Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.15196 del 04/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 7003/2016 R.G. proposto da:

Malvi C. Sas di C.R. & C., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Gianfranco Rondello, Massimo Moretto e Claudio Mazzoni, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma via Taro n. 35, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle dogane, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna n. 1848/03/2015, depositata il 16 settembre 2015.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26 marzo 2019 dal Consigliere Giuseppe Fuochi Tinarelli.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Sorrentino Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Uditi gli Avv.ti Claudio Mazzoni e Gianfranco Rondello per la contribuente che hanno concluso per l’accoglimento del ricorso.

Udito l’Avv. dello Stato Roberto Palasciano che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

Malvi C. Sas impugnava la decisione della Direzione generale dell’Emilia Romagna di definizione dell’accertamento nonchè il conseguente atto di accertamento, con cui l’Agenzia delle dogane rettificava la classificazione della merce importata con la bolletta doganale ***** del 22/06/2009, dichiarata dalla società alla voce NC 0703 90 00 80 (“porri ed altri ortaggi agliacei – altri”), con dazio al 6,9%, ed invece da ricondurre alla voce NC 0703 20 00 00 (“agli”), con dazio al 9,6% e importo specifico di Euro 1.200,00 per tonnellata, poichè a seguito di indagini analitiche il prodotto risultava “aglio comune – allium sativum”, recuperando i maggiori diritti non corrisposti.

La contribuente, in particolare, contestava la legittimità della procedura e, nel merito, la fondatezza della diversa qualificazione della merce, trattandosi di aglio monobulbo, avente caratteristiche fisiche e morfologiche differenti dall’allium sativum. Chiedeva, inoltre, l’applicazione dell’esimente ex art. 220 C.D.C..

L’impugnazione, accolta dalla Commissione tributaria provinciale di Ravenna, era rigettata dal giudice d’appello.

Malvi C. Sas ricorre per cassazione con dieci motivi, chiedendo altresì, ai sensi dell’art. 267 T.F.U.E., la rimessione in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia. L’Agenzia delle dogane resiste con controricorso.

La contribuente deposita altresì memoria ex art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente disattesa l’istanza di riunione ai ricorsi n. r.g. 24279/15, 6996/16 e 7012/16, non sussistendone i presupposti, neppure di economia processuale.

2. Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost., comma 2, dell’art. 111Cost., comma 2, dell’art. 101 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 59, comma 1, lett. b, nonchè dell’art. 112 c.p.c. per mancata rimessione della causa alla Commissione tributaria provinciale in relazione all’accolta eccezione dell’Ufficio di nullità della sentenza di primo grado per violazione del contraddittorio e del diritto di difesa.

2.1. Il motivo, al di là dell’irrituale denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 anzichè n. 4, è inammissibile per carenza di interesse.

La contribuente, infatti, si duole in relazione all’accoglimento solo parziale del motivo di gravame proposto dalla controparte, neppure condiviso ed, anzi, da essa espressamente contestato.

Il motivo è comunque infondato atteso il carattere tassativo e di stretta interpretazione delle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 59.

3. Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione “del principio fondamentale del rispetto dei diritti della difesa, del diritto fondamentale al contraddittorio” e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, art. 41, n. 1 e n. 2 lett. a, del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 66, e del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11.

La contribuente si duole, in particolare, di non essere stata preventivamente sentita, nonostante l’espressa richiesta, nè di aver potuto presentare al Direttore regionale controdeduzioni a quelle presentate dalla dogana in relazione alla nota della contribuente medesima del 1 ottobre 2009 allegata al verbale di controversia doganale.

Deduce, inoltre, la contraddittorietà della sentenza d’appello per aver dichiarato la nullità della decisione di primo grado e, al contempo, dopo poche righe, per aver ritenuto il contraddittorio regolarmente costituito.

3.1. Il motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.

3.2. E’ infondata, in primis, la censurata violazione di legge. Nella vicenda in esame non vi è stata alcuna violazione, nè formale, nè sostanziale, del principio del contraddittorio.

La contribuente, infatti, a fronte delle comunicazioni della dogana e della riclassificazione della merce, con istanza di ripresa del contraddittorio ha espressamente dichiarato di non accettare l’ipotesi di riclassificazione, attivando la procedura di cui all’art. 65 T.U.L.D. conclusa con la redazione del verbale di controversia doganale, che “è sottoscritto da entrambe le parti”.

Dopodichè ha promosso il procedimento ex art. 66, che si regolarmente svolto sulla base delle note e documentazioni allegate dalla parte e dall’Ufficio, per concludersi con la decisione del “capo del dipartimento doganale”.

Orbene, come accertato dalla CTR e come emerge dallo stesso ricorso, la contribuente ha partecipato attivamente alla procedura, depositando proprie note e ricevendo quelle della controparte, si da confermare il rispetto non solo formale ma anche sostanziale del contraddittorio.

Quanto alla dedotta richiesta di audizione la censura si scontra con l’accertamento in fatto operato dalla CTR (“contrariamente a quanto affermato dalla società non risulta essere stata richiesta nel caso in esame”) in alcun modo contrastato: non è dubbio, infatti, che tale indicazione sia stata dedotta nel giudizio; manca invece ogni riscontro che sia stata effettuata nella sede amministrativa.

E’ peraltro dirimente che l’audizione personale delle parti non è prevista per la regolarità del contraddittorio, nè, a tale scopo, può ritenersi necessaria, sia in ragione del carattere altamente tecnico delle questioni controverse, sia in assenza di puntuali indicazioni degli elementi utili che dall’audizione sarebbero potuti derivare.

Del resto, la questione è stata specificamente affrontata – con riguardo alla disciplina italiana – dalla Corte di Giustizia, per la quale “i diritti della difesa del destinatario di un avviso di rettifica dell’accertamento, adottato dall’autorità doganale in mancanza di una previa audizione dell’interessato, non sono violati se la normativa nazionale che consente all’interessato di contestare tale atto nell’ambito di un ricorso amministrativo si limita a prevedere la possibilità di chiedere la sospensione dell’esecuzione di tale atto fino alla sua eventuale riforma rinviando all’art. 244” C.D.C. poichè detta norma “non limita la concessione della sospensione dell’esecuzione qualora vi siano motivi di dubitare della conformità della decisione impugnata con la normativa doganale o vi sia da temere un danno irreparabile per l’interessato” (sentenza 20 dicembre 2017, in C-276/16, Preqù Italia Srl).

3.3. E’ invece inammissibile la deduzione in ordine all’asserita contraddizione su cui sarebbe incorsa la decisione.

La ricorrente, oltre a riportare in termini inesatti il tenore della decisione, in realtà accosta le valutazioni sul contraddittorio e sul diritto di difesa riferite dalla CTR alla decisione di primo grado ad un ambito ad esse del tutto estraneo.

4. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della nomenclatura combinata di cui all’All. I Reg. n. 2658/87/CEE per aver ritenuto il prodotto classificabile alla voce NC 0703 20 00 invece che alla voce NC 0703 90 00" nonchè dell’art. 2697 c.c., dell’art. 115 c.p.c., e dei principi sulla distribuzione dell’onere della prova.

La contribuente si duole, in particolare, che la CTR si sia fondata sull’indagine genetica della merce per ritenere corretta la classificazione dell’Ufficio, nonostante che i risultati del laboratorio utilizzato dalla dogana fossero stati smentiti dall’indagine scientifica svolta dall’Università di Udine, così violando la disciplina della nomenclatura combinata, nonchè, attesa l’unicità della circostanza considerata, i principi sulla ripartizione dell’onere della prova.

4.1. Il motivo è inammissibile per tutti i profili dedotti.

4.2. Occorre invero premettere che la CTR ha motivato le sue conclusioni evidenziando che:

– “le note esplicative costituiscono validi strumenti per l’interpretazione della NC sempre che il loro contenuto sia conforme alle disposizioni della tariffa doganale comune e non ne modifichi la portata”;

– “nessuna delle due sottovoci faceva riferimento alcuno alla struttura mono o polibulbare dei vegetali in esse citati, nè alla loro dimensione e peso”;

– già nel 2008 “la Commissione aveva chiarito, nell’ambito di una amplissima comunicazione contenente note esplicative alla NC (pubblicata in Gazz. Uff. U.E. 30 maggio 2008 C-133/1 – Sezione 11, Capitolo 7 -) che la sottovoce 0703 20 00 Agli “comprende tutte le varietà mangerecce di agli (Allium Sativum)””.

In altri termini, il giudice regionale, in coerente e sostanziale applicazione delle Regole generali di interpretazione, ha ritenuto che, dal tenore delle voci e sottovoci, non risultasse alcun elemento discretivo od essenziale utile alla classificazione e che la nota esplicativa, modificata un anno prima dell’importazione, consentiva invece di individuare, ai fini della corretta classificazione, quale elemento essenziale la riconduzione del prodotto “aglio” (voce NC 0703 20 00) alla specie “allium sativà”.

4.3. Ciò premesso va rilevato per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., “è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma” ossia che abbia “giudicato o contraddicendo espressamente la regola, dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio”, mentre “detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre”, trattandosi di attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (v. Cass. n. 11892 del 10/06/2016).

Orbene, appare evidente che la CTR, in realtà, ha valutato gli elementi probatori introdotti in giudizio dalle parti, in ispecie con riguardo alle risultanze analitiche effettuate dal Laboratorio del Polo Tecnologico Padano e alle risultanze delle analisi effettuate, per il contribuente, dall’Università degli Studi di ***** (oltre che del Laboratorio *****), traendo le proprie conclusioni, sicchè la questione si pone, eventualmente, in termini di adeguatezza della motivazione (non più censurabile) e non di violazione dell’art. 115 c.p.c.

4.4. Nè si pone, a maggior ragione, un profilo di violazione dell’art. 2697 c.c., avendo la CTR compiuto la sua valutazione in base alle prove introdotte nel giudizio, non potendosi sicuramente ritenere integrata una inversione dell’onere della prova per aver la CTR ritenuto idonea quella fornita dall’Ufficio (v. Cass. n. 26769 del 23/10/2018).

4.5. E’ dunque la complessiva censura, in realtà, ad essere inammissibile: la ricorrente, pur lamentando una asserita violazione di legge, contesta in effetti la valutazione delle prove operata dalla CTR, fuori, dunque, addirittura dal paradigma dell’art. 360, n. 5, nel testo anteriore alla riforma del 2012.

5. Il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame di fatti decisivi e controversi, identificati nella comunicazione Agecontrol del 17/01/2011 circa l’inquadrabilità dell’aglio monobulbo nell’allium ampeloprasum e non sativum, negli esami del laboratorio belga ***** sulla quantità di allicina contenuta nell’aglio monobulbo, nella perizia dell’Università di *****, nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 2697 c.c. e dei principi che regolano l’onere della prova.

5.1. Anche tale censura è inammissibile.

5.2. Va premesso che, in relazione al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite (Sez. U, nn. 8053 e 8054 del 07/04/2014), l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; la parte ricorrente è tenuta ad indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso.

Orbene, nella vicenda in esame il fatto storico concerne le caratteristiche della merce, ossia se l’aglio monobulbo sia riconducibile all’allium sativum o all’allium ampeloprasum, mentre l’omessa considerazione investe quanto risulta dalle perizie o relazioni tecniche invocate dalla contribuente; riguarda, inoltre, l’omessa considerazione della comunicazione Agecontrol.

Quanto al primo profilo, peraltro, da un lato la CTR ha espressamente considerato che il bene, alla stregua della risultanze di analisi del Laboratorio molecolare del Polo Tecnologico *****, era “appartenente alla specie Allium Sativum”, mentre il richiamo alle perizie e alle relazioni tecniche attiene, in sè, non al fatto ma alla sua valutazione ad opera del giudice d’appello; le richiamate indicazioni, poi, risultano carenti in punto di autosufficienza (in ispecie con riguardo alla relazione dell’Università di ***** di cui la parte si è limitata a riprodurre le conclusioni finali) e prive di decisività poichè mentre le analisi del Laboratorio Tecnologico forniscono un univoco e chiaro riscontro di identità per il solo allium sativum e non anche per l’ampeloprasum (“L’analisi delle sequenze del locus ITS1-5.8S-ITS2 con il software BLAST ha rivelato un’identità al 100% con 5 sequenze omologhe di A. sativum ed un’identità del 97% con le sequenze omologhe di A. ampeloprasum, dimostrando che le sequenze del locus analizzato sono identiche a quelle note in letteratura come sequenze di A. sativum”) la relazione dell’Università di ***** – per quanto riprodotto in ricorso – si limita ad affermare, genericamente, che “pertanto si può concludere che il prodotto agliaceo… appartiene a una specie diversa da allium sativum”, neppure chiarendo quale essa possa essere.

Analogamente con riguardo al livello di allicina (di per sè parimenti distante da quelli asseritamente presenti nell’allium ampeloprasum e, dunque, a maggior ragione irrilevante ai fini della identificazione del bene) rilevato dal laboratorio belga *****, in sè inidoneo a ad incidere sulla riscontrata identità genetica.

E’ poi privo di rilievo che, in relazione alle conclusioni raggiunte dall’Università di *****, il Laboratorio molecolare del Polo Tecnologico ***** abbia affermato che “non esiste un metodo di indagine molecolare universalmente riconosciuto come di elezione per l’identificazione delle specie vegetali”. Al di là, anche in questo caso, della limitata riproduzione dell’atto in ricorso (e, dunque, in difetto di autosufficienza), l’affermazione ha solo il significato che i metodi di analisi genetica e molecolare sono molteplici (ad es. PRC, la TAQ polimerasi, l’elettroforesi su gel,…, con successiva analisi manuale o con l’utilizzo di sequenziatori automatici;…) e nessuno è “di elezione”, ma non anche che, a seconda del metodo, si pervengono a risultati oggettivamente diversi, conclusione che, del resto, appare inverosimile perchè si porrebbe in lineare e drastica antitesi all’unanime considerazione della validità e attendibilità dei test di identificazione genetica.

Quanto al secondo profilo, la doglianza è parimenti carente dei requisiti sopra individuati, tanto più che l’asserita certificazione si riferisce ad un inquadramento della merce per una partita diversa e, comunque, in relazione alla dichiarazione doganale resa dal contribuente.

5.3. Va conseguentemente disattesa anche la richiesta di rinvio pregiudiziale, carente in punto di rilevanza.

6. Il quinto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione “dei principi generali del diritto dell’Unione Europea di certezza del diritto, di legittimo affidamento e di non discriminazione, nonchè della giurisprudenza della Corte di Giustizia” avuto riguardo alla modifica delle note esplicative pubblicate nella G.U.U.E. il 23 luglio 2010.

Chiede rinvio pregiudiziale ex art. 267 T.F.U.E. quanto alla natura normativa o interpretativa della modifica delle note esplicative, questione poi riproposta con la memoria.

6.1. Il motivo è infondato e ai limiti dell’inammissibile.

6.2. La CTR, infatti, ha rilevato che la determinazione dell’ufficio doganale “non ha tenuto conto della predetta modifica giacchè essa è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea in epoca successiva a quella in cui è stata operata la classificazione doganale in esame”.

In altri termini, la merce in giudizio – aglio monobulbo – è stata classificata nella voce NC 0703 20 00 – Agli a prescindere dalla modifica della nota esplicativa poichè essa era già riconducibile in detta voce alla luce – come prima esposto – del tenore delle voci e delle sottovoci oltre che della nota esplicativa modificata sin dal 2008.

6.3. E’ appena il caso di evidenziare che una simile conclusione porta a ritenere, quale mero coronario, che la modifica del 23 luglio 2010 non poteva che avere valenza interpretativa (e dunque retroattiva) poichè l’identificazione del carattere essenziale – la riconduzione dell’aglio alla specie allium sativa – era, quantomeno, risalente al 2008.

La portata chiarificatrice della disposizione è evidente: assume importanza solo che il bene appartenga ad una determinata specie, per il cui accertamento si può procedere anche con esame genetico, irrilevante che la struttura sia mono o polibulbare.

6.4. Per completezza, è pure privo di rilevanza che il Reg. n. 2288/97/CE, contenente le norme di commercializzazione, nel distinguere le tipologie di aglio (extra, I e II categoria) contenesse altresì una specificazione sulle caratteristiche dei bulbilli (serrati, sufficientemente serrati, mancanza di tre bulbilli al massimo), elemento da cui la contribuente trae ragione a sostegno della diversa classificazione dell’aglio monobulbare.

A prescindere dal fatto che il citato regolamento da preminente rilievo alla qualità, alla forma e all’aspetto complessivo dei prodotti, l’indicazione, al plurale, dei bulbilli non esclude affatto che, in concreto, il bulbo potesse essere composto da un unico bulbillo.

E’ poi dirimente che, con riguardo alla fattispecie in giudizio, che la disciplina del settore ortofrutticolo era stato oggetto di una pluralità di interventi innovativi tra il 2007 e il 2008 (v. in particolare i Reg. n. 1182/2007/CE, n. 1234/2007/CE, poi integrati tra loro con il Reg. n. 361/2008/CE, tutti afferenti l’organizzazione del settore ortofrutticolo) e che, con specifico riguardo alle norme di commercializzazione il Reg. n. 1221/2008/CE aveva abrogato il Reg. in. 2288/97/CE, sopprimendo ogni regola burocratica sulla dimensione, peso e qualità dell’aglio.

Detto regolamento, inoltre, era entrato in vigore il 16 dicembre 2008 ancorchè, per consentire la definizione delle attività in corso, la sua applicazione era differita al 30 giugno 2009.

Ne deriva l’ininfluenza ai fini interpretativi della citata disciplina e ciò, a maggior ragione, tenuto conto che nella specie i prodotti erano stati importati con bolletta del 22 giugno 2009 e la commercializzazione (i.e. la destinazione al consumatore, cui si riferisce il reg. n. 2288/97/CE) era sicuramente successiva.

6.5. In assenza di concreto rilievo della questione nel giudizio, pertanto, va altresì disattesa l’istanza cli rinvio pregiudiziale.

7. Il sesto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, violazione dell’art. 112 c.p.c. per aver la CTR “omesso di pronunciarsi sull’eccepita inconferenza del DNA ai fini della classificazione di un prodotto agliaceo in una voce doganale, dovendosi invece valorizzare a tali fini le caratteristiche fisiche, morfologiche ed organolettiche del prodotto”.

7.1. Il motivo è infondato.

La CTR, infatti, come sopra evidenziato, da un lato, ritenendo la validità e congruenza delle analisi del laboratorio di genetica molecolare, ha esplicitamente affermato la pertinenza e preminenza delle analisi genetiche, mentre dall’altro, in termini parimenti diretti, ha escluso la rilevanza, ai fini della classificazione, di ogni elemento strutturale dei vegetali, assumendo rilievo, quale connotazione essenziale per la classificazione, la riconduzione del prodotto alla specie allium sativum.

E’ poi inconferente, rispetto alla vicenda in esame, la decisione della Corte di Giustizia 8 giugno 2006, in C-195/06, Sachsenmilch AG, per cui “il sapore può costituire una caratteristica e una proprietà oggettiva del prodotto”, che si riferiva a prodotti (formaggi freschi) per i quali la stessa voce di nomenclatura postulava la valutazione delle proprietà organolettiche (la voce 0406 10, relativa ai “formaggi freschi (non affinati)”) (v. in termini analoghi Corte di Giustizia, 8 febbraio 1990, in C-233/88, Gijs van de Kolk-Douane Expediteur BV, relativa alle “carni insaporite”), indicazioni nella specie assenti.

8. Il settimo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, violazione dell’art. 112 c.p.c. per aver la CTR “omesso di pronunciarsi sulla eccepita applicabilità della regola generale n. 3 lett. b” della tariffa doganale comune ove il prodotto fosse stato classificabile in due sottovoci doganali.

8.1. Il motivo è inammissibile, neppure ponendosi una questione di omessa pronuncia ma, in ipotesi, di violazione di legge per errata applicazione delle Regole generali di interpretazione.

8.2. La CTR, infatti, individuate le caratteristiche della merce, si è limitata, in evidenza, ad applicare le Regola n. 1 (secondo cui “la classificazione delle merci è determinata legalmente dal testo delle voci, da quello delle note premesse alle sezioni o ai capitoli e, occorrendo, dalle norme che seguono, purchè queste non contrastino col testo di dette voci e note”) e poi la Regola n. 3 lett. a, per cui la voce più specifica deve avere la prevalenza sulla voce di portata più generale, escluso ogni dubbio tale da determinare l’attivazione della Regola n. 3, lett. c.

9. L’ottavo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 220 C.D.C., par. 2, lett. b.

9.1. Il motivo è infondato ancorchè la motivazione debba essere corretta ex art. 384 c.p.c.

9.2. E’ infatti errata l’affermazione della CTR secondo la quale l’esimente sia invocabile solo in sede di domanda di sgravio o rimborso ex artt. 236 e ss C.D.C..

Come affermato dalla Corte di Giustizia, infatti, il contribuente può, in sede sia di ricorso amministrativo che giurisdizionale, far valere l’applicazione della norma (v. di recente Corte di Giustizia, sentenza 26 ottobre 2017, in C-407/16, “Aqua Pro” SIA).

9.3. La CTR, tuttavia, ha altresì esaminato la questione nel merito, ritenendone insussistenti i presupposti di fatto.

9.4. Occorre ricordare, sul punto, che secondo l’art. 220 C.D.C., n. 2, lett. b, le autorità competenti non procedono alla contabilizzazione a posteriori dei dazi all’importazione solo qualora ricorrano tre condizioni cumulative, ossia che: i dazi non siano stati riscossi a causa di un errore delle autorità competenti stesse; l’errore commesso da queste ultime sia stato di natura tale da non poter essere ragionevolmente rilevato da un debitore in buona fede; quest’ultimo abbia rispettato tutte le prescrizioni della normativa in vigore relative alla sua dichiarazione in dogana (v. Corte di Giustizia, sentenza 12 luglio 1989, in C-161/88, Binder, punti 15 e 16; sentenza 14 maggio 1996, C-153/94 e C-204/94, Faroe Seafood e a., punto 83; sentenza 18 ottobre 2007, in C173/06, Agrover Srl, punto 30, sentenza 16 maggio 2017, in C47/16, Valsts iepemumu dienests, punto 24).

9.5. Nella vicenda in esame è carente la prima delle citate condizioni. Infatti:

– l’asserita classificazione come Allium ampelosaprum operata dall’OLAF in occasione di un controllo dei magazzini nel 2006 ha riguardato, come rilevato dalla CTR, con accertamento in fatto qui neppure contestato (la ricorrente si limita ad affermare, ma in difetto di autosufficienza, che in tale occasione si sarebbe proceduto “anche ad una visita dell’aglio monobulbo presente in magazzino”), una verifica meramente documentale “esclusa qualsiasi specifica analisi della merce”, da cui l’irrilevanza ai fini della formazione del legittimo affidamento; neppure è certa, del resto, l’identità tra la merce presente nel 2006 e quella oggetto dell’importazione di cui al giudizio, effettuata ben tre anni dopo;

– è privo di ogni riscontro che gli organi comunitari abbiano per un lungo periodo ritenuto che nella voce 0703 90 00 rientrassero solo gli agli polibulbo;

– è privo di ogni incidenza che in alcune analisi del 2001 del Laboratorio Chimico della Dogana di Trieste dell’aglio monobulbo sia stato classificato come Allium ampelosaprum, mancando, anche in questo caso (e a maggior ragione attesa l’epoca delle analisi), ogni riscontro che si trattasse della medesima merce (e non una altra varietà di aglio) oggetto della presente esportazione;

– analoga considerazione investe l’invocata ITV del 2004, la cui validità per gli stessi interessati aveva (all’epoca) una durata solo triennale, mentre per i terzi è solo suscettibile di rilievo probatorio.

Nè maggior rilievo ha il certificato fitosanitario, che assolve, ex D.Lgs. n. 214 del 2005, attuativo della Dir. 2002/89/CE(“concernente le misure di protezione contro l’introduzione e la diffusione nella Comunità di organismi nocivi ai vegetali o ai prodotti vegetali”) alla diversa funzione di attestare che la merce è stata controllata ed è in regola sul piano sanitario.

Non sussiste, dunque, un comportamento “attivo”, che richiede che sia stata l’Amministrazione a porre in essere i presupposti sui quali riposa il legittimo affidamento del debitore.

9.6. Oltre a ciò va ribadito che sin dal giugno 2008 costituiva un dato certo e incontroverso che “la sottovoce 0703 20 00 Agli “comprende tutte le varietà mangerecce di agli (Allium Sativum)””, da cui la necessità per l’importatore di operare le opportune verifiche, da cui la non invocabilità della buona fede.

9.7. Va conseguentemente disattesa anche la richiesta di rinvio pregiudiziale, riproposta in memoria, attesa la carenza di rilevanza degli elementi dedotti e la loro, in concreto, non incidenza sulla vicenda in giudizio.

10. Il nono motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5.

10.1. Il motivo è inammissibile per carenza d’interesse.

La vicenda in esame ha ad oggetto esclusivamente il recupero dei diritti doganali dovuti e non versati, e non anche l’irrogazione di sanzioni, sicchè esula dall’ambito di applicazione della norma.

11. Il decimo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, per aver la CTR liquidato le spese per il secondo grado in misura sproporzionata rispetto a quelle di primo grado e incompatibili con le tariffe professionali.

11.1. Il motivo è infondato.

La liquidazione delle spese operata per il grado d’appello, pari a Euro 11.712,00, seppur più elevata rispetto a quelle di primo grado, rientra nei parametri di legge.

La sommatoria delle pertinenti voci previste dal D.M. n. 55 del 2014 è infatti pari ad Euro 17.149,00 (valore mediano = 9.310,00; valore massimo per incremento nella misura dell’80% D.M. n. 55 del 2014, ex art. 4 (100% per fase istruttoria) = 17.149,00), importo che va ridotto del 20% D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 15, comma 2 bis, sicchè il limite massimo è uguale a Euro 13.719,00.

Rientra poi nella discrezionalità del giudice di merito – fermi i limiti massimi e minimi – la concreta liquidazione delle stesse, senza che assuma rilievo l’entità della rinnovata determinazione delle spese di primo grado in relazione all’esito della lite, profilo che, in ogni caso, non integra una violazione di legge.

12. Il ricorso va pertanto rigettato e le spese liquidate, come in dispositivo, per soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna Malvi C. Sas di C. Roberto & C. al pagamento delle spese a favore dell’Agenzia delle dogane, che liquida in Euro 8.000,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, il 26 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2019

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