LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 18705/2016 proposto da:
Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Carlo Mirabello n. 18, presso lo studio dell’avvocato Quintarelli Alfonso, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Curatela del Fallimento ***** S.r.l., in persona del curatore Dott. M.G., elettivamente domiciliata in Roma, Viale delle Milizie n. 9, presso lo studio dell’avvocato Patini Federica, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Patini Francesco, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso il provvedimento n. 1023/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il 17/02/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/01/2019 dal Cons. Dott. Paola VELLA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato Mortati Franca, con delega orale dell’avv. Quintarelli, che si riporta;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato Patini Francesco che si riporta.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte di appello di Roma ha respinto l’appello proposto dalla Banca Monte dei Paschi di Siena avverso la sentenza del 2 luglio 2009 con cui il Tribunale di Cassino, ritenendo applicabile la disciplina introdotta dal D.L. n. 35 del 2005(sebbene il Fallimento fosse stato aperto il 28/05/2003), all’esito di apposita c.t.u. aveva accolto parzialmente l’azione revocatoria fallimentare proposta dalla curatela del Fallimento ***** S.r.l. ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2, dichiarando inefficaci tre rimesse effettuate sul conto corrente ordinario n. 11624/R e due rimesse effettuate sul conto anticipi n. 11625/3, intrattenuti dalla società in bonis presso l’allora Banca Antoniana Popolare Veneta S.p.a., per un importo complessivo di Euro 731.366,77 oltre interessi e rivalutazione.
2. Per quanto risulta dal ricorso, il giudice di primo grado aveva ritenuto che, pur trattandosi di operazioni riferibili a crediti oggetto di cessione, esse avevano dato luogo a rimesse aventi funzione solutoria, revocabili L. Fall., ex art. 67,comma 2, in quanto il conto anticipi “andava ricostruito evidenziando: a) le poste derivanti dalla cessione pro solvendo andata a buon fine dei crediti fondati su titoli e fatture insoluti, poste che (…) non costituiscono per il correntista un debito; b) le poste derivanti dalla cessione pro solvendo non andata a buon fine dei crediti fondati su titoli e fatture insoluti, poste che costituiscono per il correntista un debito”.
3. La banca appellante aveva chiesto il rigetto della domanda e, in subordine, la non revocabilità delle rimesse sul conto anticipi del 05/03/2003 (a saldo fattura n. ***** a carico di Alfa S.r.l.) e del 11/03/2003 (a saldo fattura n. ***** a carico di Italcogin Reti), per complessivi Euro 297.541,37, trattandosi di rimesse effettuate dai terzi debitori ceduti in forza di cessione pro solvendo contestuale all’anticipazione, da considerare perciò crediti propri della banca.
4. Avverso la sentenza d’appello la Banca ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, corredato da memoria ex art. 378 c.p.c., cui la curatela fallimentare ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
5. Con il primo motivo si deduce l'”Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, anomalia motivazionale che si tramuta in violazione dell’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., n. 4", in quanto la Corte territoriale non avrebbe ben considerato la cessione del credito e sarebbe comunque caduta “in un grossolano equivoco concettuale nel quale si confondono il negozio di cessione di credito avente funzione solutoria con il pagamento del credito ceduto con funzione solutoria”, perciò dando vita ad una motivazione apparente e incomprensibile, comunque contraria alla giurisprudenza di legittimità secondo la quale non si può procedere alla revoca del pagamento di un credito ceduto se prima non viene revocato l’atto presupposto costituito dalla cessione del credito ritenuta un mezzo anormale di pagamento (Cass. n. 2936/1997).
6. Il secondo mezzo – formulato in via subordinata e rubricato (testualmente) “Violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 67 (ante novella L. n. 80 del 2005 c.p.c., degli artt. 1260 e 1264 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” – allega sotto lo stesso profilo la violazione della L. Fall., art. 67, per avere il giudice d’appello fatto confusione tra la revocabilità della cessione di credito avente funzione solutoria, in quanto pagamento anormale ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2), (non prospettata nella domanda della curatela fallimentare) e la revocabilità del pagamento ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2 (oggetto di detta domanda) omettendo di considerare che, in assenza di apposita revoca, la cessione di credito pro solvendo esplica i suoi effetti reali tipici di trasferimento della titolarità del credito al cessionario, senza che rilevino le modalità di pagamento da parte del debitore ceduto (nel caso di specie mediante accredito sul conto anticipi del cedente).
7. Con il terzo motivo si deduce infine la “Nullità della sentenza o del procedimento per violazione della L. Fall., art. 67,comma 2 (ante novella L. n. 80 del 2005) e degli artt. 99 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4” (vizio di ultra e/o extra petizione), per il caso in cui si rilevasse una pronuncia implicita di revoca dell’atto di cessione del credito, trattandosi di domanda mai proposta dalla curatela attrice.
8. In controricorso si dà atto, tra l’altro, che l’azione revocatoria della curatela riguardava le rimesse di natura solutoria, ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2, pur osservandosi che la cessione di credito è atto a titolo oneroso revocabile allo stesso titolo.
9. Dei tre motivi, che prospettano la medesima censura sotto la lente dei tre diversi vizi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), 4) e 5), risulta meritevole di accoglimento il secondo.
10. Invero, dalla lettura della sentenza impugnata non emergono tanto le anomalie motivazionali e i profili di nullità della pronuncia denunziati con il primo e il terzo motivo, quanto piuttosto l’errore di diritto denunziato con il secondo, per avere la Corte d’appello incentrato la decisione di conferma della sentenza di primo grado recante la revoca delle rimesse solutorie effettuate sul conto corrente del fallito nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, ai sensi della L. Fall., art. 67, comma 2 – sul fatto che il tribunale avesse accertato la revocabilità di “tutte quelle rimesse effettuate sul conto scoperto, nelle quali venivano in rilievo le cessioni di credito come operazioni dalle quali era derivata una funzione solutoria”, osservando che “la cessione di credito “pro solvendo”, in quanto diretta all’estinzione di un’obbligazione del cedente come effetto ultimo di un negozio giuridico soggettivamente ed oggettivamente diverso da quello per cui il pagamento è dovuto, integra, ai fini della L. Fall., art. 67, comma 1, n. 2, un mezzo anormale per il pagamento stesso”, una volta che la curatela abbia provato la funzione solutoria (e non di garanzia) della cessione, tenuto conto del “contesto oggettivo e soggettivo della cessione medesima, e non di quello del successivo pagamento del credito ceduto”.
11. Così facendo, il giudice d’appello si è discostato dall’insegnamento di questa Corte per cui la cessione di credito pro solvendo – che si perfeziona col solo consenso dei contraenti produce immediatamente l’effetto reale tipico di trasferire al cessionario la titolarità del credito (indipendentemente dal fatto che il contratto venga stipulato in funzione solutoria o a scopo di garanzia), benchè l’effetto liberatorio del cedente si realizzi solo al momento del pagamento da parte del terzo (Sez. 1, 13/07/2018 n. 18729), con la conseguenza che il cessionario risulta investito di una legittimazione piena, a titolo di proprietà, attributiva di tutti i diritti derivanti dal titolo, e l’incasso del denaro pagato dal debitore ceduto soddisfa un credito proprio del cessionario, non del cedente, con la conseguenza che, in caso di fallimento di quest’ultimo, l’azione revocatoria fallimentare può avere ad oggetto il negozio di cessione di credito, con riguardo all’epoca della sua conclusione – se avente funzione solutoria e non di garanzia, altrimenti non costituendo un mezzo anormale di pagamento, poichè funzionale al contestuale sorgere del credito garantito e non alla estinzione di un debito preesistente scaduto (conf. Cass. nn. 5142/2011, 22014/2007, 26154/2006, 7794/1991) – ma non anche il pagamento successivamente effettuato alla banca dal terzo debitore ceduto (cfr. Sez. 1, 15/11/2018, n. 29464, in tema di cessione pro solvendo di un credito verso terzi, effettuata nell’ambito di un contratto di sconto bancario; conf. Cass. nn. 1295/1991 e 2821/1991).
12. Deve quindi concludersi che, ove non sia stato revocato, a monte, il negozio di cessione del credito, non può essere revocato il pagamento effettuato, a valle, dal terzo debitore ceduto; ciò anche in forza del più generale principio per cui “in tema di azione revocatoria fallimentare, le rimesse effettuate dal terzo sul conto corrente dell’imprenditore, poi fallito, non sono revocabili quando risulti che il relativo pagamento non sia stato eseguito con danaro del fallito e che il terzo, utilizzatore di somme proprie, non abbia proposto azione di rivalsa verso l’imprenditore prima della dichiarazione di fallimento, nè che abbia così adempiuto un’obbligazione relativa ad un debito proprio” (Sez. 1, 09/01/2019 n. 277).
13. La sentenza va quindi cassata con rinvio, per nuovo esame della vicenda alla luce dei principi di diritto sopra richiamati, oltre che per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il primo e il terzo motivo di ricorso, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata nei sensi di cui in motivazione e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2019.
Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2019