LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TORRICE Amelia – Presidente –
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23335/2014 proposto da:
AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE – FROSINONE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MARIO FANI n. 139, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO VENTURINI, rappresentata e difesa dall’avvocato ALESSANDRO D’AMBROSIO;
– ricorrente –
contro
P.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALBA n. 12/A, presso lo studio dell’avvocato CARLO ALESSANDRINI, rappresentato e difeso dall’avvocato LOREDANA DI FOLCO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3201/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/04/2014 R.G.N. 157/2012.
RILEVATO
che:
1. la Corte d’Appello di Roma ha respinto l’appello della AUSL di Frosinone avverso la sentenza del Tribunale di Frosinone che aveva accolto la domanda proposta da P.L. e condannato l’Azienda al pagamento della somma di Euro 7041,49, oltre interessi legali dalla maturazione al saldo;
2. la Corte territoriale ha premesso che il ricorrente, dirigente medico di primo livello, aveva agito in giudizio sul presupposto che la ASL non avesse correttamente liquidato la retribuzione di posizione ed aveva domandato, in via principale, le differenze da calcolarsi tenendo conto dell’incremento della parte variabile previsto dall’art. 35 del CCNL 1998/2001 per l’area della dirigenza medica e veterinaria, in via subordinata le maggiori somme comunque dovute a titolo di retribuzione di posizione minima;
3. il giudice d’appello ha respinto l’eccezione di nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, riproposta con specifico motivo di gravame, ed ha evidenziato che il P. aveva indicato nell’atto le ragioni di fatto e di diritto poste a fondamento del ricorso, specificando qualifica e mansioni svolte e richiamando le disposizioni di legge e di contratto che venivano in rilievo;
4. ricostruito il quadro normativo e contrattuale, la Corte territoriale ha escluso la fondatezza della domanda principale, evidenziando che l’incremento della componente variabile minima contrattuale è correlato alla graduazione delle funzioni;
5. ha precisato, peraltro, che non era questa la domanda accolta dal giudice di primo grado il quale, dopo avere svolto argomentazioni “ambiguamente riferibili sia alla domanda principale che a quella subordinata”, aveva rinviato alla consulenza tecnica d’ufficio che aveva quantificato le differenze economiche “previste dalla lettera a) dell’art. 35 CCNL citato e dalle delibere adottate dalla AUSL di Frosinone (183 del 5.3.2008 e 1822 dell’agosto 1998) acquisite, nel pieno contraddittorio fra le parti, agli atti del processo” ed aveva, quindi, in tal modo ritenuto di poter accogliere solo la domanda subordinata;
6. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la AUSL di Frosinone sulla base di tre motivi, illustrati da memoria, ai quali P.L. ha resistito con tempestivo controricorso.
CONSIDERATO
che:
1. con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia “violazione art. 414 c.p.c., nn. 3, 4, 5; nullità del ricorso; omessa, insufficiente ed errata motivazione” e deduce che la Corte avrebbe dovuto dichiarare la nullità dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado in considerazione dell’estrema genericità dell’oggetto della domanda e della mancata esposizione dei fatti e delle norme di diritto poste a fondamento dell’azione;
1.1. precisa al riguardo che nel ricorso il P. non aveva indicato natura e durata dell’incarico conferitogli, tanto che la genericità ed insufficienza dei dati forniti erano state rilevate dallo stesso consulente tecnico d’ufficio, il quale aveva compiuto “un’indagine esplorativa ed eventuale”;
2. la seconda censura, rubricata “violazione art. 115 c.p.c. – infondatezza del ricorso omessa motivazione”, addebita alla Corte territoriale di avere ritenuto fondata la domanda nonostante che il ricorrente non avesse provato la tipologia dell’incarico affidatogli, le modalità di svolgimento ed i risultati ottenuti;
3. con la terza critica l’Azienda si duole della violazione del D.Lgs. n. 29 del 1993, artt. 24 e 49, D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 15, artt. 13, 26, 27, 35, 39 CCNL Area Dirigenza Medica, dell’art. 112 c.p.c. e rileva che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, le differenze quantificate dal CTU si riferivano all’incremento della parte variabile, che invece non poteva essere riconosciuto perchè l’Azienda non aveva mai conferito al P. uno specifico incarico professionale;
3.1. precisa al riguardo che il Tribunale aveva accolto proprio la domanda principale, ritenuta infondata dal giudice d’appello, perchè il consulente tecnico aveva evidenziato che il minimo contrattuale di cui all’art. 35, lett. b) del CCNL era stato corrisposto in entrambe le sue componenti e le differenze quantificate erano quelle relative alla parte variabile eccedente il minimo contrattuale;
3.2. nessuna somma, quindi, poteva pretendere il P. perchè il dirigente non aveva ricevuto alcun incarico professionale;
4. il ricorso è inammissibile in tutte le sue articolazioni e, pertanto, non può essere accolta l’istanza di trattazione unitaria con altri ricorsi aventi il medesimo oggetto, perchè l’impugnazione non consente di scrutinare nel merito la questione controversa;
5. il primo motivo, con il quale si ripropone l’eccezione di nullità dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, è formulato senza il necessario rispetto degli oneri di specificazione e di allegazione imposti dall’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4;
5.1. la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che, anche qualora venga dedotto un error in procedendo, rispetto al quale la Corte è giudice del “fatto processuale”, l’esercizio del potere/dovere di esame diretto degli atti è subordinato al rispetto delle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo del giudice di legittimità (Cass. S.U. n. 8077/2012);
5.2. la parte, quindi, non è dispensata dall’onere imposto dall’art. 366 c.p.c., n. 6, di indicare in modo specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti, non essendo consentito il rinvio per relationem agli atti del giudizio di merito, perchè la Corte di Cassazione, anche quando è giudice del fatto processuale, deve essere posta in condizione di valutare ex actis la fondatezza della censura e deve procedere solo ad una verifica degli atti stessi non già alla loro ricerca (Cass. n. 15367/2014; Cass. n. 21226/2010);
5.3. occorre, inoltre, che il ricorrente assolva al distinto onere previsto, a pena di improcedibilità, dall’art. 369 c.p.c., n. 4, indicando la sede nella quale l’atto processuale è reperibile, perchè l’art. 366 c.p.c., come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 5, richiede che al giudice di legittimità vengano forniti tutti gli elementi necessari per avere la completa cognizione della controversia, senza necessità di accedere a fonti esterne, mentre la produzione è finalizzata a permettere l’agevole reperibilità del documento o dell’atto la cui rilevanza è invocata ai fini dell’accoglimento del ricorso (fra le tante, sulla non sovrapponibilità dei due requisiti, Cass. 28.9.2016 n. 19048);
5.4. detti oneri non sono stati assolti nella fattispecie perchè il ricorrente ha solo argomentato sull’interpretazione dell’art. 414 c.p.c. e sulla funzione che assolvono i requisiti imposti dalla norma richiamata, ma ha omesso la trascrizione dell’atto processuale nelle parti rilevanti, non ne ha prodotto copia in questa sede nè ha fornito indicazioni in merito alla sua allocazione nel fascicolo processuale;
6. parimenti inammissibile è la seconda censura con la quale si addebita alla Corte territoriale di avere accolto la domanda “considerando probabilmente pacifica una circostanza che in realtà non era nè pacifica nè provata”;
6.1. il Collegio condivide e fa proprio l’orientamento secondo cui “in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012” (Cass. n. 23940/2017);
6.2. l’Azienda ricorrente con il secondo motivo si è limitata a denunciare la violazione dell’art. 115 c.p.c. e ad asserire che, in realtà, la domanda doveva essere rigettata perchè non provata, non potendo farsi applicazione del principio di non contestazione previsto dal comma 2 della norma richiamata, ma la censura, quanto a quest’ultimo aspetto, presenta i medesimi profili di inammissibilità evidenziati nei punti che precedono, perchè non vengono riportate nel ricorso le parti salienti degli atti introduttivi del giudizio di primo grado;
6.3. occorre evidenziare al riguardo che l’onere di specifica contestazione, ad opera della parte convenuta, presuppone, a monte, un’allegazione altrettanto puntuale a carico della parte onerata della prova, sicchè il ricorso per cassazione con cui si deduca l’erronea applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 2, non può prescindere dalla trascrizione degli atti sulla cui base il giudice di merito ha ritenuto integrata la non contestazione che il ricorrente pretende di negare (Cass. n. 20637/2016);
7. analoghe considerazioni vanno espresse quanto al terzo motivo, con il quale la ASL di Frosinone, pur denunciando nella rubrica la violazione di norme di legge e di contratto, addebita alla Corte territoriale di avere errato, non nella ricostruzione e nell’interpretazione del quadro normativo e contrattuale, bensì nella lettura della decisione di primo grado e della consulenza tecnica, recepita dal Tribunale e posta a fondamento della pronuncia di condanna;
7.1. anche in tal caso, peraltro, la ricorrente formula la censura senza assolvere agli oneri di specificazione e di allegazione richiamati nei punti che precedono perchè non riporta, neppure in minima parte, nel ricorso il contenuto della sentenza di primo grado e della relazione peritale, sulla base della quale, secondo il giudice d’appello, sarebbe stata accolta la sola domanda subordinata, comunque fondata perchè volta ad ottenere le differenze fra i valori minimi della retribuzione di posizione previsti dalla contrattazione collettiva e quanto in effetti corrisposto al P.;
8. in via conclusiva il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;
8.1. sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali del 15% ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 16 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2019
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