Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.15822 del 12/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30059-2017 proposto da:

C.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE ERITREA N. 9, presso lo studio dell’avvocato SERGIO CASTAGNA, rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO VERALDI;

– ricorrente –

contro

M.G., L.A., L.S., P.E., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE G. MAZZINI 131, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE EGIDIO ZACCARIA, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROSA ZACCARIA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3007/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 09/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 05/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LOREDANA NAZZICONE.

RILEVATO

– che la Corte d’appello di Roma con sentenza del 9 maggio 2017, previa declaratoria di nullità della decisione del tribunale per violazione della composizione collegiale del giudice ex art. 50-bis c.p.c., ha respinto la domanda, proposta da C.S. contro gli ex amministratori e l’ex liquidatore della Controllo e Gestione s.r.l., volta alla condanna dei medesimi al risarcimento del danno per l’avvenuta cancellazione della società dal registro delle imprese, pur in presenza del debito vantato dall’attrice;

– che avverso questa sentenza propone ricorso la C., sulla base di due motivi, cui gli intimati resistono con controricorso;

– che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380-bis c.p.c.;

– che la ricorrente ha depositato la memoria.

CONSIDERATO

– che i due motivi di ricorso possono essere come di seguito riassunti:

1) violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 5 del 2003, art. 1, lett. a), e art. 50-bis c.p.c., in quanto il credito della ricorrente deriva da rapporto di lavoro e la controversia non rientra affatto nell’ambito delle norme menzionate;

2) violazione e falsa applicazione degli artt. 2392 e 2489 c.c., comma 2, nonchè degli artt. 2395 e 2476 c.c., comma 6, oltre ad omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, in quanto la ricorrente ha lavorato per la società nel corso di sedici mesi e l’ente non è stato più reperibile presso la sede legale dopo la sua cancellazione dal registro delle imprese, laddove un liquidatore diligente avrebbe dovuto almeno chiedere ai soci l’esecuzione di finanziamenti al fine di estinguere i debiti sociali ed inserire in bilancio il debito della ricorrente, mentre si è data la preferenza al pagamento di altri debiti per Euro 5.229,00, con danno diretto della signora C.;

– che la Corte territoriale – dopo avere censurato la sentenza di primo grado, che aveva omesso di applicare il processo societario e le norme sulla composizione collegiale del tribunale – ha ritenuto la domanda infondata, perchè si tratta della deduzione del mero inadempimento contrattuale della società verso la sua creditrice, in sè inidoneo a fondare la responsabilità degli amministratori e del liquidatore: onde nè il mancato pagamento del debito, nè il suo omesso inserimento in bilancio, nè la cancellazione della società sono condotte che integrano la responsabilità evocata;

– che essa ha aggiunto come la ricorrente non ha dedotto e non ha provato un comportamento dei convenuti idoneo a danneggiare l’attrice, nè la concreta possibilità che il suo debito potesse trovare soddisfazione nel patrimonio sociale al momento della liquidazione; che l’attrice non ha esperito contro i soci l’azione ex art. 2495 c.c., nei limiti delle somme riscosse o nei confronti dei liquidatori per colpa dei medesimi, nè, comunque, ha dedotto alcunchè circa le modalità della liquidazione, tali da potersi ipotizzare la colpa di questi, non avendo peraltro i soci riscosso nessuna somma all’esito della liquidazione stessa;

– che, ciò posto, il primo motivo è manifestamente infondato, trattandosi di azione di responsabilità proposta contro gli organi sociali, correttamente reputata di competenza del tribunale in composizione collegiale;

– che, al riguardo, giova enunciare il seguente principio di diritto: “Le sezioni specializzate in materia di impresa sono competenti a provvedere sulla domanda del creditore di una società di capitali, cancellata dal registro delle imprese, volta alla condanna degli amministratori e del liquidatore al risarcimento dei danni cagionati per l’avvenuta cancellazione della società dal registro delle imprese, pur in presenza del debito vantato dal creditore sociale”;

– che il secondo motivo è inammissibile, in quanto non coglie la ratio decidendi ed è aspecifico, in violazione dell’art. 366 c.p.c.: infatti, la corte del merito ha affermato come è mancata l’allegazione e la prova di condotte foriere della responsabilità dei convenuti e che non è stata provata neppure la possibilità della società di adempiere al suo debito: a fronte di tale argomentazione, la ricorrente non la confuta, ma ventila piuttosto un inesistente potere od obbligo del liquidatore di richiedere finanziamenti ai soci in fase liquidatoria per soddisfare i debiti sociali, in contrasto col principio della responsabilità limitata nelle società di capitali;

– che, per il resto, la corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principi da tempo enunciati da questa Corte, secondo cui “A fronte dell’inadempimento contrattuale di una società di capitali, la responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell’altro contraente non deriva automaticamente da tale loro qualità, ma richiede, ai sensi dell’art. 2395 c.c., la prova di una condotta dolosa o colposa degli amministratori medesimi, del danno e del nesso causale tra questa e il danno patito dal temo contraente” (Cass. 8 settembre 2015, n. 17794), e secondo cui “L’inadempimento contrattuale di una società di capitali non può, di per sè, implicare responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell’altro contraente, secondo la previsione dell’art. 2395 c.c., atteso che tale responsabilità, di natura extracontrattuale, postula fatti illeciti direttamente imputabili a comportamento colposo o doloso degli amministratori medesimi, come si evince, fra l’altro, dall’utiliazzazione dell’avverbio “direttamente”, la quale esclude che detto inadempimento e la pessima amministrazione del patrimonio sociale siano sufficienti a dare ingresso all’azione di responsabilità” (Cass. 5 agosto 2008, n. 21130);

– che le spese vanno compensate in considerazione dei rapporti sottostanti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese di lite.

Dichiara che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, camma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2019

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