Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.15814 del 12/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13877-2018 proposto da:

M.M.T., MO.DA., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difeso dall’avvocato CARMELO LA FAUCI BELPONER;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, *****, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, *****, MINISTERO DELLA SALUTE, *****, in persona dei Ministri pro tempore, PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI *****, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, UNIVERSITA’

DEGLI STUDI DI PALERMO, *****, in persona del Rettore pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1990/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 31/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 07/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. PAOLO PORRECA.

CONSIDERATO

Che:

Mo.Da. e M.M.T. convenivano la Presidenza del consiglio dei ministri, il Ministero dell’istruzione, università e ricerca, il Ministero della salute, il Ministero dell’economia e delle finanze, l’Università degli studi di Palermo esponendo di aver frequentato un corso di specializzazione medica, in particolare in anestesia e rianimazione, presso la citata università, in anni accademici successivi al 1993 e anteriori al 2006, e di aver ricevuto la borsa di studio prevista dal D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 6: per quanto qui ancora rileva chiedevano, per il periodo precedente all’anno accademico 2006-2007, il riconoscimento, per differenza, dei medesimi emolumenti complessivamente stabiliti, con quella decorrenza, dal D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 368, art. 39, essendovi stata tardiva applicazione del'”acquis communautaire” e in particolare della Dir. n. 16 del 1993;

si costituivano le amministrazioni, chiedendo il rigetto nel merito della pretesa;

il tribunale rigettava la domanda con pronuncia confermata dalla corte di appello che negava potesse costituire parametro dell’adeguata remunerazione imposta dalla normativa unionale, il maggior trattamento economico spettante dall’anno accademico 2006-2007 in ragione del D.Lgs. n. 368 del 1999, secondo quanto infine stabilito, temporalmente, dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 300;

avverso questa decisione ricorrono per cassazione Mo.Da. e M.M.T., articolando due motivi;

resistono con controricorso le amministrazioni;

RILEVATO

Che:

con il primo motivo di ricorso si prospetta la violazione dell’art. 3 Cost., del Trattato sull’Unione Europea, artt. 5,10,249,dell’art. 2043 c.c., in uno all’omesso esame di un fatto decisivo, e discusso, poichè la corte di appello avrebbe errato nell’affermare che lo Stato italiano aveva adempiuto ai richiamati obblighi comunitari con il D.Lgs. n. 257 del 1991, di recepimento della Dir. n. 82/76CEE e non della Dir. comunitaria n. 93 del 2016, che non si era limitata a ribadire quanto già stabilito dalla normativa comunitaria precedente, tanto che il susseguente D.Lgs. n. 368 del 1999, aveva introdotto una copertura previdenziale prima non prevista, sicchè la diversa ricostruzione fatta propria dalla sentenza gravata smentiva il riconoscimento che, nel 1999, lo Stato italiano aveva fatto del proprio inadempimento, e finiva per ledere temporalmente e soggettivamente il principio di pari trattamento e quello di primazia della normativa Eurounitaria;

con il secondo motivo si prospetta l’omessa pronuncia sulla domanda subordinata relativa al pagamento delle differenze retributive, in uno a quello dei relativi contributi previdenziali, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè la violazione della dir. n. 93 del 2016, del Trattato dell’Unione Europea, artt. 5,10, 249, dell’art. 3 Cost., e la mancata disapplicazione del D.Lgs. 21 dicembre 1999, n. 517, art. 8, della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 300, e del D.P.C.M. 7 marzo 2007, art. 1, per ragioni sovrapponibili a quelle fatte valere con la prima censura;

Rilevato che:

i motivi, da esaminare congiuntamente per connessione, sono in parte inammissibili, in parte infondati;

va premesso che i ricorrenti mescolano alle censure in diritto quelle per omesso esame di fatti decisivi e discussi senza, però, individuare quali sarebbero tali fatti nella misura in cui sarebbero distinguibili dalle critiche “in iudicando”, svolte in modo del tutto sovrapponibile in entrambi i motivi;

le deduzioni ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sono pertanto inammissibili;

quanto al resto, la tesi dei ricorrenti non ha fondamento;

questa Corte ha chiarito che la disciplina del trattamento economico dei medici specializzandi prevista dal D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 39, si applica, per effetto dei differimenti, in favore dei medici iscritti alle relative scuole solo a decorrere dall’anno accademico 2006-2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti, che restano soggetti alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che economico, e questo perchè la Dir. n. 93 del 2016, non ha introdotto alcun nuovo e ulteriore obbligo con riguardo alla misura della borsa di studio di cui alla normativa del 1991 (Cass., 14/03/2018, n. 6355, con motivazione ampiamente ricostruttiva; conf. Cass., 23/02/2018, n. 4449, Cass., 29/05/2018, n. 13445);

la sentenza di appello è conforme a questa impostazione;

va quindi ribadito che il recepimento delle direttive comunitarie che hanno previsto un’adeguata remunerazione per la frequenza delle scuole di specializzazione – direttive non applicabili direttamente nell’ordinamento interno, in considerazione del loro carattere non dettagliato – è avvenuto con la L. 29 dicembre 1990, n. 428, e con il D.Lgs. n. 257 del 1991, – che ha riconosciuto agli specializzandi la borsa di studio annua – e non in forza del nuovo ordinamento delle scuole di specializzazione di cui al D.Lgs. n. 368 del 1999;

quest’ultimo decreto, nel recepire la Dir. n. 93 del 2016, – che ha codificato, raccogliendole in un testo unico, le precedenti direttive n. 75/362 e n. 75/363, con le relative successive modificazioni – ha riorganizzato l’ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, istituendo e disciplinando un vero e proprio contratto di formazione (inizialmente denominato “contratto di formazione lavoro” e successivamente “contratto di formazione specialistica”) da stipulare, e rinnovare annualmente, tra Università (e Regioni) e medici specializzandi, con un meccanismo di retribuzione articolato in una quota fissa e una quota variabile, in concreto periodicamente determinate da successivi decreti ministeriali;

tale contratto, peraltro, secondo l’indirizzo ormai consolidato di questa Corte, non dà luogo a un rapporto inquadrabile nell’ambito del lavoro subordinato, nè è riconducibile alle ipotesi di parasubordinazione, non essendo ravvisabile una relazione sinallagmatica di scambio tra l’attività degli specializzandi e gli emolumenti previsti dalla legge, restando conseguentemente inapplicabili l’art. 36 Cost., e il principio di adeguatezza della retribuzione ivi contenuto (cfr. Cass., 19/11/2008, n. 27481, Cass., 22/09/2009, n. 20403, Cass., 27/07/2017, n. 18670; conf. Cass., n. 4449 del 2018, cit.);

ai sensi della L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 300, gli effetti delle nuove disposizioni, contenute nel D.Lgs. n. 368 del 1999, artt. da 37 a 42, – le quali prevedono sia la stipula del nuovo contratto di formazione, con gli specifici obblighi che ne derivano, sia il corrispondente trattamento economico – sono applicabili, come anticipato, solo a decorrere dall’anno accademico 2006/2007;

il trattamento retributivo spettante ai medici specializzandi in base al contratto di formazione specialistica è stato in concreto fissato con i D.P.C.M. 7 marzo, 6 luglio e 2 novembre 2007;

per gli iscritti alle scuole di specializzazione negli anni accademici precedenti al 2006/2007 è stato espressamente disposto che continuasse a operare la precedente disciplina del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che sotto quello economico;

la Dir. n. 93 del 2016, che costituisce un testo meramente compilativo, di coordinamento e aggiornamento delle precedenti disposizioni comunitarie già vigenti, non ha registrato un carattere innovativo con riguardo alla misura dei compensi da riconoscersi agli iscritti alle scuole di specializzazione;

la previsione di un’adeguata remunerazione per i medici specializzandi è infatti contenuta nelle precedenti Dir. n. 362 del 1975, n. 363 del 1975 e n. 82 del 1976, (le cui disposizioni la Dir. n. 93 del 2016, si limita appunto a recepire e riprodurre senza alcuna modifica), e i relativi obblighi debbono pertanto ritenersi già attuati dallo Stato italiano con l’introduzione della borsa di studio di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991;

l’importo della predetta borsa di studio è da ritenersi di per sè sufficiente e idoneo adempimento agli indicati obblighi comunitari, rimasti immutati dopo la Dir. n. 93 del 2016, quanto meno sotto il profilo economico, come confermano le pronunce di questa Corte che ne hanno riconosciuto l’adeguatezza, nella sua iniziale misura, anche a prescindere dagli ulteriori incrementi connessi alla svalutazione monetaria, originariamente previsti dallo stesso testo legislativo e poi sospesi dalla successiva legislazione, sottolineando che “nella disciplina comunitaria non è rinvenibile una definizione di retribuzione adeguata, nè sono posti i criteri per la determinazione della stessa (Cass. 26/05/2001 n. 11565)” (Cass., 15/06/2016, n. 12346; Cass., 23/09/2016, n. 18710; l’indirizzo trova indiretta conferma nella sentenza n. 432 del 23 dicembre 1997 della Corte Costituzionale, che ha escluso l’illegittimità costituzionale delle disposizioni legislative che avevano disposto la sospensione degli adeguamenti della borsa alla svalutazione monetaria);

il nuovo ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia introdotto con il D.Lgs. n. 368 del 1999, e il relativo meccanismo di retribuzione, non possono pertanto ritenersi il primo atto di effettivo recepimento e adeguamento dell’ordinamento italiano agli obblighi derivanti dalle direttive comunitarie, in particolare per quanto riguarda la misura della remunerazione spettante ai medici specializzandi, ma costituiscono il frutto di una successiva scelta discrezionale del legislatore nazionale, non vincolata o condizionata dai suddetti obblighi, e come tale non lesiva del principio ex art. 3 Cost., o dei principi unionali (Cass. n. 4449 del 2018, cit.);

l’inadempimento dell’Italia agli obblighi comunitari, sotto il profilo in esame, è dunque cessato con l’emanazione del D.Lgs. n. 257 del 1991;

questa Corte ha infine già sottolineato che l’indirizzo cui si intende dare continuità nella presente sede solo apparentemente risulta contraddetto da due identiche e coeve decisioni della stessa Sezione Lavoro (Cass., n. 8242 e n. 8243 del 22/04/2015), la cui motivazione non affronta peraltro espressamente la problematica relativa alla fattispecie fin qui illustrata, e richiama gli indirizzi espressi da questa Corte in relazione alla diversa situazione dei medici che avevano frequentato le scuole di specializzazione anteriormente al 1991;

quanto esposto rende ragione del perchè, come implicitamente statuito anche dalla corte territoriale, non è di conseguenza applicabile, ai soggetti in parola, neppure lo “status” previdenziale connesso al regime retributivo configurato dal D.Lgs. n. 369 del 1999 (art. 41);

il ricorso è dunque infondato;

le spese possono compensarsi attese le progressive precisazioni della giurisprudenza di legittimità.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 7 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2019

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