Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.15253 del 04/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5460-2018 proposto da:

T.M.I., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI PIO DE GIOVANNI;

– ricorrente –

contro

DAUNIA MEDICA SPA, in persona dell’amministratore delegato, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati PASQUALE GENTILE, RAFFAELE CASTRIOTTA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2022/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 18/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 05/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CAVALLARO LUIGI.

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata il 18.8.2017, la Corte d’appello di Bari ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato l’impugnativa proposta da T.M.I. avverso il licenziamento intimatole da Daunia Medica s.p.a. nell’ambito di una procedura collettiva di riduzione del personale;

che avverso tale pronuncia T.M.I. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura;

che Daunia Medica s.p.a. ha resistito con controricorso;

che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che entrambe le parti hanno depositato memoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, commi 2, 3, 4 e 6, e art. 24, in combinato disposto con l’art. 2697 c.c., ed ancora violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, per avere la Corte di merito ritenuto: a) che la mancata comunicazione all’Ufficio provinciale del Lavoro dell’avvio della procedura di riduzione del personale non rilevasse in specie, per essere stato raggiunto con le OO.SS. un accordo circa le modalità con cui procedere alla riduzione medesima; b) che la censura relativa alla violazione dei termini di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, fosse tardiva, per essere stata sollevata soltanto in appello; c) che “la nota del 06.09.2010 (fosse) stata trasmessa alle 00.SS. Territoriali, a quelle aziendali e alla Direzione Provinciale del Lavoro” (così il ricorso, pag. 12); d) che potesse essere acquisita d’ufficio la copia dell’avviso di ricevimento della raccomandata relativa alla spedizione delle comunicazioni di cui al precedente punto c) che alla medesima potesse essere attribuito valore probatorio; e) che la comunicazione effettuata alle RSA fosse rituale ancorchè non indirizzata al sig. M.S., RSA CISL;

che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, commi 9 e art. 24, in combinato disposto con l’art. 2697 c.c., e omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, per avere la Corte territoriale ritenuto che la comunicazione finale della procedura fosse stata contestuale, nonostante fosse intervenuta con cinque mesi di ritardo rispetto all’intimazione dei licenziamenti, e la procedura si fosse svolta nel rispetto delle scansioni temporali fissate dalla citata L. n. 223 del 1991, art. 4;

che è consolidato il principio secondo cui l’articolazione di un singolo motivo di ricorso per cassazione in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, costituisce ragione d’inammissibilità dell’impugnazione quando la sua formulazione non consente o rende difficoltosa l’individuazione delle questioni prospettate (Cass. n. 7009 del 2017);

che, sotto altro ma concorrente profilo, si è chiarito che non è consentita, in sede di ricorso per cassazione, la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, mettendo capo alla prospettazione della medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati in modo incontestato gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della disposizione normativa, e del vizio di omesso esame circa fatti decisivi, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (così da ult. Cass. n. 26874 del 2018);

che, in termini più generali, si è affermato che è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca solo apparentemente la violazione di norme di legge, mirando in realtà alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, atteso che ciò realizzerebbe la surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, grado di merito (Cass. n. 8758 del 2017);

che, nella specie, il ricorso palesa tutti i vizi dianzi esposti, dal momento che il primo motivo si dispiega da pag. 6 a pag. 18 in una pluralità di profili di doglianza non facilmente sceverabili l’uno dall’altro, senza precisa connessione con le disposizioni enumerate nella rubrica e deducendo violazioni e false applicazioni di legge in riferimento a fatti che si contesta essere accaduti così come accertato dai giudici di merito, mentre il secondo, oltre a mescolare inammissibilmente la denuncia di violazione di legge e di omesso esame circa fatti decisivi, è palesemente volto ad ottenere un riesame del giudizio di fatto reso dalla Corte territoriale circa la contestualità della comunicazione finale L. n. 223 del 1991, ex art. 4, comma 9, e il complessivo rispetto delle scansioni temporali della procedura di riduzione del personale;

che il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza e si distraggono in favore dei difensori di parte controricorrente, dichiaratisi antistatari;

che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge, e si distraggono in favore dei difensori di parte controricorrente.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 5 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 giugno 2019

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