LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE STEFANO Franco – Presidente –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 2421-2018 proposto da:
S.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAIO MARIO 13, presso lo studio dell’avvocato SAVERIO COSI, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
INTESA SANPAOLO SPA, in persona del Procuratore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI VILLA GRAZIOLI 15, presso lo studio dell’avvocato BENEDETTO GARGANI, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6958/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 02/11/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 21/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. PAOLO PORRECA.
RILEVATO
che:
Con atto di precetto notificato il 30 giugno 2011 S.P. intimava a Intesa San Paolo s.p.a. il pagamento di un importo stabilito da un’ordinanza di assegnazione pronunciata un anno prima all’esito di un processo di esecuzione in cui la banca era stata terza pignorata. L’ordinanza di assegnazione era notificata unitamente al precetto;
avverso la procedura esecutiva successivamente incardinata nelle forme del pignoramento presso terzi, l’istituto di credito proponeva opposizione all’esecuzione deducendo, in particolare, di aver pagato l’intera sorte assegnata nell’ordinanza inviando, tramite posta, nei venti giorni stabiliti quale termine di adempimento nell’ordinanza, un assegno circolare inizialmente rifiutato ex art. 1181, c.c., dalla creditrice che aveva quindi proceduto alle vie coattive;
disposta la sospensione dell’esecuzione, la causa era riassunta nel merito dalla creditrice secondo cui l’istituto debitore aveva pagato una somma diversa da quella intimata, e in specie non aveva saldato interessi legali e spese funzionali all’attuazione dell’ordinanza, in particolare quelle di notifica;
il tribunale, davanti al quale resisteva la banca, rigettava l’opposizione ritenendo tempestivo il pagamento della banca;
appellava S.P. deducendo la carenza di prova della tempestività dell’invio dell’assegno, e la legittimità della notifica dell’ordinanza unitamente al precetto trattandosi di titolo esecutivo;
la corte di appello rigettava il gravame ribadendo la tempestività del pagamento rispetto al termine di adempimento fissato dal titolo stesso;
avverso questa decisione ricorre per cassazione S.P. affidandosi a tre motivi;
resiste con controricorso Intesa San Paolo;
in calce al ricorso la ricorrente ha formulato domanda di assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, assumendo che le sezioni semplici abbiano deciso in modo difforme in ordine alla possibilità per l’esecutante di notificare l’ordinanza di assegnazione unitamente all’atto di precetto; con la medesima istanza, la parte ha chiesto la pronuncia delle Sezioni Unite in merito a una seconda questione in ordine alla quale ipotizza un contrasto giurisprudenziale, ovvero sulla possibilità di estendere analogicamente il termine dilatorio previsto dall’art. 477 c.p.c. alla fattispecie processuale della notifica al terzo pignorato di un’ordinanza di assegnazione unitamente al precetto, anche laddove il provvedimento ex art. 553 c.p.c., non contenga un termine dilatorio in favore del terzo pignorato di dieci o venti giorni;
le parti hanno depositato memorie.
RILEVATO
che:
come già chiarito da questa Corte in fattispecie sovrapponibile (Cass., Sez. U., 28 novembre 2018, n. 30754) è preliminare, e decisivo, il rilievo per cui la ricorrente non riporta in maniera comprensibile la sequenza dei fatti di causa rilevanti, in quanto il testo del ricorso, nella parte riservata alla esposizione sommaria del fatto, consta della parziale riproduzione scannerizzata di atti, oltre che di una laconica quanto incompleta esposizione di alcune circostanze del giudizio di primo e di secondo grado;
in particolare, il ricorso non riporta nè con completezza e neppure nella pur consentita formula riassuntiva, le ragioni della decisione di appello, limitandosi ad affermare che il proprio appello è stato respinto con acritica adesione alle motivazioni del giudice di primo grado, riassunte nel senso del valore dirimente del pagamento anteriore alla notifica del pignoramento afferente all’esecuzione opposta con il giudizio qui in delibazione;
anche i motivi di appello sono riassunti con riferimento al medesimo tema (pagamento successivo al pignoramento, in uno all’affermata legittimità della notifica dell’ordinanza di assegnazione unitamente al precetto);
a fronte di ciò, dal controricorso, e poi dalla corrispondente verifica della sentenza di appello, emerge che la ragione decisoria principale dei giudici di merito era stata invece quella della constatata prova del pagamento nel termine di venti giorni fissato nell’ordinanza spesa quale titolo esecutivo;
in questa cornice l’esposizione dei fatti processuali non rende innanzi, tutto possibile comprendere se le questioni dedotte con i motivi siano o meno nuove rispetto alle deduzioni delle parti e alle ragioni decisorie effettivamente palesate nelle fasi di merito, e come tali se siano o meno inammissibili;
l’intero ricorso risulta quindi inammissibile ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, il che esime dal dover esaminare partitamente e perfino dal dover in questa sede riportare compiutamente il contenuto dei motivi di ricorso (Cass. Sez. U., n. 30754 del 2018, cit.);
il gravame non consente cioè alla Corte, violando l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, l’idonea comprensione della complessiva vicenda processuale, quale presupposto necessario per l’adeguato scrutinio delle censure;
va sottolineato che il requisito in parola consiste in un’esposizione che deve garantire a questa Corte di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. Sez. U., n. 30754 del 2018, cit.);
il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, senza che nulla di dirimente abbia aggiunto, rispetto a tale ragione decisoria, la memoria depositata dal ricorrente;
la descritta inammissibilità manifesta del ricorso esclude ogni opportunità di una pronuncia ex art. 363, c.p.c., pure sollecitata dalla parte ricorrente;
le spese seguono la soccombenza;
sussistono i presupposti “ratione temporis” per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Pone a carico della ricorrente le spese sostenute dalla parte controricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.000,00 oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15 per cento di spese forfettarie, oltre accessori legali.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente;
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il giorno 21 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2019