LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. D’ANTONIO Enrica – rel. Consigliere –
Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – Consigliere –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 26345/2013 proposto da:
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.
*****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto rappresentato e difeso dagli avvocati SERGIO PREDEN, ANTONELLA PATTERI, LUIGI CALIULO;
– ricorrente –
contro
G.G., C.C., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 113, presso lo studio dell’avvocato NICOLA PAGNOTTA, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati ANGELO SICA, FRANCESCO ROCCO DI TORREPADULA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1951/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 13/05/2013 R.G.N. 1849/2010.
CONSIDERATO IN FATTO
1. La corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di accoglimento della domanda di G.G. e C.C. di riliquidazione della pensione di anzianità con i criteri previsti dall’AGO ritenendo non applicabile il principio del cosiddetto pro rata, previsto dalla L. n. 289 del 2002, art. 42, comma 3 e riservato ai dirigenti ancora iscritti all’Inpdai alla data della soppressione dell’ente.
La Corte ha precisato che il G. vantava contribuzione dal 1963 al 2004 ed il C. dal 1959 al 2004, dapprima come impiegati e poi come dirigenti, avendo versato inizialmente contributi all’Inps, successivamente trasferiti all’Inpdai; che alla data di soppressione dell’Inpdai essi erano già iscritti all’Inps dal 1997; che l’Istituto aveva liquidato la pensione applicando la L. n. 289 del 2002, art. 42 ed il principio del pro rata calcolando una quota determinata sulla base dell’anzianità contributiva Inpdai, ed una sulla base dell’anzianità contributiva Inps e che l’Istituto aveva fatto riferimento, relativamente alla quota Inpdai, alla retribuzione degli ultimi 5 e 10 anni di lavoro svolto in costanza di assicurazione Inpdai.
Secondo la Corte la pensione avrebbe dovuto essere calcolata in applicazione integrale delle regole dell’AGO, considerando i due periodi contributivi come fossero una unica provvista accreditata presso l’INPS poichè,alla data del 31/12/2002,i ricorrenti non erano più iscritti all’Inpdai con conseguente inapplicabilità dell’art. 42 citato ai fini del calcolo della misura della pensione,e senza necessità di ricorrere alla ricongiunzione, ex L. n. 29 del 1979, dovendo trovare applicazione la Legge Speciale n. 289 del 2002, in base alla quale era stato disposto il trasferimento all’Inps dei rapporti attivi e passivi facenti capo all’ente soppresso.
La Corte, infine, ha ritenuto assorbite le domande subordinate proposte dagli appellati con riferimento all’esistenza di errori di calcolo anche in caso di applicazione del principio del pro rata, come preteso dall’Inps.
2. Contro la sentenza, l’INPS propone ricorso per cassazione basato su di un unico motivo. G. e C. resistono con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
RITENUTO IN DIRITTO
2. L’Inps denuncia violazione della L. n. 289 del 2002, art. 42, L.n. 297 del 1982, art. 3.
– Osserva che quello del pro rata costituiva principio generale disciplinante l’integrazione fra i due regimi pensionistici e che non era fondata l’affermazione della Corte secondo cui le pensioni liquidate a coloro che non erano in costanza di assicurazioni presso l’Inpdai al 31/12/2002 non avrebbero dovuto essere determinate secondo il criterio del pro rata.
Censura, altresì, la sentenza impugnata nella parte relativa alla determinazione della retribuzione pensionabile sulla base della quale calcolare la quota di pensione imputabile al periodo di iscrizione all’Inpdai. Secondo la Corte la retribuzione di riferimento sarebbe quella maturata negli ultimi 5 e 10 anni prima della decorrenza della pensione dal 2008 e non già, come indicato correttamente dall’Inps, la retribuzione percepita in costanza di assicurazioni Inpdai. Infine, il ricorrente censura la sentenza secondo cui l’art. 42 citato deve essere letto come volto a salvaguardare la posizione dei dirigenti industriali che, a seguito della soppressione dell’ente, avrebbero potuto soffrire di un pregiudizio nella liquidazione del trattamento pensionistico. Osserva, infatti, che la clausola della salvaguardia aveva rilevanza solo a fronte di comparazione fra due pensioni liquidate sulla base di parametri identici quanto ad anzianità e retribuzione pensionabile: una integralmente con le regole proprie dell’Inpdai e l’altra con le regole proprie dell’AGO.
3. Il motivo è fondato. Questa Corte, infatti, con orientamento consolidato,cui si intende dare ulteriore continuità, ha già avuto modo di chiarire che, dal momento che la L. n. 289 del 2002, ha operato il trasferimento dei contributi dall’Inpdai all’Inps mediante iscrizione ” con evidenza contabile separata” ossia in carenza di un’unificazione assimilabile alla ricongiunzione dei contributi prevista dal D.P.R. n. 58 del 1976 – l’art. 42, comma 3, prima parte, della Legge citata, disponendo che il regime pensionistico dei dirigenti di aziende industriali è uniformato, nel rispetto del criterio del pro rata, a quello degli iscritti al Fondo pensioni lavoratori dipendenti con effetto dal primo gennaio 2003, ha introdotto un principio di carattere generale, senza distinzione tra soggetti ancora iscritti e soggetti che non sono più in costanza di assicurazione INPDAI alla data del 31.12.2002, con la conseguenza che, ai fini della liquidazione della pensione, la retribuzione pensionabile propria dell’assicurato già iscritto all’INPDAI deve essere individuata in relazione alle retribuzioni che sarebbero stati utili nel caso di un’ipotetica liquidazione del trattamento pensionistico da parte dell’INPDAI, non anche con riguardo alle retribuzioni percepite negli ultimi cinque e dieci anni calcolati a ritroso dalla data del pensionamento,in quanto il rinvio della L. n. 289 del 2002, art. 42,D.Lgs. n. 181 del 1997, art. 3, comma 7, nonchè lo stesso meccanismo del pro rata adottato nell’art. 42 cit., costituiscono manifestazione della volontà del legislatore di tenere distinti i due periodi assicurativi, in considerazione della diversità dei sistemi di calcolo adottati per ciascuno di essi, dando luogo a due distinte quote di pensione da determinare secondo autonomi criteri (Cass. n. 4897 del 2017; Cass. n. 19036 del 2017; Cass. n. 18841 del 2017; Cass. n. 3321 del 2018; Cass. n. 19519/2018).
3. Nè appare decisivo, al fine di inficiare la consistenza del superiore principio di diritto, l’assunto di parte controricorrente secondo cui la soppressione dell’INPDAI avrebbe in realtà comportato una sorta di ricongiunzione ex lege delle posizioni contributive dei dirigenti già iscritti all’INPDAI nell’assicurazione generale obbligatoria, al punto che l’Inps non avrebbe dato ulteriore corso alle domande di ricongiunzione della posizione previdenziale presentate dopo l’1.1.2003: ciò che rileva è piuttosto che, avendo il legislatore manifestato la volontà di uniformare il regime pensionistico dei dirigenti industriali a quello dei lavoratori dipendenti ” nel rispetto del principio del pro rata” (L. n. 289 del 2002, art. 42, comma 3), non vi è spazio alcuno per sostenere che, per i dirigenti che alla data della soppressione dell’INPDAI avevano una posizione contributiva presso tale ultimo ente, il calcolo della retribuzione pensionabile non debba essere pro parte riferito (anche) alle retribuzioni sulle quali è stata versata la contribuzione presso l’INPDAI.
4. Nè miglior sorte merita l’ulteriore assunto di parte controricorrente secondo cui, così operando,i dirigenti ex INPDAI subirebbero un trattamento discriminatorio e deteriore, essendo impossibilitati a chiedere la ricongiunzione gratuita D.P.R. n. 58 del 1976, ex art. 22 e dovendo per contro subire un calcolo della pensione meno favorevole di quello previsto dal D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 3.
A riguardo va rilevato che parte controricorrente non ha offerto gli elementi di fatto necessari per effettuare il giudizio comparativo, che deve aver riguardo anche alla contribuzione versata (cfr. Cass. n. 4897/2017) e non solo all’anzianità ed alla retribuzione (come genericamente preteso dai ricorrenti senza valutare, ai fini della liquidazione della quota A secondo i criteri vigenti per l’Inpdai, la necessità che la comparazione avvenga a parità di condizioni – cfr. in tal senso anche la citata Cass. n. 13980/2018 – tenendo conto delle diverse retribuzioni pensionabili e delle diverse contribuzioni dimostrando poi che, all’esito di una simile comparazione, la quota A,da liquidarsi secondo i criteri Inpdai, sarebbe inferiore a quella da calcolarsi con i criteri AGO).
Vale la pena di evidenziare che l’interpretazione proposta dai ricorrenti,come del resto quella patrocinata dalla Corte territoriale, poggia sull’assunto, invero indimostrato, secondo cui il regime introdotto dalla L. n. 289 del 2002, art. 42,costituirebbe una misura di salvaguardia delle aspettative pensionistiche maturate dei dirigenti industriali, laddove appare piuttosto una misura per porre argine al notorio e crescente disavanzo cagionato dal pregresso regime di favore di cui essi beneficiavano, caratterizzato da basse aliquote di calcolo dei contributi, alte aliquote di rendimento e più elevate fasce di retribuzione pensionabile.
5. Il ricorso va, pertanto, accolto e la sentenza impugnata va conseguentemente cassata.
Va, peraltro, precisato che il C. ha riproposto “in via di gradato subordine e salvo gravame” un’ulteriore domanda che la Corte d’appello ha ritenuto assorbita avendo accolto la domanda principale di integrale applicazione delle modalità di computo della pensione vigente per l’AGO.
5. La causa, pertanto, deve essere rimessa alla Corte d’appello perchè esamini detta domanda subordinata del C. ed anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2019