LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TORRICE Amelia – Presidente –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –
Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19084-2014 proposto da:
B.V., + ALTRI OMESSI, tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BERENGARIO 10, presso lo studio dell’avvocato ELIA CURSARO, rappresentati e difesi dagli avvocati CONCETTA LEONE, GIUSEPPE AGRESTA;
– ricorrenti –
contro
REGIONE CALABRIA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 61, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MARIA TOSCANO, rappresentata e difesa dall’avvocato DARIO BORRUTO;
– controricorrente –
e contro
COMUNE BOVALINO, COMUNE ROCCELLA IONICA, COMUNE BIVONGI, COMUNE LOCRI, COMUNE PAZZANO, COMUNE RIACE, COMUNE STILO;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1072/2013 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 04/07/2013 r.g.n. 818/2008.
RILEVATO
che con sentenza del 4 luglio 2013, la Corte d’Appello di Reggio Calabria, chiamata a pronunziarsi sugli appelli proposti da entrambe le parti avverso la decisione resa dal Tribunale di Locri – che, sulla domanda proposta da B.V. ed altri 116 lavoratori nei confronti della Regione Calabria ed i Comuni di Bovalino, Roccella fonica, Locri, Bivongi, Pazzano, Riace e Stilo, avente ad oggetto il pagamento della rivalutazione secondo gli indici Istat sull’assegno loro erogato nell’anno 2000 quali lavoratori di pubblica utilità sin dal 1999 impiegati in vari Comuni della Regione, riuniti i ricorsi e chiamati in causa i Comuni utilizzatori, dei quali si costituiva soltanto il Comune di Locri, ritenuta la legittimazione passiva della Regione ed esclusa quella del Comune accoglieva la domanda condannando la Regione al pagamento del relativo importo a decorrere dal deposito del ricorso giudiziale – riformava la predetta decisione, dichiarando la carenza di legittimazione passiva della Regione in ordine alla domanda degli originari ricorrenti che rigettava, condannando ciascuno di essi alla restituzione delle somme percepite;
che la decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto la rivalutazione secondo l’indice Istat dell’assegno percepito quali lavoratori di pubblica utilità dovuta ma non dalla Regione, che si limitava trasferire le risorse finanziarie per l’erogazione dei sussidi ai Comuni utilizzatori, bensì da questi ultimi i quali erano i reali obbligati al pagamento dei sussidi, di cui, peraltro escludeva la condanna per non incorrere in extrapetizione, non avendo i lavoratori mai richiesto la condanna dei Comuni al pagamento;
che per la cassazione di tale decisione ricorrono settanta degli originari ricorrenti, affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui resiste, con controricorso la Regione Calabria, mentre i Comuni, pur intimati, non hanno svolto alcuna attività difensiva;
che la Regione Calabria contro ricorrente ha poi presentato memoria.
CONSIDERATO
che, con il primo articolato motivo, i ricorrenti, sotto la generale rubrica “Nullità della sentenza e del procedimento”, denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 414 c.p.c., lamentando il carattere meramente apparente dell’impugnazione proposta dalla Regione Calabria limitatasi a riproporre le argomentazioni svolte in prime cure senza avanzare specifiche censure alla sentenza, la violazione del principio dispositivo per aver la Corte territoriale pronunziato nei confronti di tutti le parti del giudizio di primo grado, a fronte di una vocatio in ius, quale risultante dall’atto di appello depositato e notificato dalla Regione Calabria, limitata soltanto a due dei 116 ricorrenti ed ad uno dei sei Comuni originariamente coinvolti che, viceversa, postulava la nullità o l’inammissibilità del ricorso nei confronti delle parti non intimate;
che, con il secondo motivo, denunciando il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, il ricorrente lamenta l’incongruità dell’iter logico giuridico su cui la Corte territoriale è pervenuta alla declaratoria del difetto di legittimazione passiva della Regione, inficiato, a suo dire, dalla mancata considerazione del testo della convenzione Ministero del Lavoro/Regione Calabria n. 786 del 29.2.2000 nella quale, in consonanza con la previsione di cui alla L. n. 144 del 1999, art. 45, comma 6, la Regione stessa veniva individuata quale soggetto gestore del Fondo regionale per l’occupazione e delle somme vincolate alla realizzazione delle misure di politica attiva del lavoro di cui alla predetta disposizione e della successiva convenzione sottoscritta nel 2000 dalla Regione stessa con i singoli Comuni utilizzatori delle prestazioni dei lavoratori di pubblica utilità interessati, con la quale la medesima assumeva in proprio l’obbligo del pagamento dei sussidi nei confronti degli stessi lavoratori;
che nel terzo motivo la denunciata erronea ricostruzione del quadro normativo è prospettata sotto il profilo della violazione e falsa applicazione della L.R. n. 4 del 2001, delle predette convenzioni nonchè degli artt. 331,102,103,434,414,324 e 332 c.p.c..
che, con il quarto motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione della L. n. 794 del 1942, della tariffa professionale di cui al D.M. n. 585 del 1994 ed al R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 60, comma 4, il ricorrente ribadisce le censure, già avanzate in sede di gravame ma qui ritenute assorbite, in ordine all’illegittimità della determinazione, da parte del giudice di primo grado, delle spese di lite riconosciute dovute agli allora ricorrenti ma liquidate senza il rispetto dei minimi tariffari;
che, preliminarmente, va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso qui sollevata dalla Regione controricorrente e ribadita nella memoria ex art. 378 c.p.c., atteso che le censure formulate nei confronti della sentenza impugnata, al di là della tecnica espositiva utilizzata, consentono di enucleare i singoli profili di doglianza formulati nei confronti di ciascuno dei capi della sentenza sottoposti ad impugnativa;
che, quanto al primo motivo si deve rilevare l’infondatezza di entrambe le censure in rito ivi sollevate;
che, infatti, per quel che riguarda l’asserito carattere apparente dell’impugnazione va ribadito il principio affermato da questa Corte a sezioni unite (cfr. Cass. SS.UU. nn. 27199/2017 e 10875/2015), secondo il quale, gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo novellato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. nella L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris istantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata ed, in particolare rispetto al giudizio di legittimità, diversità questa ribadita nelle sentenze richiamate appunto alla luce della portata complessiva della riforma legislativa del 2012, la quale, stante l’opzione accolta di introdurre un particolare filtro, che può condurre, a determinate condizioni, all’inammissibilità dell’appello (artt. 348 bis e 348 ter c.p.c.), cui fa riscontro la riduzione delle opportunità di accesso al ricorso per cassazione per vizio di motivazione, impone di seguire un’interpretazione che abbia come obiettivo, non tanto quello di costruire un’ulteriore ipotesi di decisione preliminare di inammissibilità, quanto quello di spingere verso la decisione nel merito delle questioni poste, sicchè, nella specie, la specificità del ricorso in appello, diversamente da quanto assumono i ricorrenti, non può escludersi per il solo fatto che la Regione nell’atto di gravame abbia richiamato il quadro normativo già posto a fondamento dell’eccezione di difetto di legittimazione passiva formulata in primo grado e rigettata dal Tribunale, tanto più che la Regione, stando a quanto si desume dal contenuto dell’atto d’appello (riprodotto nel ricorso), ha fondato le censure correlate all’eccepito difetto di legittimazione passiva anche sulle delibere e sulle convenzioni stipulate dall’INPS;
che, quanto all’asserita violazione del principio dispositivo, è a dirsi come la censura non si confronti appieno con le argomentazioni motivazionali spese dalla Corte territoriale, che ha ricostruito il contenuto dell’atto di gravame della Regione attraverso la sua lettura complessiva, evidenziando come esso fosse inteso ad impugnare la sentenza pronunziata dal giudice di primo grado nella sua totalità e, dunque, nei confronti non solo di B.V. e di A.A. ma nei confronti di tutti gli altri lavoratori litisconsorti destinatari della sentenza di primo grado;
che l’impugnazione proposta con riguardo alla declaratoria cui la Corte territoriale perviene in ordine al difetto di legittimazione passiva della Regione Calabria deve ritenersi meritevole di accoglimento alla luce dell’orientamento espresso da questa Corte (cfr., da ultimo, Cass., 19.11.2018, n. 29775 ma già Cass., 13.7.2017, n. 17370 ed ivi ulteriori precedenti) secondo cui “una volta che sulla base della convenzione stipulata con il Ministero del Lavoro, il rapporto giuridico si è instaurato tra Regione, ente utilizzatore e soggetto utilizzato in lavori di pubblica utilità, il trasferimento delle risorse dal Fondo per l’occupazione, da cui l’INPS attingeva per l’erogazione del sussidio, alla Regione Calabria, che ha determinato l’ammontare dell’assegno e ha ricevuto per esso il finanziamento vincolato dallo Stato, impone di ritenere che sia proprio l’amministrazione regionale la destinataria della pretesa creditoria del lavoratore il quale ritenga che l’emolumento a lui spettante sia stato quantificato in misura difforme da quanto previsto dalla legge”; che, pertanto, ritenuto assorbito il quarto motivo, il ricorso va accolto nei sensi di cui in motivazione e la sentenza impugnata cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Reggio Calabria, in diversa composizione, che provvederà in conformità, disponendo altresì per l’attribuzione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Reggio Calabria, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 12 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2019
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