LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –
Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 1308-2014 proposto da:
V.F., C.F. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELL’UNIVERSITA’ 11, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO LUIGI FABBRI, rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGI RENNA;
– ricorrente-
contro
INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, C.F. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso lo studio dell’avvocato GIANDOMENICO CATALANO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LORELLA FRASCONA’;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3338/2013 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 04/10/2013 R.G.N. 1900/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 03/04/2019 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato GIANDOMENICO CATALANO.
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso al Tribunale di Lecce, V.F. chiedeva dichiararsi l’illegittimità ed inefficacia del verbale di accertamento notificato il 1/4/2009 con il quale l’Inail gli aveva contestato, nella sua qualità di titolare di un esercizio commerciale svolgente attività di ristorante-pizzeria, l’omesso versamento di premi rapportati alle retribuzioni relative a periodi di assenza dal lavoro dei dipendenti dovute a cause diverse da ferie, malattia ed altre ipotesi previste dalla legge e dal contratto collettivo di sospensione dell’attività lavorativa.
2. Il Tribunale accoglieva il ricorso mentre la Corte d’appello accoglieva il gravame proposto dall’Inail e rigettava il ricorso del V., applicando alla fattispecie il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 1199 del 2002 e ritenendo che in base al D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, art. 1, conv. nella L. n. 389 del 1989, le assenze dal lavoro non contrattualmente giustificate non esonerano il datore di lavoro dal pagamento del premio sulla retribuzione cosiddetta contributiva, che resta insensibile alla retribuzione di fatto erogata, fatta eccezione per l’ipotesi in cui quest’ultima sia superiore.
3. Per la cassazione della sentenza V.F. ha proposto ricorso, affidato a due motivi, cui l’Inali ha resistito con controricorso.
4. L’Inail ha depositato anche memoria ex art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
5. V.F. deduce come primo motivo di ricorso la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 338 del 1989, art. 1, conv. in L. n. 389 del 1989, della L.n. 153 del 1969, art. 12, della L. n. 549 del 1995, art. 2, comma 25, e vizio di motivazione per avere la Corte d’appello di Lecce applicato il principio enunciato da questa Suprema Corte a Sezioni Unite nella sentenza 29/7/2002 n. 11199 a fattispecie diversa da quella che ne formava oggetto, omettendo di motivare e decidere in relazione all’esatto oggetto del ricorso introduttivo ed alla relativa sentenza del Tribunale di Lecce.
Argomenta che nel caso in esame non si faceva questione di minimale retributivo, che era stato oggetto del decisum delle Sezioni Unite, essendo pacifico che il ricorrente abbia applicato ai propri dipendenti la paga giornaliera ex art. 142 del c.c.n.l., ma di onere contributivo per i periodi non lavorati, in quanto l’Inail nella determinazione dell’imponibile l’aveva commisurato a 40 ore settimanali, spostando sul datore di lavoro l’onere di provare la riconducibilità delle assenze dei lavoratori ai casi di esclusione dell’onere contributivo previsto dalla legge, onere che sarebbe applicabile solo nel settore edile.
6. Come secondo motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 324 e 342 c.p.c. e sostiene che la Corte d’appello non abbia valutato l’eccezione d’ inammissibilità del gravame, per avere l’Inail impugnato la sentenza del Tribunale con riguardo all’applicazione del minimale retributivo, pur vertendosi in ipotesi differente e non avendo l’istituto chiesto di provare che le giornate di assenza fossero fittizie.
7. Il ricorso è infondato.
In relazione al secondo motivo, logicamente prioritario, si ricava dalle stesse deduzioni della parte ricorrente (v. pg. 2) che l’appello dell’Inail atteneva propriamente alla possibilità di assoggettare a contribuzione la retribuzione virtuale relativa alle giornate di assenza dal lavoro, e dunque alla questione che è stata oggetto di disamina da parte del giudice del gravame.
8. Il secondo motivo è parimenti infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte che si è consolidata dopo l’arresto delle Sezioni Unite n. 11199 del 29/07/2002, l’importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore all’importo di quella che ai lavoratori di un determinato settore sarebbe dovuta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale (c.d. “minimale contributivo”), secondo il riferimento ad essi fatto – con esclusiva incidenza sul rapporto previdenziale – dal D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, art. 1 (convertito in L. 7 dicembre 1989, n. 389), senza le limitazioni derivanti dall’applicazione dei criteri di cui all’art. 36 Cost. (c.d. “minimo retributivo costituzionale”), che sono rilevanti solo quando a detti contratti si ricorre – con incidenza sul distinto rapporto di lavoro ai fini della determinazione della giusta retribuzione (v. ex aliis Cass. n. 801 del 20/01/2012). La regola del minimale contributivo deriva dal principio di autonomia del rapporto contributivo rispetto alle vicende dell’obbligazione retributiva, ben potendo l’obbligo contributivo essere parametrato a importo superiore a quanto effettivamente corrisposto dal datore di lavoro.
9. Tale principio opera, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte ricorrente, sia con riferimento all’ammontare della retribuzione c.d. contributiva, sia con riferimento all’orario di lavoro da prendere a parametro, che dev’essere l’orario di lavoro normale stabilito dalla contrattazione collettiva o dal contratto individuale se superiore.
10. E difatti, è evidente che se ai lavoratori vengono retribuite meno ore di quelle previste dal normale orario di lavoro e su tale retribuzione viene calcolata la contribuzione, non vi può essere il rispetto del minimo contributivo nei termini sopra rappresentati.
11. Vale infatti anche con riferimento all’orario il principio stabilito dalla Corte Costituzionale nella sentenza 20 luglio 1992, n. 342, secondo il quale “una retribuzione (…) imponibile non inferiore a quella minima (è) necessaria per l’assolvimento degli oneri contributivi e per la realizzazione delle finalità assicurative e previdenziali, (in quanto), se si dovesse prendere in considerazione una retribuzione imponibile inferiore, i contributi determinati in base ad essa risulterebbero tali da non poter in alcun modo soddisfare le suddette esigenze”.
12. Nel settore dell’edilizia, il D.L. n. 244 del 1995, art. 29, conv. in L. n. 341 del 1995, individua le ipotesi di esenzione dall’obbligo del minimale contributivo – inteso anche come obbligo di commisurare la contribuzione ad un numero di ore settimanali non inferiore all’orario di lavoro normale stabilito dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale e dai relativi contratti integrativi territoriali di attuazione – con disposizione, avente chiara finalità antielusiva, che è stata ritenuta da questa Corte di stretta interpretazione, analogamente alle fonti normative cui essa rinvia (Cass. n. 9805 del 04/05/2011, Cass. n. 10134 del 26/04/2018, e ancora, da ultimo, Cass. n. 4690 del 18/2/2019). In proposito, è stato dunque escluso che una sospensione consensuale della prestazione che derivi da una libera scelta del datore di lavoro e costituisca il risultato di un accordo tra le parti possa determinare la sospensione dell’obbligazione contributiva (v. Cass. n. 21700 del 13/10/2009, Cass. n. 9805 del 04/05/2011 e successive conformi, che hanno superato la diversa soluzione adottata dal Cass. n. 1301 del 24/01/2006).
13. La necessità di tipizzare le suddette ipotesi eccettive è sorta nel settore edile proprio perchè ivi la possibilità di rendere la prestazione lavorativa è normalmente condizionata da eventi esterni che sfuggono al controllo delle parti.
14. Il fatto che per gli altri settori merceologici non vi sia analoga previsione non significa che sussista una generale libertà delle parti di modulare l’orario di lavoro e la stessa presenza al lavoro così rimodulando anche l’obbligazione contributiva, considerato che questa seconda è svincolata dalla retribuzione effettivamente corrisposta e dev’essere connotata dai caratteri di predeterminabilità, oggettività e possibilità di controllo.
15. Anche nei settori diversi da quello edile, la contribuzione è dunque dovuta nei casi di assenza del lavoratore o di sospensione concordata della prestazione stessa che costituiscano il risultato di un accordo tra le parti derivante da una libera scelta del datore di lavoro e non da ipotesi previste dalla legge e dal contratto collettivo (quali malattia, maternità, infortunio, aspettativa, permessi, cassa integrazione). In tal senso, e considerata l’autonomia del rapporto contributivo rispetto a quello retributivo, dev’essere rimodulato il principio affermato nel recente arresto n. 24109 del 03/10/2018.
16. Ove dunque gli enti previdenziali e assistenziali pretendano da un’impresa differenze contributive sulla retribuzione virtuale determinata ai sensi del D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, art. 1, comma 1, anche con riferimento all’orario di lavoro, incombe al datore di lavoro allegare e provare la ricorrenza di un’ ipotesi eccettuativa dell’obbligo, nel senso sopra individuato.
17. La soluzione adottata nel caso dalla Corte territoriale è dunque conforme a diritto, considerato che l’esenzione dall’obbligo contributivo era nel caso sostenuta dal datore di lavoro sulla base della necessità di adeguare la contribuzione alla prestazione effettivamente resa, nella ritenuta insistenza di un “minimale mensile” di riferimento, senza specificazione della derivazione delle assenze (che si riferivano determinate sia da calo di lavoro sia da necessità personali dei lavoratori) da ipotesi legali o contrattuali di sospensione della prestazione.
18. Segue coerente il rigetto del ricorso.
19. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
20. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2019
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