LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 25428/2014 proposto da:
RAI – RADIOTELEVISIONE ITALIANA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 21/23, presso lo studio dell’avvocato CARLO BOURSIER NIUTTA, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 35, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO D’AMATI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIOVANNI NICOLA D’AMATI, CLAUDIA COSTANTINI;
– controricorrente – ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 8264/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 30/10/2013 R.G.N. 2672/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/03/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CIMMINO Alessandro, che ha concluso per inammissibilità o rigetto del ricorso principale e dell’incidentale;
udito l’Avvocato PAOLA POTENZA per delega verbale Avvocato CARLO BOURSIER NIUTTA;
udito l’Avvocato COSTANTINI CLAUDIA.
FATTI DI CAUSA
1. P.G. adiva il giudice del lavoro chiedendo accertarsi il diritto, ai sensi del c.c.n.l.g., dell’accordo integrativo Rai Usigrai e dell’art. 36 Cost., al trattamento economico di giornalista inviato speciale a decorrere dal 1.9.1967 e per l’effetto condannarsi Rai Radiotelevisione Italiana s.p.a. (da ora Rai s.p.a.) alle connesse differenze sul tfr, oltre accessori, nonchè al risarcimento del danno da omessa o inadeguata contribuzione previdenziale da quantificarsi in separato giudizio.
2. Il giudice di primo grado respingeva la domanda 3. La Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della sentenza impugnata, nel resto confermata, ha condannato Rai s.p.a. al risarcimento del danno per omessa regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale del P. da quantificarsi in separata sede.
3.1. Il giudice di secondo grado ha dichiarato di condividere la valutazione di prime cure sia in ordine alla natura giornalistica dell’attività prestata dal P., non riconducibile alle mansioni di inquadramento quale programmista regista, sia in ordine all’assenza dei requisiti per la configurabilità dell’attività di inviato speciale; ha respinto, in quanto inammissibile per violazione del divieto di novum in appello, la domanda di condanna al pagamento della somma di Euro 4.7043,56 a titolo di differenze sul tfr, quantificate in base al trattamento economico previsto per il giornalista redattore, rilevando la carenza nella originaria domanda di allegazioni relative al livello contrattuale corrispondente alla prestazione resa; nel ricorso introduttivo, infatti, il P. si era limitato a descrivere l’attività in tesi giustificativa del reclamato trattamento di inviato speciale ma non aveva individuato le caratteristiche dell’attività prestata in modo tale da consentirne la riconduzione ad uno specifico profilo professionale previsto dalla contrattazione collettiva, profilo non evincibile di per sè dal dedotto espletamento delle mansioni di inviato speciale. La sentenza ha, inoltre, riconosciuto il diritto al risarcimento del danno per l’inadeguato versamento dei contributi a favore de dipendente il quale, iscritto all’ENPALS, avrebbe dovuto godere della tutela previdenziale assicurata INPGI in ragione della natura giornalistica dell’attività prestata a partire dal 1972 attestata dalla prova testimoniale e dalla documentazione versata in atti.
4. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Rai s.p.a. sulla base di due motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso e ricorso incidentale affidato a un unico motivo.
5. Entrambe le parti hanno depositato memoria in riferimento alla precedente adunanza camerale, fissata per il giorno 13.12.2018, all’esito della quale la causa è stata rinviata a nuovo ruolo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Sintesi dei motivi di ricorso principale 1. Con il primo motivo del ricorso principale Rai s.p.a. deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 69 del 1963 e degli artt. 1, 5 e 11 c.c.n.l. giornalisti nonchè, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. Censura la sentenza impugnata per avere qualificato come di natura giornalistica l’attività prestata dal P. formalmente inquadrato come programmista regista – in ragione dell’apporto ideativo da questi conferito alla realizzazione dei programmi televisivi ai quali aveva preso parte. Assume che tale apporto è tipico e connaturato ad ogni attività intellettuale laddove, come chiarito dal giudice di legittimità, i requisiti dell’attività giornalistica sono costituiti dalla raccolta e dall’elaborazione della manifestazione del pensiero, dall’informazione critica e dalla sua diffusione attraverso i mezzi tipici; assume, pertanto, la perfetta coincidenza tra le mansioni del programmista regista e l’attività espletata dal P. alla stregua della relativa declaratoria contrattuale. In relazione al dedotto vizio motivazionale si duole dell’omesso esame del fatto rappresentato dalla natura non giornalistica dei programmi ai quali aveva collaborato il P. e della presenza negli stessi, di un soggetto, A.P., al quale era riservata l’attività di mediazione intellettuale tipica del lavoro giornalistico.
2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 69 del 1963, nonchè della L. n. 1564 del 1951, artt. 2115 c.p.c. e segg., L. n. 153 del 1969, art. 12,D.L. n. 318 del 1996, art. 3,conv. in L. n. 402 del 1996, art. 414 c.p.c. e degli artt. 1218 c.c. e segg.; deduce error in iudicando e conseguente nullità della sentenza nonchè, ai sensi dell’art, 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti. Censura la sentenza impugnata perchè, pur avendo escluso il diritto alla qualifica di inviato speciale e affermato la inammissibilità della domanda intesa alle differenze retributive rapportate all’inquadramento come redattore, aveva condannato ugualmente la società datrice al risarcimento del danno per violazione della normativa previdenziale; lamenta che la Corte non aveva chiarito come l’inadeguato versamento contributivo si fosse tradotto in un danno previdenziale, danno non configurabile in re ipsa per il solo fatto dell’inadempimento contributivo. Assume che la rilevata carenza di allegazioni idonee a consentire l’inquadramento del P. in uno dei profili previsti dal contratto collettivo costituiva ostacolo alla concreta determinazione del trattamento retributivo eventualmente spettante al quale commisurare l’obbligo retributivo.
Motivo di ricorso incidentale 3. Con l’unico motivo di ricorso incidentale P.G. deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., art. 112 c.p.c., art. 5 c.c.n.l.g. nel testo reso valido erga omnes dal D.P.R. n. 153 del 1961. Censura la sentenza impugnata per avere escluso, in contrasto con la giurisprudenza di legittimità (ed in particolare con Cass. n. 6744 del 2012, Cass. n. 1768 del 2001 e Cass. n. 1245 del 1991), che alla qualità di inviato speciale potesse corrispondere uno specifico livello contrattuale del contratto collettivo. Assume il contrasto di tale affermazione con il disposto dell’art. 2103 c.c. e l’errata interpretazione dell’art. 11 del contratto collettivo. Evidenzia che i contenuti corrispondenti alla qualifica di redattore erano stati definiti dalla giurisprudenza (Cass. 1073 del 2005); si duole, infine, della ritenuta inammissibilità della domanda di differenze sul tfr ancorata alla qualifica di redattore.
Esame dei motivi di ricorso principale 4. Il primo motivo di ricorso principale è infondato.
4.1. La sentenza impugnata, sulla base della prova orale e documentale (quest’ultima riferita alle trasmissioni ***** e ***** alle quali il P. aveva collaborato), ha ritenuto provato l’apporto ideativo e creativo del P. alla realizzazione di detti programmi, apporto consistito nella elaborazione della notizia scientifica oggetto del programma, nella individuazione delle fonti, nella ricerca del materiale necessario (interviste e reportage), nella realizzazione di servizi all’estero, nella partecipazione alle riunioni di redazione dove contribuiva alla scelta degli argomenti di attualità scientifica e alla individuazione delle modalità di programmazione, nell’elaborazione dei testi sulla base dei quali la trasmissione sarebbe stata realizzata. Ha ritenuto che tale attività presentasse i caratteri tipici del lavoro giornalistico in conformità della relativa nozione, frutto di elaborazione giurisprudenziale, secondo la quale tale attività consiste nella prestazione di lavoro intellettuale diretta alla raccolta, commento ed elaborazione di notizie volte a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione, ponendosi il giornalista quale mediatore intellettuale tra il fatto e la diffusione della conoscenza di esso, con il compito di acquisire la conoscenza dell’evento, valutarne la rilevanza in relazione ai destinatari e confezionare il messaggio con apporto soggettivo e creativo.
4.2. Il motivo in esame non scalfisce nè l’accertamento di fatto alla base della statuizione impugnata nè la connessa valutazione, conforme, per quanto si dirà, alla elaborazione giurisprudenziale in tema di connotati caratterizzanti l’attività giornalistica.
4.3. Sotto il primo profilo si rileva che la ricostruzione fattuale della Corte di merito non risulta validamente incrinata dal dedotto vizio motivazionale posto che i fatti dei quali si assume l’omesso esame – rappresentati dalla natura non giornalistica dei programmi nei quali si inseriva l’attività del P. e dalla presenza in tali programmi di altro soggetto – A.P. – che svolgeva l’attività di mediazione intellettuale tipica del lavoro giornalistico – oltre a non essere evocati nel rispetto della disposizione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, come prescritto (Cass. Sez. Un. 8053 del 2014), risultano privi di decisività. Invero, quanto al riferimento alla natura non giornalistica del programma, che riprende argomenti sviluppati dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 1372 del 2002, Cass. n. 552 del 1988, n. 625 del 1982), è da premettere che il criterio invocato nasce dalla esigenza – specifica dell’ambito radiofonico e televisivo caratterizzato, a differenza dei giornali stampati il cui contenuto informativo è assolutamente prevalente, dalla presenza di programmi di svago ed intrattenimento che presentano anche contenuto informativo – di una rigorosa delimitazione degli spazi nei quali è riconoscibile lo svolgimento di un’attività riconducibile a quella del giornalista. Tale criterio, che riconosce natura propriamente giornalistica all’attività radio-televisiva soltanto ove resa all’interno dei radiogiornali o dei telegiornali o nelle testate tipicamente giornalistiche e di informazione, in disparte la questione della individuazione e delimitazione di tali tipi di trasmissioni, esprime, tuttavia, solo un’indicazione tendenziale, destinata ad essere superata, come chiarito da successive pronunzie di questa Corte (v. Cass. n. 830 del 2016), dalla concreta verifica del ricorrere, nella prestazione resa, degli intrinsechi caratteri dell’attività giornalistica, rappresentati dall’autonoma elaborazione delle notizie, con valutazione della loro rilevanza in relazione ai destinatari, e dalla predisposizione di un messaggio comunicativo contraddistinto da un apporto creativo.
4.4. Quanto alla presenza nelle trasmissioni in questione di un altro soggetto che – si assume – svolgeva la attività di mediazione dell’informazione, propria del giornalista, è del tutto evidente che tale presenza non appare intrinsecamente ostativa al riconoscimento della natura giornalistica del contributo prestato da altri soggetti, come il P., nella realizzazione del programma.
4.5. Non sussiste, infine, la denunziata violazione di norme di diritto in quanto la sentenza impugnata, nel qualificare come giornalistica la attività prestata dal P., risulta conforme alla elaborazione giurisprudenziale di questa Corte secondo la quale costituisce attività giornalistica – presupposta, ma non definita dalla L. 3 febbraio 1963, n. 69, sull’ordinamento della professione di giornalista – la prestazione di lavoro intellettuale diretta alla raccolta, commento ed elaborazione di notizie volte a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione, ponendosi il giornalista quale mediatore intellettuale tra il fatto e la diffusione della conoscenza di esso, con il compito di acquisire la conoscenza dell’evento, valutarne la rilevanza in relazione ai destinatari e confezionare il messaggio con apporto soggettivo e creativo (Cass. n. 1853 del 2016, Cass. n. 28035 del 2013, Cass. n. 17723 del 2011, Cass. n. 23625 del 2010, Cass. n. 5370 del 1998).
5. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
5.1. La sentenza impugnata, sulla domanda di risarcimento del danno da omissione contributiva, ha adottato una pronunzia di condanna generica rinviando a separata sede la concreta determinazione del dovuto. Le censure articolate, che investono sotto vari profili, la concreta verifica della sussistenza ed entità del danno, non sono, pertanto, coerenti con la natura di mera declaratoria iuris della pronunzia di condanna generica, la quale presuppone soltanto l’accertamento di un fatto potenzialmente dannoso, in base ad un accertamento anche di probabilità o di verosimiglianza, mentre la prova dell’esistenza del danno, della sua reale entità e del rapporto eziologico è riservata alla fase successiva di determinazione e di liquidazione (Cass. n. 15335 del 2012, Cass. n. 12393 del 1995, Cass. n. 2875 del 1992).
Esame del motivo di ricorso incidentale 6. Il motivo di ricorso incidentale è inammissibile.
6.1. La sentenza impugnata ha escluso il ricorrere in concreto dei requisiti per il riconoscimento della qualifica di inviato speciale ulteriormente puntualizzando che essa non corrisponde (e non è, quindi, significativa in tal senso) ad uno specifico livello del contratto collettivo, configurandosi come un particolare modo di atteggiarsi della prestazione di lavoro giornalistico. In base a tali considerazioni, rilevata la carenza, nella originaria domanda, di allegazioni idonee a consentire la riconducibilità dell’attività espletata a quella di redattore ordinario al cui trattamento retributivo era stata commisurata, solo in seconde cure, la richiesta di differenze retributive sul tfr, ha escluso il ricorrere del vizio di omessa pronunzia, prospettato dal P. sotto il profilo della mancata verifica da parte del giudice di prime cure dei presupposti per l’inquadramento del ricorrente nel livello immediatamente inferiore a quello rivendicato.
6.2. Parte ricorrente non si confronta specificamente con le ragioni alla base della decisione di appello nella parte in cui sembra incentrare le proprie doglianze sull’assunto della esistenza di una vera e propria qualifica di inviato speciale (v., controricorso con ricorso incidentale pag. 22), circostanza questa che di per sè non si contrappone a quanto ritenuto dalla Corte di merito la quale non nega la esistenza, a mente del contratto collettivo, della qualifica di inviato speciale ma nega che a tale qualifica si connetta uno specifico livello contrattuale.
6.3. Quanto poi alla deduzione di erronea interpretazione dell’art. 11 c.c.n.l.g. la stessa risulta inammissibile per l’assorbente considerazione che parte ricorrente, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non specifica adeguatamente dove sia rinvenibile e quando sia stato depositato integralmente (Cass. Sez. Un. 20075 del 2010) il contratto collettivo applicabile al rapporto su cui si fonda il motivo (Cass. Sez. Un., 25038 del 2013; Cass., Sez. Un. 7161 del 2010, Cass. n. 17692 del 2011, Cass. n. 124 del 2013). Il rilievo di inammissibilità del motivo in esame “travolge” anche la verifica connessa alla dedotta errata applicazione dell’art. 2103 c.c., per non avere il giudice di merito, sulla base dell’esame delle qualifiche contrattuali, proceduto alla valutazione della sussistenza dei presupposti per l’inquadramento nel livello contrattuale inferiore a quello reclamato di caposervizio. E’ inoltre da evidenziare che le censure sul punto articolate dal ricorrente incidentale risultano inconferenti alla stregua della stessa prospettazione del P. il quale sembra voler far discendere dalla richiesta di applicazione, ex art. 11 c.c.n.l.g., del trattamento economico di capo servizio prevista per l’inviato speciale, oggetto della domanda di primo grado, una generale richiesta connessa al riconoscimento del diritto all’inquadramento come capo servizio (con implicita giuridica possibilità di attribuzione dell’inferiore inquadramento di redattore), richiesta concettualmente distinta dalla prima nella quale il trattamento del capo servizio era invocato solo quale parametro contrattualmente stabilito per la definizione del complessivo trattamento economico spettante all’inviato speciale.
6.4. Infine, per contrastare validamente l’accertamento del giudice di appello in tema di novità della domanda di seconde cure, parte ricorrente avrebbe dovuto denunziare la errata interpretazione della domanda di primo grado e, venendo in rilievo un’attività riservata al giudice di merito, dedurre la specifica violazione dei criteri di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e segg. (i quali, pure essendo dettati in materia di contratto, hanno portata di carattere generale), o il vizio di motivazione sulla loro applicazione, indicando altresì nel ricorso, a pena d’inammissibilità, le considerazioni del giudice in contrasto con i criteri sopra indicati e il testo dell’atto processuale oggetto di erronea interpretazione (cfr, Cass. n. 11343 del 2003, Cass. n. 15299 del 2005, Cass. n. 28421 del 2005),procedendo alla trascrizione, in ossequio al disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, dei pertinenti passi del ricorso introduttivo. Parte ricorrente non si è attenuta a tali indicazioni; in particolare si è limitata alla generica deduzione della idoneità delle allegazione in fatto di prime cure – riprodotte nel ricorso per cassazione – senza correlarle alle relative deduzioni in diritto che avrebbero, in tesi, giustificato l’assunto della formulazione – già in prime cure – della domanda riferita al trattamento economico di redattore ordinario.
7. Al rigetto del ricorso principale ed all’inammissibilità del ricorso incidentale consegue la compensazione delle spese di lite.
8. Sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nei confronti della ricorrente principale e del ricorrente incidentale.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Compensa le spese di lite.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 21 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2019
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