Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.15171 del 04/06/2019

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7741-2017 proposto da:

A.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO PLACIDI, rappresentato e difeso dall’avvocato NAZZARENA ZORZELLA;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CLEMENTINA PULLI, NICOLA VALENTE, EMANUELA CAPANNOLO, MANUELA MASSA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 649/2016 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 20/09/2016 R.G.N. 1096/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/04/2019 dal Consigliere Dott. ROSSANA MANCINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’ STEFANO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ALBERTO GUARISO per delega verbale Avvocato NAZZARENA ZORZELLA;

udito l’Avvocato CLEMENTINA PULLI.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 20 settembre 2016, ha confermato la decisione di primo grado che aveva ritenuto decorso il termine semestrale di decadenza per la proposizione dell’azione svolta da H.M., quale amministratore di sostegno della figlia A.T., volta al riconoscimento della pensione di inabilità e dell’indennità di accompagnamento in favore della figlia, benefici negati dall’INPS in mancanza della carta di soggiorno.

2. La Corte di merito, decidendo su due distinti atti di gravame interposti da H.M. avverso la decisione di primo grado e introdotti, rispettivamente, con ricorso e con atto di citazione, riteneva insussistenti i presupposti dell’azione speciale contro la discriminazione, in difetto di allegazione di una o più situazioni analoghe rispetto alle quali l’INPS avrebbe tenuto un comportamento diverso da quello posto in essere nei suoi confronti per le asserite ragioni discriminatorie, e concludeva che, nel caso concreto, la contestazione ineriva sostanzialmente all’applicazione delle norme in materia di prestazioni di invalidità civile (in particolare la L. n. 388 del 2000, art. 80, comma 19), per cui la domanda giudiziale concerneva provvedimenti adottati dall’INPS in esito alle procedure nella predetta materia.

3. Tanto premesso, la Corte territoriale, rilevato il carattere generale della disposizione sul termine di decadenza semestrale per la proposizione dell’azione giudiziale, decorrente dalla comunicazione dei provvedimenti emessi dall’INPS nel procedimento di riconoscimento dell’invalidità civile, riteneva spirato il predetto termine al momento del deposito del ricorso – incontestata, in giudizio, l’epoca della predetta comunicazione – e non scusabile l’errore del richiedente il beneficio, asseritamente indotto dall’erronea indicazione nel provvedimento di diniego dei termini per proporre ricorso, per essere la decadenza processuale sottratta alla disponibilità delle parti e rilevabile d’ufficio.

4. Avverso tale sentenza ricorre H.M., nella predetta qualità, con ricorso affidato a tre motivi, ulteriormente illustrato con memoria, cui resiste, con controricorso, l’INPS.

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Con il primo motivo, deducendo violazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 28, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 2, comma 2 e artt. 41 e 43 e del D.Lgs. n. 251 del 2003, artt. 1, 2, 3 e 4, il ricorrente censura la sentenza impugnata per aver richiesto un onere probatorio a carico del richiedente non prescritto dal diritto antidiscriminatorio.

6. Con il secondo motivo, deducendo violazione delle norme già richiamate con il primo mezzo, censura la ritenuta decadenza dall’azione fondata sull’errato presupposto che si trattasse di azione previdenziale e assume di aver proposto un’azione volta all’accertamento del carattere discriminatorio del diniego e alla rimozione da attuarsi mediante riconoscimento del diritto alle prestazioni assistenziali i presupposti soggettivi dei quali non sono stati oggetto del giudizio non trattandosi di controversia ad esse afferenti, tanto che l’unico elemento in contestazione era la titolarità del permesso di lungo periodo sul quale era stata incentrata l’azione promossa D.Lgs. n. 150 del 2011, ex art. 28. Assume, pertanto, l’erronea declaratoria in ordine alla decadenza dall’azione in applicazione di una norma inconferente e con travisa della natura giuridica dell’azione proposta, in violazione del citato art. 28.

7. Con il terzo motivo, in via subordinata, deducendo violazione di legge (D.L. n. 269 del 2001, art. 42, comma 3, conv. in L. n. 326 del 2003 e della L.n. 241 del 1990, art. 3) ribadisce la scusabilità dell’errore per il legittimo affidamento riposto nelle informazioni rese dalla pubblica amministrazione quanto al termine di proposizione dell’azione avverso il diniego della prestazione richiesta.

8. Il ricorso è da rigettare.

9. I primi due motivi censurano, per violazione di legge, la connotazione giuridica della fattispecie, vale a dire l’interpretazione e qualificazione della domanda data dalla Corte territoriale nell’esercizio di poteri propri del giudice che si risolvono in un giudizio di fatto incensurabile in sede di legittimità.

10. Costituisce insegnamento consolidato di questa Corte che l’interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti si risolve in un giudizio di fatto, riservato esclusivamente al giudice di merito, e che l’applicazione del principio jura novit curia, di cui all’art. 113 c.p.c., comma 1, fa salva la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite, nonchè all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, e ponendo a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti (v., fra le tante, Cass. 24 luglio 2012, n. 12943).

11. Tale regola deve essere, peraltro, coordinata con il divieto di ultra o extra-petizione, di cui all’art. 112 c.p.c., che viene violato quando il giudice pronunzia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato sicchè resta, in particolare, preclusa al giudice la decisione basata non già sulla diversa qualificazione giuridica del rapporto, ma su diversi elementi materiali che inverano il fatto costitutivo della pretesa (cfr. Cass. n. 12943 del 2012 cit. e i precedenti richiamati).

12. La Corte territoriale è pervenuta, nella specie, alla qualificazione dell’azione come previdenziale tenendo conto del petitum e del rapporto giuridico dedotto in giudizio e la censura avverso tale esito, adombrando non già una questione di mera qualificazione giuridica quanto piuttosto la valutazione di una diversa causa petendi, è irritualmente formulata, giacchè la parte avrebbe dovuto svolgere una censura rientrante nel paradigma dell’error in procedendo.

13. Tanto premesso, la Corte di merito ha fatto corretta applicazione del principio affermato da questa Corte, con riferimento alla decadenza prevista dal D.P.R. n. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47 ma applicabile anche alla decadenza prevista dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 3, convertito, con modificazioni, in L. 21 novembre 2003, n. 326, secondo cui l’erronea indicazione, da parte dell’INPS, del termine per proporre ricorso in sede giurisdizionale, contenuta nel provvedimento di rigetto del ricorso amministrativo, non è idonea ad incidere sul decorso dei termini di decadenza dell’azione giudiziaria per il conseguimento di prestazioni previdenziali, trattandosi di termini stabiliti da disposizioni di ordine pubblico, indisponibili dalle parti, a nulla rilevando il convincimento o affidamento della parte sulla base dell’erronea indicazione, nel provvedimento dell’INPS, di un diverso termine per adire l’autorità giudiziaria (profili, questi ultimi, sui quali è incentrato il terzo mezzo d’impugnazione; fra le tante v. Cass. n. 10376 del 2015; Cass. n. 3990 del 2016).

14. Inoltre questa Corte ha già affermato che del D.L. n. 269 del 2003, art. 42, il comma 3 si riferisce ai procedimenti amministrativi concernenti sia i provvedimenti di mancato riconoscimento dei requisiti sanitari sia i provvedimenti di rigetto o revoca dei benefici economici attinenti a requisiti non sanitari, quali quelli socioeconomici, e di conseguenza il termine di decadenza per la proposizione dell’azione giudiziaria, previsto dalla seconda parte dello stesso comma 3, opera sia in riferimento all’ipotesi in cui il diniego in sede amministrativa sia conseguente a ragioni sanitarie sia all’ipotesi in cui il diniego dipenda da ragioni diverse (Cass. n. 8970 del 2018 e la giurisprudenza precedente ivi richiamata).

15. E’ stato altresì precisato che affinchè possa maturare la decadenza è necessario che il provvedimento di rigetto sia esplicito e venga comunicato all’interessato, poichè il dies a quo del termine semestrale è individuato dalla legge nella data di tale comunicazione (v., fra le tante, Cass. nn. 2119 e 12630 del 2018).

16. Correttamente, pertanto, la Corte territoriale, essendo pacifico che il provvedimento amministrativo di diniego della prestazione richiesta era stato comunicato il 30 maggio 2012, ha ritenuto abbondantemente trascorso il termine di decadenza per la proposizione dell’azione giudiziaria (introdotta con ricorso depositato il 25 luglio 2013).

17. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

18. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 2 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2019

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472