LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOCCI Mauro – rel. Presidente –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –
Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso 3361-2018 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
N.G.O., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIAN GUIDO CARATTI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1044/1/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di TORINO depositata il 05/07/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MOCCI MAURO.
RILEVATO
che l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte che aveva rigettato il suo appello contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Alessandria. Quest’ultima aveva accolto l’impugnazione di N.G.O. contro un avviso di accertamento IRPEF, relativo agli anni 2006-2007.
CONSIDERATO
che il ricorso è affidato a quattro formali motivi;
che, col primo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, l’Agenzia assume la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 commi 4, 5 e 6 e dell’art. 2697 c.c., dei D.M 10 settembre 1992 e D.M. 19 novembre 1992, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 423, giacchè la CTR avrebbe erroneamente ritenuto che le risultanze del redditometro non potessero assurgere al rango di presunzioni legali;
che, col secondo, l’Agenzia denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 commi 4, 5 e 6 e art. 2697 c.c., dei D.M 10 settembre 1992 e D.M. 19 novembre 1992 e del D.L. n. 78 del 2010, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3: la sentenza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto l’abitazione principale e le rate di mutuo inidonei ad essere utilizzati come indice di riferimento, privando così gli stessi beni-indice del loro valore presuntivo legalmente stabilito, al di fuori delle ipotesi previste per legge;
che, col terzo, la ricorrente assume la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4, 5 e 6 e art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, avendo i giudici di appello ritenuto sufficiente la dimostrazione del contribuente di aver avuto disponibilità idonee a giustificare il tenore di vita sinteticamente accertato;
che, attraverso l’ultimo, l’Ufficio denunzia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 e del D.L. n. 78 del 2010, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, ove la sentenza impugnata avrebbe ritenuto necessario l’esperimento di un contraddittorio endoprocedimentale;
che l’intimato si è costituito con controricorso;
che, in data 6 maggio 2019, il contribuente ha presentato istanza di sospensione, ai sensi del D.L. n. 119 del 2018, art. 6; che, di conseguenza, il giudizio deve essere sospeso.
P.Q.M.
Dispone la sospensione del giudizio, ai sensi del D.L. n. 119 del 2018, art. 6.
Così deciso in Roma, il 15 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2019