LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24443-2018 proposto da:
D.J., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCA FROLDI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto n. R.G. 1617/2018 del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 14/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 09/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. PAZZI ALBERTO.
RILEVATO
che:
1. con decreto in data 14 luglio 2018 il Tribunale di Ancona respingeva il ricorso proposto da D.J. avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla Commissione territoriale di Ancona al fine di domandare il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007 ex artt. 2 e 14 o del diritto alla protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;
in particolare il Tribunale rilevava che il timore persecutorio rappresentato dal richiedente asilo non assumeva le caratteristiche necessarie per il riconoscimento del diritto al rifugio D.Lgs. n. 251 del 2007 ex artt. 7 e 8 ed escludeva che sussistessero le condizioni previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per la concessione della protezione sussidiaria, in assenza dei presupposti richiesti da tale norma, dato che non emergevano elementi idonei a dimostrare che il ricorrente potesse essere sottoposto nel paese di origine a pena capitale, a trattamenti inumani o degradanti o subire un grave danno alla propria incolumità personale; non era inoltre possibile desumere la sussistenza di una minaccia grave e individuale nei confronti del richiedente asilo, dato che quest’ultimo aveva riferito di un solo evento e comunque di episodi privi di idoneità lesiva specifica, stante anche la valutazione di non attendibilità delle sue dichiarazioni;
nel contempo il collegio di merito considerava insussistente uno stato di elevata vulnerabilità all’esito di un eventuale rimpatrio, tenuto conto della situazione del paese di destinazione, dell’inesistenza di problematiche soggettive o condizioni individuali di particolare delicatezza e della mancata allegazione dell’avvio di un percorso di integrazione sociale e lavorativa che costituisse un presupposto ostativo al rimpatrio;
2. ricorre per cassazione avverso questa pronuncia D.J., al fine di far valere due motivi di impugnazione;
resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.
CONSIDERATO
che:
3.1 il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5: il Tribunale avrebbe omesso di verificare la veridicità dei fatti allegati e di assolvere l’obbligo di cooperazione istruttoria cui era tenuto, ritenendo erroneamente di essere esentato dallo svolgimento di ogni attività istruttoria;
3.2 il Tribunale, dopo aver esaminato le dichiarazioni rese dal ricorrente in merito alle ragioni che lo avevano indotto a lasciare il paese d’origine, ha ritenuto (a pag. 4 del provvedimento impugnato) che le stesse non fossero attendibili e anche laddove credibili esprimessero personali timori privi di elementi concreti di riscontro e dovessero perciò restar confinate nei limiti di una faccenda di vita privata e giustizia comune;
una simile valutazione si fonda non sul presupposto dell’inesistenza di un obbligo di cooperazione istruttoria a carico dell’autorità giudiziaria investita della decisione sulla domanda di protezione, bensì sull’apprezzamento delle dichiarazioni del ricorrente, le quali, quand’anche credibili, nella sostanza – a parere del collegio di merito enfatizzavano timori personali legati a una vicenda privata e non erano idonee a dimostrare che il richiedente asilo potesse subire, in caso di rimpatrio, un danno grave in ragione dei fatti allegati;
il giudice di merito dunque non ha affatto rilevato alcuna lacuna probatoria omettendo di colmarla, ma ha ritenuto che le stesse allegazioni del richiedente asilo, a prescindere dalla loro inattendibilità, non integrassero i presupposti necessari per il riconoscimento delle forme di protezione domandate;
la censura in esame si rivela perciò inammissibile: i motivi del ricorso per cassazione infatti devono giocoforza riferirsi alla decisione impugnata (Cass. 6587/2017, Cass. 13066/2007), sicchè la proposizione di censure prive di specifica attinenza al decisum del provvedimento gravato è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), con la conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ ufficio (Cass. 20910/2017);
4.1 il secondo mezzo lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c): il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto che non vi fossero i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, apprezzando la situazione esistente in Gambia in termini opposti a quanto già avevano fatto altre corti di merito;
4.2 il motivo è inammissibile;
ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, in particolare, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 lett. c), è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base di un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass. 17075/2018);
il Tribunale si è ispirato a simili criteri, prendendo in esame informazioni aggiornate sulla situazione esistente in Gambia risalenti all’anno 2017;
la critica in realtà, sotto le spoglie dell’asserita violazione di legge, cerca di sovvertire l’esito dell’esame dei rapporti internazionali valutati dal Tribunale facendo leva su decisioni di merito di segno contrario, malgrado l’accertamento del verificarsi di una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, rilevante a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), costituisca un apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 32064/2018);
5. in forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.100 oltre a spese prenotate a debito, accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 9 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2019