Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.15780 del 12/06/2019

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14257/2013 proposto da:

D.F., S.S., S.M., nella qualità di eredi di Si.Sa., elettivamente domiciliati in Roma, via Calabria, n. 56, presso lo studio dell’avvocato Giovanni Bonarrigo, rappresentati e difesi dall’avvocato Paolo Giovanni Turiano, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

Regione Siciliana, in persona del legale rappresentante pro tempore, Dipartimento Regionale dei Beni Culturali ed Ambientali e dell’Identità siciliana, in persona del Dirigente pro tempore, domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che li rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti –

nonchè

S.F., S.G., nella qualità di eredi di Si.Sa., domiciliati in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall’avvocato Angelo Vitarelli, giusta procura a margine del ricorso successivo;

– ricorrenti successivi –

contro

Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente successivo –

avverso la sentenza n. 204/2012 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 12/04/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/02/2019 dal Cons. Dott. Giuseppe De Marzo;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso, in relazione al ricorso D.

+ 2, per l’accoglimento del primo motivo; in relazione al ricorso S. + 1, per l’inammissibilità del ricorso;

udito, per i ricorrenti D.F., S.S., S.M., l’Avvocato Turiano che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 12 aprile 2012, la Corte d’appello di Messina, nell’accogliere la domanda proposta da Si.Sa. nei confronti della Regione Siciliana e del Dipartimento regionale dei beni culturali e dell’identità siciliana, ha condannato i convenuti al pagamento, in favore dell’attore, della somma di 58.538,75 Euro, a titolo di indennità di espropriazione, oltre interessi legali dalla data della domanda (23 settembre 2004) sino al saldo.

2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: a) che il consulente tecnico d’ufficio, all’esito dell’esame dei luoghi, aveva individuato l’area espropriata nella complessiva superficie di 750 metri quadrati e aveva evidenziato che la stessa aveva una concreta edificazione edificatoria, ricadendo in zona C3 e in variante in zona Cl; b) che il valore di mercato stimato dal consulente, alla data del decreto d’esproprio, ammontava a 156,00 Euro al metro quadrato; c) che la somma quantificata dal consulente a titolo di indennità di esproprio (58.538,75 Euro) andava riconosciuta per intero all’espropriato, alla luce della declaratoria di illegittimità costituzionale del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5-bis, conv. con modific., dalla L. 8 agosto 1992, n. 359 (Corte Cost. 24 ottobre 2007, n. 348).

3. Avverso tale sentenza hanno proposto distinti ricorsi per cassazione, da un lato, D.F., S.M. e S.S., e, dall’altro, S.F. e S.G., tutti quali eredi dell’originario attore, affidandosi rispettivamente ad un unico, articolato motivo e a due motivi. L’Avvocatura generale dello Stato ha depositato distinti controricorsi, nell’interesse della Regione Siciliana e dell’indicato Dipartimento regionale, con riguardo al primo ricorso menzionato, e dell’Assessorato regionale dei beni culturali e dell’identità siciliana, con riguardo al secondo ricorso.

Con ordinanza n. 7880 del 2018, resa all’esito dell’udienza del 7 marzo 2018, questa Corte ha disposto il rinnovo della notifica del ricorso di D.F., S.M., S.S., nei confronti della Regione Siciliana e dei Dipartimento Regionale dei Beni Culturali ed Ambientali, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, e l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’Assessorato competente della Regione Siciliana, nei termine di giorni sessanta dalla comunicazione della ordinanza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso proposto da D.F., S.M. e S.S., nella qualità di eredi di Si.Sa., lamenta violazione e falsa applicazione delle norme in materia di determinazione dell’indennità di espropriazione, nonchè contraddittorietà della motivazione circa un punto fondamentale della controversia, rilevando che la Corte territoriale, pur affermando di voler riconoscere l’intero valore venale dell’area espropriata (ossia, 117.000,00 Euro risultante dall’applicazione del valore a metro quadrato di 156,00 Euro per la superficie di 750 metri quadrati), aveva liquidato l’indennità nella minor somma di 58.538,75 Euro, determinata dal consulente per effetto dell’applicazione del criterio dettato dal D.L. n. 333 del 1992, art. 5-bis, ossia del criterio che, come ricordato dalla stessa sentenza impugnata, era stato ritenuto illegittimo dalla Corte costituzionale.

Con distinta articolazione, si lamenta che erroneamente la Corte d’appello aveva fatto decorrere gli interessi legali dalla data della domanda e non da quella del decreto di esproprio.

Con ulteriore censura, si osserva che, proprio i superiori rilievi, dimostrano l’erroneità del’presupposto della disposta compensazione della metà delle spese di lite, ossia la non significativa differenza tra l’indennità offerta (38.369,70) e quella erroneamente determinata dalla Corte d’appello.

2. Il ricorso proposto nell’interesse di S.F. e S.G., sempre quali eredi dell’originario attore, premesso che l’errore sopra ricordato avrebbe natura revocatoria e che, per tale ragione, era stata richiesta la revocazione della sentenza, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, si affida, con finalità cautelative, come detto, a due motivi.

2.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali, attesa la contraddittorietà tra il criterio liquidatorio dichiaratamente recepito dalla sentenza e l’importo determinato a titolo di indennità di esproprio.

2.2. Con il secondo motivo si lamenta, per l’ipotesi che non si ritenga sussistente il vizio argomentativo denunciato con il primo motivo, violazione del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37 e della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39.

3. L’esame congiunto dei ricorsi è necessario, alla luce del carattere unitario del giudizio di determinazione dell’indennità d’esproprio, che investe il diritto nella sua interezza (Cass. 5 giugno 2014, n. 12700). In effetti, il decreto di espropriazione per pubblica utilità incide sull’oggetto, ma non sulla natura del diritto espropriato e, pertanto, il diritto reale degli espropriati si trasferisce sulla somma di cui è previsto il deposito prima che venga emesso il decreto. Ove si versi nell’ipotesi di comproprietà indivisa del bene, la comunione permane sull’indennità fino al momento in cui questa sarà divenuta definitiva e ne sarà disposto lo svincolo dall’autorità giudiziaria, sulla base dell’accordo delle parti o in ragione dei diritti degli espropriati. Per il carattere dell’unicità dell’indennità, le quote dei singoli proprietari sono soggette a variare con il variare della misura dell’indennità, dovendo essere commisurate alla indennità definitiva e non a quella provvisoria. Ne consegue che, mentre la determinazione giudiziale dell’indennità di espropriazione giova ai comproprietari che non abbiano proposto opposizione (non ricorrendo un’ipotesi di litisconsorzio necessario), senza che ad essi possa opporsi alcuna decadenza, nel caso in cui solo alcuni degli opponenti comproprietari abbiano coltivato il giudizio nei gradi di impugnazione, non può configurarsi la formazione frazionata del giudicato in capo ai diversi opponenti, i quali tutti devono considerarsi parti processualmente necessarie nei successivi gradi, anche se non abbiano proposto impugnazione (Cass. 24 marzo 2011, n. 6873).

Ciò posto, è evidente l’errore nel quale è caduta la Corte territoriale, che non può essere ricondotto, secondo le deduzioni che si leggono in controricorso, a valutazioni di merito insuscettibili di sindacato in sede di legittimità.

Si tratta, in realtà, come emerge dall’esame dei sopra ricordati numerici, di un malgoverno delle indicazioni della consulenza tecnica d’ufficio.

Fondata è anche la seconda articolazione del primo motivo del primo ricorso indicato in epigrafe, dal momento che l’obbligazione di pagare l’indennità di espropriazione costituisce debito di valuta (non di valore), sicchè, nel caso in cui, in esito ad opposizione alla stima effettuata in sede amministrativa, venga riconosciuto all’espropriato una maggiore somma a titolo di indennità espropriativa, l’espropriante deve corrispondere, solo su detta maggiore somma, gli interessi legali, di natura compensativa, dal giorno dell’espropriazione e fino alla data del deposito della somma medesima (Cass. 18 agosto 2017, n. 20178).

L’accoglimento delle sopra ricordate doglianze travolge, all’evidenza, anche la regolamentazione delle spese del giudizio di merito.

In conseguenza del disposto accoglimento, la sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Messina in diversa composizione, che provvederà a determinare l’indennità d’esproprio della quale ordinare il deposito nonchè a regolamentare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie i ricorsi; cassa la sentenza in relazione al disposto accoglimento; rinvia alla Corte di appello di Messina, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2019

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472