Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.15209 del 04/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO Maria Giulia – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 5169/2018 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI (C.F. *****), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12

– ricorrente –

contro

SOGEMAR SPA (C.F. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. ALESSANDRO FRUSCIONE, elettivamente domiciliato presso lo studio Santacroce &

Associati in Roma, Via Giambattista Vico, 22;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 3001/2017 depositata il 6 luglio 2017;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 marzo 2019 dal Consigliere D’Aquino Filippo.

RILEVATO

CHE:

SOGEMAR, in qualità di spedizioniere dichiarante in dogana e coobbligato in solido con l’importatore, ha separatamente impugnato l’avviso di rettifica di accertamento e il conseguente atto di irrogazione sanzioni emesso dall’Ufficio delle Dogane di Milano 2 per mancata inclusione nel valore di transazione dei diritti di licenza sulle merci importate, contestando l’erronea ricomprensione nel valore di transazione dei diritti di licenza, il calcolo degli interessi, nonchè applicazione e calcolo delle sanzioni;

che la CTP di Milano ha riunito i ricorsi, rigettando il ricorso avverso l’avviso di accertamento e accogliendolo in punto irrogazione delle sanzioni per obiettiva incertezza normativa;

che l’Ufficio ha proposto appello avverso l’atto di annullamento delle sanzioni e che la CTR della Lombardia, con sentenza in data 6 luglio 2017, ha rigettato l’impugnazione per assenza dei requisiti per l’emissione dell’avviso di rettifica, rilevando come i diritti di licenza possono essere ricompresi nel valore di transazione a termini dell’art. 32, par. 1, lett. c) Regolamento (CEE) 12 ottobre 1992, n. 2913 (CDC) e dell’art. 157 Regolamento (CEE) 2 luglio 1993, n. 2454 (DAC) solo se costituiscono condizione della vendita, ovvero se, in caso di operazione trilaterale (in cui il licenziante è soggetto distinto dal venditore/fornitore) il pagamento di diritti di licenza al licenziante non sia richiesto dal venditore per effetto di un controllo sul venditore/fornitore da parte del licenziante ex art. 160 DAC;

che, nella specie, la CTR ha ritenuto insussistenti i presupposti per l’emissione dell’atto di accertamento del valore in dogana, atto presupposto per l’irrogazione delle sanzioni, confermando per tale motivo l’annullamento dell’atto di irrogazione delle sanzioni;

che propone ricorso per cassazione l’Ufficio con quattro motivi cui resiste la società contribuente con controricorso.

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo l’Ufficio ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 29 e 61 nonchè violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non avere il giudice di appello con la sentenza impugnata proceduto alla riunione dei gravami, proposti separatamente sia quanto agli atti oggetto di impugnazione (avvisi di accertamento e sanzioni), sia in relazione all’importatore (il terzo Giochi Preziosi e lo spedizioniere doganale Sogemar);

che con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, denunciando perplessità della motivazione nella parte in cui la sentenza impugnata ha considerato la società terza Giochi Preziosi HK LTD come parte del rapporto trilaterale, laddove tale terzo avrebbe svolto unicamente il ruolo di mero intermediario, essendo Giochi Preziosi SPA licenziatario e importatore, soggetto che dovrebbe chiedere i diritti di licenza al licenziante;

che con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. e ss. e degli artt. 157, comma 2, 160, 163 Reg. 2 luglio 1993, n. 2454 (DAC), degli artt. 2697 c.c. e ss. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, laddove la sentenza ha affermato che l’Ufficio non ha provato che i licenzianti possano impedire al venditore di vendere le merci ove il compratore non paga le relative royalties; deduce il ricorrente di avere fornito la prova del potere di costrizione dei licenzianti sia nei confronti del licenziatario, sia nei confronti dei produttori alla luce del contenuto delle clausole contrattuali, riprodotte nella parte narrativa del ricorso, così come sarebbe smentito “sia dagli atti dell’Ufficio che dalla decisione di primo grado, che è scaturita dall’esame dei medesimi contratti” l’affermazione secondo cui non vi sarebbe alcun indice rivelatore del controllo a termini dell’art. 160 DAC;

che con il quarto motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 201,202 Reg. (CEE) 12 ottobre 1992, n. 2913 per avere il giudice di appello ritenuto che lo spedizioniere vada esente dalla responsabilità di cui alle norme citate, ritenendo che lo spedizioniere non abbia fornito la prova della propria buona fede;

che va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, avendo il ricorrente ripercorso la vicenda processuale che ha condotto la CTR a separare le cause decise in prime cure in relazione ad avvisi di accertamento e sanzioni, decise con due differenti pronunce del giudice di appello;

che il primo motivo è infondato, posto che il provvedimento di riunione come anche quello di separazione (come nel caso di specie), fondandosi su valutazioni di mera opportunità, costituisce esercizio del potere discrezionale del giudice, e ha natura ordinatoria, essendo pertanto insuscettibile di impugnazione e insindacabile in sede di legittimità (Cass., Sez. U., 6 febbraio 2015, n. 2245; Cass., Sez. VI, 30 marzo 2018, n. 8024);

che il secondo motivo di ricorso è infondato posto che ricorre il caso della motivazione perplessa nel caso in cui la motivazione sia del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè incomprensibile (Cass., Sez. VI, 25 settembre 2018, n. 22598), laddove il giudice di appello ha dedotto che “dai contratti prodotti agli atti di causa non risulta in alcun modo che siano stati richiesti all’acquirente-importatore Giochi Preziosi SPA, nè dall’esportatore nè dal licenziatario il pagamento di diritti di licenza quale condizione per la vendita delle merci importate” e che, in ogni caso “non è stata fornita dall’Ufficio” la prova che vi sia stato pagamento diretto o indiretto dei diritti di licenza quale condizione della vendita delle merci importate, nè avendo l’Ufficio “provato che i vari licenzianti possano impedire al venditore-esportatore Giochi Preziosi HK Limited di vendere le merci se il compratore-importatore SPA non paga le relative royalties”, nè risultando infine “alcun indice rivelatore di un controllo tanto penetrante da integrare ai sensi dell’art. 160 DAC una vera e propria condizione di vendita, non rinvenendosi nè l’imposizione del produttore o del venditore in esclusiva da parte dell’acquirente, nè un contratto di retto di produzione tra licenziante e venditore, nè un controllo di fatto sulla produzione, sulla logistica o sulla consegua delle merci”;

che, pertanto, le deduzioni di parte ricorrente relative al secondo motivo di ricorso attengono a mere imprecisioni della parte motiva che non rendono privo di coerenza logica l’intero impianto motivazionale;

che il terzo motivo di ricorso è inammissibile, posto che il vizio di violazione di legge – che consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge – come anche il vizio di falsa applicazione di legge – che consiste nel sussumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addica, sul presupposto che la fattispecie astratta da essa prevista implicano necessariamente una questione interpretativa, laddove l’allegazione, come nella specie, di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura non è consentita come violazione di legge ma sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass., Sez. VI, 12 ottobre 2017, n. 24054);

che, difatti, il ricorrente non chiede la verifica della corretta interpretazione delle disposizioni normative enunciate, ma invoca una diversa rivalutazione delle clausole dei contratti di licenza attraverso una rilettura del materiale probatorio, al fine di enucleare dai contratti di licenza un diverso giudizio in ordine alla qualificazione del pagamento dei diritti di licenza quale condizione della vendita; il che non costituisce propriamente controllo di logicità del giudizio del giudice di merito, bensì revisione del ragionamento decisorio, ossia revisione dell’opzione che ha condotto il giudice del merito a una determinata soluzione della questione esaminata, il che si traduce in una inammissibile nuova formulazione del giudizio di fatto (Cass., Sez. I, 5 agosto 2016, n. 16526);

che, in ogni caso, l’accertamento della volontà degli stipulanti in relazione al contenuto di una clausola contrattuale costituisce indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito e che è censurabile in sede di legittimità – nel caso di dedotta violazione delle norme ermeneutiche stabilite dagli artt. 1362 c.c. e ss. ove la censura venga formulata con la specifica indicazione del modo in cui il ragionamento del giudice si sia da esse discostato (Cass., Sez. II, 7 luglio 2004, n. 12468; Cass., Sez. III, 22 ottobre 2004, n. 20593); nel qual caso non è sufficiente (come fa il ricorrente) un generico e cumulativo richiamo ai criteri interpretativi violati e neppure una critica della ricostruzione della volontà dei contraenti che, benchè genericamente riferibile alla violazione denunciata, si riduca, come nella specie, alla mera prospettazione di un risultato interpretativo diverso da quello accolto nella sentenza impugnata (Cass., Sez. U., 2 febbraio 2016, n. 1914; Cass., Sez. Lav., 15 novembre 2013, n. 25728);

che il quarto motivo di ricorso è inammissibile, non essendovi traccia nella motivazione della sentenza delle statuizioni lamentate, per cui non appare esservi alcun interesse alla suddetta censura;

che, per l’effetto, il ricorso va rigettato nel suo complesso, con spese regolate dal principio della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso; condanna l’AGENZIA DELLE DOGANE al pagamento delle spese processuali in favore di SOGEMAR, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre 15% per spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 27 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2019

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