Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.15805 del 12/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21(139-2017 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAMILLA 52, presso lo studio dell’avvocato CRISTIANO BARTOLETTI, rappresentato e difeso dall’avvocato PAOLO DE SINIONE;

– ricorrente –

contro

REGIONE LAZIO, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MARCANTONIO COLONNA 27, presso lo studio dell’avvocato TIZIANA CIOTOLA, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 843/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata l’08/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 14/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO ROSSETTI.

FATTI DI CAUSA

1. M.M., in data non indicata nel ricorso, convenne dinanzi al T.A.R. del Lazio la regione Lazio, chiedendone la condanna al risarcimento del danno da perdita di chances per essere stato illegittimamente escluso da una graduatoria regionale di medici (il ricorso non indica a quali fini e da chi tale graduatoria venne redatta).

Il TAR accolse la domanda, e condannò la regione Lazio a pagare al ricorrente.148.000 Euro.

2. Nel 2011 M.M. chiese ed ottenne dal Tribunale di Roma un decreto ingiuntivo nei confronti della regione Lazio, avente ad oggetto il pagamento degli interessi sul credito risarcitorio sopraindicato. La Regione Lazio propose opposizione al decreto ingiuntivo.

3. Il Tribunale di Roma con sentenza n. 24704 del 2015 accolse l’opposizione e revocò il decreto.

La sentenza venne appellata da M.M.; l’appello venne rigettato dalla Corte d’appello di Roma, con sentenza 8 febbraio 2017 n. 843.

A fondamento della propria decisione la Corte d’appello ribadì i principi già affermati dal Tribunale, che possono così sintetizzarsi:

-) il risarcimento del danno forma oggetto d’una obbligazione di valore;

-) i cosiddetti interessi compensativi, dovuti dal debitore d’una obbligazione di valore, non costituiscono frutti civili del credito, al pari degli interessi moratori, ma costituiscono una componente del credito risarcitorio;

-) nel caso di specie, il T.AR aveva condannato la regione Lazio al pagamento del capitale, ma non degli interessi;

-) se, pertanto, il danneggiato avesse voluto pretendere dalla regione Lazio il pagamento degli interessi compensativi, avrebbe dovuto impugnare la sentenza del TAR. Non avendolo fatto, sulla questione del quantum debeatur si era formato il giudicato, e gli interessi non potevano essere più domandati.

4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da M.M. con ricorso fondato su tre motivi (ne sono numerati solo due; il terzo riguarda le spese e si trova a p. 7 del ricorso).

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Questioni preliminari.

1.1. L’istanza di rinvio depositata dal ricorrente non può essere accolta, non essendo fondata su alcun grave motivo.

2. I motivi di ricorso.

2.1. Col primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 1499 e 2944 c.c., nonchè degli artt. “31 e 345 c.p.c.”.

Al di là di tali richiami normativi, nella prolissa illustrazione del motivo il ricorrente in buona sostanza deduce che gli interessi legali compensativi hanno natura accessoria ed autonoma rispetto al credito principale, per cui non è imposto dall’ordinamento giuridico la contestuale domanda di essi, insieme al credito principale.

2.2. Col secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 31,34,40 e 104 c.p.c..

Sostiene che nel nostro ordinamento processuale non esiste alcun principio di infrazionabilità del credito risarcitorio; che in ogni caso il credito d’interessi è autonomo rispetto al credito risarcitorio; e che dunque egli non aveva alcun obbligo di formulare la relativa domanda dinanzi al TAR, ma ben poteva azionare tale credito in una distinta procedura per ricorso monitorio.

2.3. Con un terzo motivo il ricorrente lamenta di essere stato condannato a pagare spese di lite liquidate in misura eccessiva.

3. Inammissibilità del ricorso.

3.1. Il ricorso è inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 3.

I primi due motivi, infatti, sono gravemente carenti nell’esposizione dei fatti di causa: il ricorso non indica che tipo di domanda venne formulata dinanzi al TAR; se essa comprendeva o non comprendeva il danno da mora; che tipo di domanda venne formulata col ricorso monitorio; da quando si pretendeva che decorressero gli interessi richiesti col decreto ingiuntivo, e su quale capitale; quale fosse il contenuto dell’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo notificato ricorrente dalla Regione Lazio.

In mancanza di tali indicazioni è assolutamente impossibile intendere persino quale fosse l’oggetto del giudizio di merito, per la cui completa comprensione è necessario ricorrere alla collazione del ricorso con la sentenza impugnata e col controricorso.

Quanto al terzo motivo di ricorso, esso è inammissibile per totale mancanza di illustrazione, dal momento che il ricorrente non spiega per quali ragioni in diritto la liquidazione delle spese di soccombenza da parte della Corte d’appello fu erronea: ad esempio, per errore nella determinazione del valore della causa; per errore nella individuazione del parametro applicabile; od altro ancora.

3.2. Ad abundantiam, rileva comunque il Collegio che i primi due motivi, ove se ne fosse potuto esaminare il merito, sarebbero stati manifestamente infondati, in quanto è assolutamente pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che gli interessi compensativi dovuti per il ritardato adempimento d’un credito risarcitorio sono una componente dell’unitario credito risarcitorio, e non frutti civili come gli interessi corrispettivi o moratori (Cass. sez. un., 17-02-1995, n. 1712); ed è altrettanto pacifico che l’unitario credito risarcitorio non può essere frazionato dal creditore in più domande separatamente proposte (Cass. civ., sez. un., 15-11-2007, n. 23726).

3. Le spese.

3.1. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

3.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

P.Q.M.

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) condanna M.M. alla rifusione in favore di Regione Lazio delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.700, di cui Euro 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di M.M. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 14 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2019

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