LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 19863/2014 proposto da:
P.M.C. – Pantha Management Consulting s.r.l. in persona del L.R.
pro-tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocato Sergio Viale con domicilio eletto ex lege presso la Cancelleria della Corte di cassazione in Roma, p.zza Cavour;
– ricorrente –
contro
Siram s.p.a. elettivamente domiciliata in Roma via Pompeo Magno 2/B presso lo studio dell’Avvocato Fabrizio Grassetti che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
Avverso la sentenza del Tribunale di Torino n. 5746 pubblicata il 1/10/2013;
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 giugno 2018 dal Consigliere Annamaria Casadonte.
RILEVATO
che:
– con sentenza n. 5746 depositata il 30 settembre 2013 il Tribunale di Torino in accoglimento di entrambe le opposizioni riunite proposte dalla Siram s.p.a (d’ora in poi solo Siryam) aveva revocato i due decreti ingiuntivi emessi su ricorso della società P.M.C.-Pantha Management Consulting (d’ora in poi solo PMC) in relazione al pagamento delle prestazioni inerenti al contratto di appalto di servizi e di consulenza intercorso tra la committente Siram e l’appaltatrice PMC;
– avverso la pronuncia del giudice di prime cure l’appaltatrice propose appello che veniva dichiarato inammissibile con ordinanza ex art. 348 bis e ter c.p.c. della Corte d’appello di Torino del 26 maggio 2014;
– la cassazione della sentenza del Tribunale di Torino è chiesta da PMC in forza del disposto di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 3 con ricorso notificato il 24 luglio 2014 ed affidato a due motivi, cui resiste Siram con controricorso.
CONSIDERATO
che:
– con il primo motivo di ricorso si censura la violazione o falsa applicazione degli artt. 2735,2733 e 2704 c.c. e art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il giudice di prime cure ritenuto che PMC non avesse fornito la prova del suo adempimento al contratto di appalto di servizi, avendo ignorato la valenza confessoria della documentazione prodotta, in particolare del questionario di gradimento della relazione al lavoro svolto e sottoscritto dal cliente e non disconosciuto nel contenuto;
– sempre nell’ambito di detto motivo parte ricorrente contesta che la violazione nell’applicazione dei criteri di apprezzamento di detta prova documentale si era riverberata sulla valutazione della sua riferiferibilità all’ordine RM286/A del 2009 di fornitura di prestazioni di consulenza e di supporto oggetto dell’ingiunzione di pagamento; nell’ambito dello stesso motivo si censura altresì la scorretta valutazione delle prove orali con particolare riguardo a quelle riguardanti le testimonianze dei dirigenti della società Siram, i quali avevano riferito di non avere rinvenuto alcuna documentazione relativa al lavoro svolto da PMC;
– tutte le doglianze sin qui esposte non sono ammissibili perchè non attingono alla ratio della decisione di ritenere non dimostrato l’adempimento di PMC;
– il tribunale di prime cure è, infatti, giunto alla suddetta conclusione, peraltro secondo una ripartizione degli oneri probatori frutto di un risalente e costante principio giurisprudenziale (cfr. Cass. Sez. Un. 13533/2001), sulla scorta di alcune precise considerazioni che non risultano intaccate dalla censura;
– ci si riferisce cioè alla mancanza di data certa e di oggettiva riferibilità del questionario ad alcuno dei due ordini oggetto di causa nonchè alla mancanza di prova circa il contenuto di quanto trasmesso con la mail del 23 ottobre 2009;
– precisa, peraltro, la sentenza che anche la convenuta ed odierna ricorrente avrebbe riconosciuto che nel corso del contratto erano cambiate le esigenze alla base di esso ed anche le indicazioni della committente, senza tuttavia fornire prova di ciò;
– risulta ancora dalla sentenza impugnata che la stessa convenuta abbia rinunciato alle prove testimoniali dedotte ed ammesse;
– ebbene parte ricorrente non impugna queste circostanze che sono state complessivamente valutate, invece, decisive per il giudice di merito, il quale non risulta incorso in nessuna delle violazioni di legge richiamate;
– in termini parimenti inammissibili avanti al giudice di legittimità parte ricorrente censura la valutazione delle testimonianze dei dirigenti della società auspicandone un diverso apprezzamento di merito così come di tutto il complessivo quadro probatorio;
– con il secondo motivo si censura in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame della relazione prodotta come doc. n. 6;
– la doglianza nei termini formulati appare effettivamente inammissibile perchè la disposizione dell’art. 348 ter c.p.c., comma 4 si applica, secondo la previsione del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2 conv. in L. n. 134 del 2012 ai procedimenti d’appello introdotti successivamente all’entrata in vigore della legge di conversione (11/9/2012) ed il giudizio d’appello de quo è stato introdotto nel 2013;
– nella consapevolezza di ciò parte ricorrente ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 348 bis e ter per contrarietà agli artt. 24 e 111 Cost.;
– la questione appare, tuttavia, non rilevante poichè l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che secondo l’art. 348 ter c.p.c., comma 4 non sarebbe invocabile nel ricorso in cassazione, allorchè l’inammissibilità è fondata sulle stesse ragioni di fatto poste a fondamento della decisione impugnata, non ha comunque rilievo sull’esito della delibazione del vizio denunciato perchè la relazione, di cui si denuncia l’omesso esame, risulta essere stata presa in esame nella sentenza gravata, seppure con un risultato diverso da quello auspicato dalla ricorrente;
– in particolare, a pag. 6 della sentenza si dà atto che dal prospetto prodotto dall’attrice (odierna controricorrente) come documento n. 6 non sono emersi elementi di contatto con l’ordine in questione (il primo dei due) e neppure dalla relazione prodotta sempre da parte attrice opponente come doc. n. 6 nel secondo giudizio di opposizione si rinvengono elementi utili atteso che l’oggetto della stessa paiono essere attività diverse da quelle di cui era stata incaricata con il secondo ordine;
– in considerazione perciò dell’esito della doglianza proposta, il collegio ritiene di dover dichiarare la non rilevanza della questione di legittimità costituzionale dedotta;
– atteso l’esito sfavorevole dell’intero ricorso ed in applicazione del principio di soccombenza, parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese a favore di parte controricorrente e liquidate come in dispositivo;
– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore della controricorrente e liquidate in Euro 6200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge se dovuti.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile, il 21 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2019
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