Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.15207 del 04/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo M. – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filipp – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18455/2015 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, (C.F. *****), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12.

– ricorrente –

contro

SOGEMAR SPA, (C.F. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti SARA ARMELLA e MARINA MILLI, con domicilio eletto presso quest’ultima in Roma, Via Marianna Dionigi, 29.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 219/35/2015 depositata il 27 Gennaio 2015.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 marzo 2019 dal Consigliere Filippo D’Aquino.

RILEVATO

CHE:

La contribuente, quale spedizioniere doganale in regime di rappresentanza indiretta (come risultante diffusamente dalla narrativa della sentenza impugnata), ha proposto alcuni ricorsi avverso avvisi di accertamento e rettifica e avverso un atto di irrigazione sanzioni dell’Ufficio delle Dogane di Milano ***** relativamente a dazi, IVA e sanzioni, con cui era stata contestata allo spedizioniere, quale coobbligato solidale l’importazione di merci, senza inclusione nel valore di transazione del corrispettivo dei diritti di proprietà intellettuale (IPR) asseritamente incorporati nelle merci importate, corrisposte dall’importatore Puma Italia al terzo Puma Ag in base a quanto previsto dal Reg. (CEE) 12 ottobre 1992, n. 2913 del 1992, art. 32, comma 1, lett. c), (CDC) e dal Reg. (CEE) 2 luglio 1993, n. 2454 del 1993 (DAC), art. 157;

che la CTP di Milano ha rigettato i ricorsi previa loro riunione e che la CTR della Lombardia, con sentenza in data 27 gennaio 2015, ha accolto l’appello, evidenziando che:

– la responsabilità dello spedizioniere non sussiste, essendo l’importatore (Puma Italia SRL) unico soggetto obbligato per l’IVA sulla base della Dir. 112/2006/CE, non essendovi obbligato lo spedizioniere in quanto non proprietario delle merci;

– la responsabilità dello spedizioniere, ove sia rappresentante diretto, riguarda unicamente la corrispondenza tra la dichiarazione doganale e la situazione oggettiva della merce;

– l’art. 201 CDC, par. 3, esclude la responsabilità dello spedizioniere che abbia agito come rappresentante diretto (in nome e per conto) dell’importatore;

– l'”obbligo di verità” richiesto dalla disciplina doganale non va inteso come accertamento della genuinità delle informazioni contenute nei documenti doganali;

– i diritti di licenza non sono ricompresi nel valore di transazione, in quanto attinenti a servizi resi dalla casa madre Puma AG “tra cui il diritto all’utilizzo del marchio” ma non assimilabili a diritti di licenza;

– a beneficio del fornitore della contribuente, viene corrisposta una commissione di acquisto e non diritti di licenza e il licenziante non esercita alcun controllo sui fornitori asiatici nè organizzativo, nè contrattuale;

che propone ricorso per cassazione l’Ufficio affidato a sette motivi, cui resiste la società contribuente con controricorso.

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo l’ufficio ricorrente denuncia nullità della sentenza ed error in procedendo a termini del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, per non avere il giudice di appello dichiarato inammissibile il ricorso introduttivo di primo grado e il successivo ricorso in appello; deduce il ricorrente di avere proposto l’eccezione di inammissibilità in primo e secondo grado;

che, prescindendosi dai profili di scarsa specificità della censura (per non avere il ricorrente riproposto in sede di ricorso le deduzioni articolate in prime cure che dimostrerebbero la proposizione della censura già in primo grado), l’eccezione di inammissibilità della domanda per mancanza di specificità dei motivi costituisce specifica censura della sentenza di merito, che presuppone la proposizione di appello incidentale avverso la sentenza di primo grado che abbia rigettato ancorchè implicitamente la censura; non risulta che il ricorrente abbia proposto appello incidentale sotto questo profilo, nè è stato specificato in quali termini tale eccezione sarebbe stata formulata in prime cure; la carenza di specifica impugnazione del vizio della sentenza di primo grado comporta l’inammissibilità della relativa censura;

che con il secondo motivo il ricorrente deduce nullità della sentenza ed error in procedendo, con violazione dell’art. 112 c.p.c., per non essersi il giudice di appello pronunciato sulla eccezione di nullità della sentenza di primo grado, deducendo che tale questione non può ritenersi assorbita ove si tratti, come nella specie, di pregiudizialità;

che il motivo è infondato, avendo la CTR fatto applicazione del principio processuale della ragione più liquida, desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., che consente la definizione della causa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre (Cass., Sez. V, 9 gennaio 2019, n. 363; Cass., Sez. V, 11 maggio 2018, 11458).

che con il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, nonchè nullità del procedimento, nella parte in cui il giudice di appello non ha dichiarato inammissibile il gravame per proposizione di domande nuove, nonchè non avendo rilevato la inammissibile produzione di documenti che già si trovavano nella disponibilità della parte all’atto della proposizione del ricorso;

che con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e nullità del procedimento, per non essersi pronunciata sulla eccezione di nullità delle domande nuove e dei novi documenti;

che i due motivi, i quali possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili per carenza di specificità, non avendo il ricorrente indicato quali siano i nuovi motivi, limitandosi il ricorrente a considerazioni circa l’ampiezza del ricorso in appello rispetto al ricorso in primo grado e alla generica inammissibilità di “tutti i motivi di appello”, laddove egli avrebbe dovuto indicare separatamente e analiticamente il contenuto delle censure di parte contribuente in primo e in secondo grado; ugualmente inammissibile si rivela per il medesimo profilo la deduzione relativa alla inammissibilità della produzione dei documenti carenti del requisito della novità di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 2, in assenza della loro specifica indicazione;

che con il quinto motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del Reg. (CE) 12 ottobre 1992, n. 2913 del 1992, art. 201 e ss., (CDC) per avere la sentenza escluso la responsabilità dello spedizioniere; assume la responsabilità dello spedizioniere in quanto dichiarante in dogana, risultando dagli atti pacificamente rappresentante indiretto della società importatrice PUMA ITALIA, la cui responsabilità si cumula a quella dell’importatore, come già affermato da questa Corte (Cass., Sez. V, 23 aprile 2010, n. 9773) e dalla Corte di Giustizia UE;

che con il sesto motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 5,deducendo la responsabilità dello spedizioniere a titolo di colpa quale autore materiale della presentazione della merce in dogana, non avendo lo spedizioniere dimostrato di avere operato con la diligenza professionale;

che i due motivi possono essere esaminati congiuntamente e vanno accolti, essendo ferma questa Corte nell’affermare il principio secondo cui lo spedizioniere che abbia presentato merci in dogana per conto terzi, ma in nome proprio risponde, ai sensi dell’artt. 12 cit., e del Reg. CEE n. 2913 del 1992, artt. 201 e 202, in via solidale con il soggetto per conto del quale la merce medesima è stata presentata in dogana, di tutti i dazi, le imposte e gli accessori dovuti, a qualsiasi titolo, in relazione all’operazione commerciale, compresi gli interessi relativi, essendo tale figura di rappresentante indiretto, anche per la sua preparazione professionale, in grado di valutare la veridicità dei documenti trasmessigli, e dunque consapevole dell’irregolarità dell’introduzione delle merci nel territorio della Comunità (Cass., Sez. V, 23 aprile 2010, n. 9773);

che, in particolare, la dichiarazione resa dal rappresentante indiretto, in qualità di dichiarante, regge la responsabilità dello spedizioniere per effetto della mera dichiarazione a termini del Reg. n. 2913 del 1992, art. 201, commi 2 e 3, (Cass., Sez. V, 26 febbraio 2019, n. 5560);

che, in ogni caso, la responsabilità dello spedizioniere quale dichiarante in dogana fonda essa stessa la qualità di soggetto responsabile a norma del Reg. (CEE) n. 2913 del 1992, art. 201, par. 3, (Cass., Sez. V, 27 marzo 2013, n. 7720), gravando sul rappresentante indiretto l’obbligo di vigilare – con la diligenza qualificata da ragguagliare, ex art. 1176 c.c., comma 2, alla natura dell’attività esercitata – sull’esattezza delle informazioni fornite dall’esportatore allo Stato di esportazione, al fine di evitare abusi, posto che l’Unione Europea non è tenuta a subire le conseguenze di comportamenti scorretti dei fornitori dei suoi cittadini, rientranti nel rischio dell’attività commerciale, e contro i quali gli operatori economici ben possono premunirsi nell’ambito dei loro rapporti negoziali (Cass., Sez. V, 8 febbraio 2019, n. 3739);

che con il settimo motivo il ricorrente deduce violazione a falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., e nullità della sentenza, per avere la sentenza impugnata omesso di valutare le prove fornite dall’Ufficio con riferimento all’accertamento in fatto effettuato dal giudice di appello circa l’estraneità dei diritti di licenza alla merce importata; deduce erroneità, in particolare, nella parte in cui la sentenza impugnata, a fronte della clausola contrattuale che prevede espressamente la corresponsione di una royalty del 7,5%, ha escluso trattasi di diritti di licenza ma di diritti dovuti alla casa madre PUMA AG per servizi (spese ricerca e sviluppo, marketing), senza specificare per quale motivo debba prescindersi dalla clausola che prevede espressamente la corresponsione di una royalty;

che il motivo è inammissibile laddove, pur deducendosi una violazione di legge, le censure si incentrano sulla motivazione del giudice di appello sotto il profilo di supposte carenze della delibazione del materiale probatorio, chiedendo il ricorrente una non consentita rivalutazione delle emergenze processuali diversa da quella fornita dal giudice di merito, al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento (Cass., Sez. Lav., 7 giugno 2013, n. 14463), nonchè essendo il principio del libero convincimento di cui agli artt. 115 e 116 c.p.c., situato sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità (Cass., Sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940), salvo che si deduca che il giudice del merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali (Cass., VI, 17 gennaio 2019, n. 1229);

che, pertanto, vanno accolti il quinto e il sesto motivo di ricorso, con rigetto degli altri motivi di ricorso e rinvio alla CTR della Lombardia in diversa composizione, anche per le spese del presente procedimento.

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibili il primo, il terzo, il quarto e il settimo motivo di ricorso, rigetta il secondo, accoglie il quinto e il sesto motivo, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla CTR della Lombardia in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente procedimento.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 27 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2019

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