Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.15852 del 12/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS CHIARA – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21754-2017 proposto da:

R.N.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, rappresentato e difeso dall’avvocato PIETRO LUIGI CAZZETTA;

– ricorrente –

contro

B.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CHIUSI 31, presso lo studio dell’avvocato PIO CORTI, rappresentata e difesa dall’avvocato CLAUDIO ANGELO GRANATA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2589/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 13/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27/09/2018 dal Consigliere Dott. SABATO RAFFAELE.

RILEVATO

che:

1. Con sentenza pubblicata il 13/06/2016 la corte d’appello di Milano ha confermato sentenza del tribunale di Milano che, accogliendo domanda proposta da B.I., ha condannato R.N.G. al risarcimento dei danni in Euro 25.000 – di cui Euro 5.000 già trattenuti quale caparra – da inadempimento di scrittura qualificata come contratto preliminare di vendita di immobile in ***** di proprietà della predetta signora B..

2. Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione R.N.G. su due motivi. Ha resistito con controricorso B.I.. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

3. Su proposta del relatore, il quale ha ritenuto che il ricorso potesse essere dichiarato manifestamente infondato, con la conseguente definibilità nelle forme dell’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio, nella quale il collegio ha come segue condiviso la proposta del relatore.

CONSIDERATO

che:

1. Non è fondata l’eccezione della controricorrente di irritualità della procura alle liti del difensore del ricorrente. La procura alle liti nel procedimento in cassazione, come nel caso di specie, è stata originariamente rilasciata in formato cartaceo e risulta materialmente unita al ricorso ai sensi dell’art. 83 c.p.c., comma 3. La controricorrente eccepisce che, in sede di notifica via PEC, la procura stessa sia stata trasmessa con file separato. Tale eccezione – in quanto concernente l’esemplare notificato del ricorso – non ha pregio. Noto è infatti che ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione non occorre che la procura sia integralmente trascritta nella copia notificata all’altra parte, essendo sufficiente che si possa pervenire mediante esame dell’originale – alla certezza che il mandato sia stato conferito prima della notificazione dell’atto; a fortiori nel caso di specie tale accertamento è possibile, seppure esaminando un file separato nell’ambito della notifica via PEC. Peraltro, anche ove si fosse trattato non già di notificazione via PEC di documentazione originariamente cartacea, l’art. 83 c.p.c., comma 3, stabilisce: “La procura si considera apposta in calce anche se rilasciata su foglio separato che sia però congiunto materialmente all’atto cui si riferisce, o su documento informatico separato sottoscritto con firma digitale e congiunto all’atto cui si riferisce mediante strumenti informatici, individuati con apposito decreto del Ministero della giustizia. Se la procura alle liti è stata conferita su supporto cartaceo, il difensore che si costituisce attraverso strumenti telematici ne trasmette la copia informatica autenticata con firma digitale, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici e trasmessi in via telematica”; e il D.M. 21 febbraio 2011, n. 44, art. 18, comma 5, chiarisce: “La procura alle liti si considera apposta in calce all’atto cui si riferisce quando è rilasciata su documento informatico separato allegato al messaggio di posta elettronica certificata mediante il quale l’atto è notificato. La disposizione di cui al periodo precedente si applica anche quando la procura alle liti è rilasciata su foglio separato del quale è estratta copia informatica, anche per immagine” (cfr. tra l’altro, per incidens, Cass. sez. U n. 10266 del 27/04/2018).

2. Con il primo motivo si è dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,1223,1226 e 1453 c.c., contestandosi che il giudice di merito abbia quantificato il danno secondo il criterio del minor realizzo, cioè secondo la differenza tra il prezzo di vendita di cui all’obbligazione tra le parti e la somma realizzata con la vendita ad altro acquirente; in tesi, si sarebbe dovuto invece accertare specificamente anche che fossero stati esperiti tentativi al fine di vendere l’immobile al prezzo della compravendita non conclusa.

Con il secondo motivo, poi, si è lamentata violazione dell’art. 1227 c.c., comma 2 e degli artt. 1375 e 1175 c.c., non potendo il risarcimento estendersi ai danni che il debitore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza. La sentenza impugnata non avrebbe dunque proceduto all’equo accertamento di tutte le circostanze del caso.

2.1. I due motivi, strettamente connessi, vanno esaminati congiuntamente. Essi sono inammissibili.

2.2. Deve anzitutto rilevarsi come, con entrambi i motivi, sotto la veste di censure per errores in iudicando, la parte ricorrente in effetti proponga a questa corte, inammissibilmente, istanze di revisione degli accertamenti di merito compiuti dai primi giudici, senza che si deduca effettivamente violazione di norme di diritto. Tale rilievo è particolarmente importante quanto al primo mezzo, con cui si propone in sostanza una doglianza riferita alla quantificazione del danno, in relazione al comportamento delle parti valutato dalla corte d’appello. La censura di violazione di legge sostanziale, come prevista dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, consiste per vero nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata a questa corte dal R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 65), mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, ricorrendone i presupposti, sotto il solo aspetto di omesso esame di fatto storico di cui al successivo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, cit. Nel caso di specie, sia quanto alla quantificazione del danno per minor realizzo, in relazione alle risultanze di causa, sia quanto alla questione in tema di concorso di colpa (salvo quanto in prosieguo circa quest’ultima), si contestano presunti errori relativi all’apprezzamento della fattispecie concreta.

2.3. Deve notarsi che la parte ricorrente, poi, benchè formuli diffusamente la relativa argomentazione nell’ambito del secondo motivo, basa anche il proprio primo mezzo indirettamente su un’eccezione di concorso di colpa ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 2, e specificamente sulla deduzione per cui non sussisterebbe la prova che la venditrice sia stata diligente nella vendita (primo motivo), onde il danno risarcibile sarebbe inferiore al differenziale tra i corrispettivi, dovendo essere diminuito di quanto conseguente al concorso di colpa del debitore (secondo motivo).

2.4. Senonchè poichè per consolidato indirizzo interpretativo (v. ad es. Cass. n. 15750 del 27/07/2015) in tema di concorso del fatto colposo del creditore, previsto dall’art. 1227 c.c., comma 2, al giudice del merito è consentito svolgere l’indagine in ordine all’omesso uso dell’ordinaria diligenza da parte del creditore solo se sul punto vi sia stata espressa istanza del debitore, la cui richiesta integra gli estremi di una eccezione in senso proprio, dato che il dedotto comportamento che la legge esige dal creditore costituisce autonomo dovere giuridico, espressione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede. Il debitore deve inoltre fornire la prova che il creditore avrebbe potuto evitare i danni, di cui chiede il risarcimento, usando l’ordinaria diligenza.

2.5. Alla luce di ciò la parte ricorrente avrebbe dovuto, nella formulazione dei mezzi, indicare il luogo processuale nel quale la relativa eccezione sia stata formulata, ciò che inammissibilmente non è avvenuto (in primo grado, peraltro, il sig. R. è stato contumace; e dalla lettura delle pp. 5 e 6 dell’impugnata sentenza, pur emergendo che con l’atto di appello si sia contestata la quantificazione del danno, per la quale si sono sollecitati accertamenti anche a mezzo c.t.u., non risulta essere stata sollevata la predetta eccezione, a prescindere dalla valutazione della sua ammissibilità in appello).

2.6. L’inammissibilità dei motivi che da ciò discende esime questa corte da ogni considerazione circa il profilo probatorio della dedotta mancanza di diligenza, in relazione al riparto dell’onere come sopra indicato a carico del debitore, e non del creditore, in ordine al quale pure i motivi non offrono elementi.

3. In definitiva il ricorso va rigettato, regolandosi le spese secondo soccombenza e secondo la liquidazione di cui al dispositivo; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1-bis, cit.

P.Q.M.

la corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione a favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200 per esborsi ed Euro 3.000 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1-bis, cit.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile, il 27 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2019

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