieto è estensibile per identità di “ratio” – della proprietà della cosa che ha formato oggetto di ipoteca, di pegno o di anticresi, sia condizionato sospensivamente al verificarsi dell’evento futuro ed incerto del mancato pagamento del debito, sicchè, qualora il trasferimento o la promessa di trasferimento vengano, invece, pattuiti puramente e semplicemente allo scopo non già di garantire l’adempimento di un’altra obbligazione con riguardo all’eventualità, non ancora verificatasi, che essa rimanga inadempiuta, ma di soddisfare un precedente credito rimasto insoluto e di liberare, quindi, il debitore dalle conseguenze connesse alla sua pregressa inadempienza, non sono configurabili le condizioni richieste dalle citate norme per l’operatività del divieto da esse previsto.
Si è, perciò, statuito (v. Cass. n. 1657/1996 e, da ultimo, Cass. n. 4514/2018) che la vendita con patto di riscatto o di retrovendita, anche quando sia previsto il trasferimento effettivo del bene, è nulla se stipulata per una causa di garanzia (piuttosto che per una causa di scambio) nell’ambito della quale il versamento del danaro, da parte del compratore, non costituisca pagamento del prezzo ma esecuzione di un mutuo ed il trasferimento del bene serva solo per costituire una posizione di garanzia provvisoria capace di evolversi a seconda che il debitore adempia o non l’obbligo di restituire le somme ricevute, atteso che la predetta vendita, in quanto caratterizzata dalla causa di garanzia propria del mutuo con patto commissorio, piuttosto che dalla causa di scambio propria della vendita, pur non integrando direttamente un patto commissorio vietato dall’art. 2744 c.c., costituisce un mezzo per eludere tale norma imperativa ed esprime, perciò, una causa illecita che rende applicabile, all’intero contratto, la sanzione dell’art. 1344 c.c..
In altri termini, la fattispecie di cui all’art. 2744 c.c. pur estesa dalla giurisprudenza sino a ricomprendere ogni negozio o patto che lo dissimuli, presuppone che le parti (creditore – mutuante e debitore) abbiano stipulato due contratti (il mutuo e il negozio di trasferimento del bene al creditore mutuante in caso di mancata restituzione, nel termine stabilito, della somma data in prestito), interdipendenti tra loro, allo scopo di garanzia del creditore e purchè il debitore sia costretto al trasferimento a tacitazione dell’obbligazione.
E’ stato, peraltro, anche precisato che la vendita con patto di riscatto o di retrovendita, stipulata fra il debitore ed il creditore, la quale risponda all’intento delle parti di costituire una garanzia, con l’attribuzione irrevocabile del bene al creditore solo in caso di inadempimento del debitore, è nulla anche quando implichi un trasferimento effettivo della proprietà (con condizione risolutiva), atteso che, pur non integrando direttamente il patto commissorio, previsto e vietato dall’art. 2744 c.c., configura un mezzo per eludere tale norma imperativa, e, quindi, esprime una causa illecita, che rende applicabile la sanzione dell’art. 1344 c.c..
Orbene, alla stregua di tali principi, la Corte di appello di Roma, proprio in base ai congrui accertamenti di merito compiuti, ha, sul piano obiettivo, accertato l’emergenza della complessiva operazione fraudolenta riconducibile alla già ricordata complessa operazione immobiliare con contestuale costituzione di mutuo, da cui l’affermazione della conseguente violazione del divieto cristallizzato nell’art. 2744 c.c..
Da ciò è, perciò, derivata legittimamente – con l’impugnata sentenza – la dichiarazione di nullità dei tre contratti di compravendita degli immobili dedotti in giudizio in uno alla declaratoria di invalidità di tutti gli atti propedeutici e, comunque, connessi con detti contratti, con coinvolgimento, in ogni caso, quali convenzioni direttamente correlate alle compravendite, dei contratti di comodato, siccome risultati inseriti nella complessiva operazione negoziale con la quale si sarebbe voluto aggirare il divieto del patto commissorio. Essa ha prodotto la configurazione di un meccanismo mediante il quale si è inteso perseguire un risultato economico unitario e complesso, attraverso una pluralità coordinata di contratti, i quali, pur conservando una loro causa autonoma, sono risultati protesi ad essere finalizzati ad un unico regolamento dei reciproci interessi. Pertanto, in caso di collegamento funzionale tra più contratti, si deve ritenere che – pur restando soggetti alla disciplina propria del rispettivo schema negoziale – la loro interdipendenza produce una regolamentazione unitaria delle vicende relative alla permanenza del vincolo contrattuale, con conseguente ripercussione delle cause di nullità all’intero schema negoziale attuato (v., sul punto, Cass. n. 7255/2013 e Cass. n. 15757/2014).
4. In definitiva, alla stregua delle complessive argomentazioni sviluppate, il ricorso deve essere totalmente respinto, con la conseguente condanna del ricorrente F.L. e della s.p.a. Eurospin Lazio (in conseguenza della sua posizione pienamente adesiva ai motivi formulati dal ricorrente principale) al pagamento, in solido fra loro, delle spese del presente giudizio in favore dei controricorrenti G.L. e M.G., che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.
Ricorrono, infine, le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente F., del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente e l’Eurospin Lazio s.p.a. al pagamento, solido fra loro, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario nella misura del 15% ed accessori (iva e cap) come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente F.L., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 2 Sezione civile, il 20 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2019
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