LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – Consigliere –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21120-2017 proposto da:
N.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CORVISIERI N. 9, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO FABBRICATORE, rappresentata e difesa dall’avvocato OTTONE MARTELLI;
– ricorrente –
contro
SOCIETA’ REALE MUTUA DI ASSICURAZIONI, in persona del Dirigente, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA EMANUELE GIANTURCO 6, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO SCIUTO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIANMARIA SCOFONE;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1275/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 09/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 14/02/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO ROSSETTI.
FATTI DI CAUSA
1. Nel 2013 la società Reale Mutua di Assicurazioni chiese ed ottenne un decreto ingiuntivo per l’importo di 104.669,45 Euro nei confronti di N.G..
A fondamento del ricorso monitorio dedusse:
-) di avere garantito con garanzia personale i debiti della società Nefall di N.D. & C. s.a.s. nei confronti del Ministero delle Attività Produttive;
-) che il diritto di regresso della Reale Mutua nei confronti della Nefall era stato controgarantito da N.G.;
-) che il Ministero delle attività produttive, non essendo stato pagato dalla Nefall, escusse la garanzia nei confronti della Reale Mutua. N.G. propose opposizione al decreto ingiuntivo.
2. Il Tribunale di Torino con sentenza 26.5.2015 accolse in parte l’opposizione, e determinò l’importo dovuto dall’opponente alla Reale Mutua nella minor somma di Euro 44.165,30.
N.G. impugnò tale sentenza.
3. La Corte d’appello di Torino, con sentenza 9.6.2017 n. 1275, revocò il decreto ingiuntivo, statuendo che nessuna somma fosse dovuta da N.G. alla Reale Mutua.
La Corte d’appello provvide altresì sulle spese del doppio grado, liquidando Euro 4.000 più accessori per il primo grado, ed Euro 3.500 più accessori per il secondo grado.
4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da N.G. con ricorso fondato su un solo motivo, ed illustrato da memoria.
Ha resistito la Reale Mutua.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il motivo unico di ricorso.
1.1. Con l’unico motivo di ricorso N.G. lamenta che la sentenza impugnata sia affetta sia dal vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (si assumono violati l’art. 91 c.p.c. e D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 4); sia dal “vizio di motivazione”, che la ricorrente ritiene di inquadrare nella previsione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5. Nell’illustrazione del motivo si sostiene che la Corte d’appello avrebbe liquidato le spese tanto del primo, quanto del secondo grado di giudizio, in misura inferiore al minimo tabellare.
La censura è sostenuta coi seguenti argomenti:
-) avendo la ricorrente depositato la nota spese all’esito del giudizio d’appello, la Corte d’appello avrebbe dovuto attenersi ad essa, ovvero indicare analiticamente in motivazione le ragioni per le quali riteneva di discostarsene, e non già procedere ad una determinazione forfettaria delle spese di lite;
-) il valore del giudizio di primo grado andava determinato sulla base dell’importo del decreto ingiuntivo oggetto dell’opposizione (104.669,45 Euro), e non già sulla base del decisum della sentenza di condanna di primo grado (44.165,30 Euro);
-) in ogni caso, applicando i minimi tariffari, il compenso per il primo grado di giudizio minimo sarebbe dovuto essere 7.795 Euro, mentre la Corte d’appello liquidò solo 4.000 Euro; mentre per il secondo grado sarebbe dovuto essere 3.308 Euro, da maggiorare delle spese esenti e del rimborso delle spese generali, mentre la Corte d’appello liquidò solo 3.500 Euro.
1.2. Nella parte in cui prospetta il vizio di “insufficiente motivazione” il motivo è inammissibile: non tanto e non solo perchè la possibilità di denunciare in sede di legittimità il vizio di motivazione è stata abrogata sin dal 2012, ma soprattutto perchè un vizio di motivazione è concepibile solo con riferimento agli accertamenti di fatto, non con riferimento alle valutazioni di diritto e difetto inerente all’esplicazione di una norma del procedimento: e lo stabilire quale debba essere il valore della causa da porre a base del calcolo per la liquidazione delle spese di lite è, per l’appunto, una valutazione in diritto.
1.3. Nella parte in cui lamenta il vizio di violazione di legge il motivo è fondato, limitatamente alla liquidazione delle spese del primo grado di giudizio.
1.4. Quando la sentenza di primo grado sia riformata in appello, il giudice di secondo grado deve di norma provvedere d’ufficio alla liquidazione delle spese anche del primo grado, dal momento che la relativa statuizione resta travolta dalla riforma della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 336 c.p.c..
La liquidazione delle spese del primo grado, quando sia compiuta dal giudice d’appello che abbia riformato la sentenza impugnata dinanzi a lui, deve avvenire in base all’esito complessivo della lite (ex permultis, Sez. 3 -, Ordinanza n. 9064 del 12/04/2018, Rv. 648466 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 1775 del 24/01/2017, Rv. 642738 – 01; Sez. Sentenza n. 11423 del 01/06/2016, Rv. 639931 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19122 del 28/09/2015, Rv. 636950 – 01).
Che il giudice d’appello debba liquidare le spese tanto del primo, quanto del secondo grado di giudizio, in base “all’esito complessivo” della lite vuol dire che egli, ai fini dell’applicazione del criterio della soccombenza (art. 91 c.p.c.), deve prendere in considerazione non già l’esito del singolo grado di giudizio, ma l’approdo cui il giudizio è pervenuto all’esito dell’appello, rispetto alla originaria domanda formulata dall’attore.
Così, ad esempio, nulla rileva che il convenuto soccombente, risultato debitore dell’attore, impugni vittoriosamente la sentenza su un capo accessorio (ad esempio, gli interessi di mora). Egli sarà comunque soccombente rispetto alla domanda originaria, a nulla rilevando che in grado di appello abbia visto accogliere la propria impugnazione.
1.5. Nel caso di specie la Corte d’appello, all’esito del doppio grado di giudizio, ha accertato che N.G. nulla doveva alla Reale Mutua.
Pertanto, dovendo determinare quale fosse il valore della causa di primo grado da porre a base della liquidazione delle spese di lite, la Corte d’appello avrebbe dovuto applicare il principio secondo cui, se la domanda è rigettata, il valore della causa è pari al petitum, e non al decisum, secondo quanto stabilito dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 5, comma 1, quarto periodo, (“nei giudizi per pagamento di somme o liquida pione di danni, si ha riguardo di norma alla somma attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella domandatà).
Se, infatti, quando la domanda sia accolta il valore della causa ai fini della liquidazione delle spese deve essere pari alla somma attribuita dal giudice, se ne desume a contrario che quando la domanda sia rigettata, il suddetto valore debba essere pari alla somma infondatamente richiesta dall’attore (c.d. principio del disputatum: in tal senso, ex Sez. 1, Sentenza n. 5381 del 11/03/2006, Rv. 587441 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 16707 del 24/08/2004, Rv. 576188 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 13113 del 15/07/2004, Rv. 574614 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 2407 del 04/03/1998, Rv. 513341 – 01; Sez. L, Sentenza n. 2477 del 09/04/1986, Rv. 445574 – 01).
1.6. In applicazione dei suddetti principi, la Corte d’appello avrebbe dovuto porre a base del calcolo delle spese di lite del primo grado di giudizio l’importo di Euro 104.669,45, pari alla somma domandata in via monitoria dalla Reale Mutua.
Per le cause di valore compreso tra 52.001 e 260.000 Euro la Tabella allegata sub p. 2 al ricordato D.M. n. 55 del 2014 prevede, quale compenso minimo (pari al valore medio indicato dalla suddetta tabella, diviso per due), l’importo di Euro 1.215 per la fase di studio; Euro 775 per la fase introduttiva; Euro 3.780 per la fase di trattazione, ed Euro 2.025 per la fase decisionale, per un totale di Euro 7.795. Sicchè, avendo la Corte d’appello liquidato per il primo grado di giudizio la somma complessiva di Euro 4.000, sussiste la violazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 4.
2. Non altrettanto può dirsi per il grado di appello.
Nel secondo grado del giudizio oggi all’esame di questa Corte, la Reale Mutua, che aveva visto in primo grado accogliere l’opposizione e ridurre il proprio credito da 104.669,45 Euro a 44.165,30 Euro non propose appello incidentale.
Pertanto proprio l’applicazione del principio del disputatum, ricordato al p. precedente, imponeva di determinare il valore del giudizio di appello in base a quella sola parte del credito ancora oggetto di contestazione, e dunque Euro 44.165.30.
Questa Corte, infatti, ha già ripetutamente affermato che ai fini del rimborso delle spese di lite a carico della parte soccombente, il valore della controversia va fissato – in armonia con il principio generale di proporzionalità ed adeguatezza degli onorari di avvocato nell’opera professionale effettivamente prestata, quale desumibile dall’interpretazione sistematica delle disposizioni in tema di tariffe per prestazioni giudiziali – sulla base del criterio del disputatum, ed in base a tale criterio, il valore della causa è pari:
-) per il primo grado, alla somma domandata con l’atto introduttivo se la domanda viene rigettata, ed a quella accordata dal giudice, se viene accolta;
-) per l’appello, alla sola somma che ha formato oggetto di impugnazione (Sez. 3 -, Sentenza n. 27871 del 23/11/2017, Rv. 646647 – 01, in motivazione; Sez. 3, Sentenza n. 536 del 12/01/2011, Rv. 615929 – 01; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 27274 del 16/11/2017, Rv. 646423 – 01).
Nel caso di specie, dunque, il valore della causa di appello era solo di Euro 44.165,30, e questo era il valore della causa per i fini di cui al D.M. n. 55 del 2014, art. 5.
Ciò posto, il p. 12 della Tabella allegata al D.M. n. 55 del 2014, prevede, per le cause in grado di appello di valore compreso tra 26.000 e 52.000 Euro, un compenso minimo di Euro 980 per la fase di studio; Euro 675 per la fase introduttiva, ed Euro 1.653 per la fase decisionale.
E’ la stessa ricorrente N.G. ad allegare che in appello non vi fu istruttoria: il minimo inderogabile era dunque pari ad Euro 3.308.
Sicchè, avendo la Corte d’appello liquidato per il secondo grado di giudizio la somma complessiva di Euro 3.500, non vi fu la violazione del D.M. n. 55 del 2014, art. 4.
2.1. L’allegazione della ricorrente, secondo cui la Corte d’appello avrebbe violato i minimi tariffari perchè agli importi sopra indicati si sarebbero dovuti aggiungere le spese esenti (il contributo unificato e la marca da Euro 27), è infondato alla luce del principio, già ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui il contributo unificato per gli atti giudiziari, di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, e il rimborso delle spese forfettarie, costituiscono obbligazioni di importo predeterminato, gravanti sulla parte soccombente ope legis e da ritenersi implicitamente incluse nella condanna alle spese, senza necessità di impugnare o correggere la sentenza che non ne abbia fatto menzione (Sez. L -, Ordinanza n. 3970 del 19/02/2018, Rv. 647445 – 01; Sez. 6 3, Ordinanza n. 23830 del 20/11/2015, Rv. 637782 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 18828 del 23/09/2015, Rv. 637147 – 01).
3. La ritenuta erroneità della sentenza impugnata, nella parte in cui ha liquidato le spese del primo grado di giudizio, non ne impone la cassazione con rinvio.
Infatti, non essendo necessari ulteriori accertamenti istruttori, la causa può essere decisa nel merito, attraverso la corretta liquidazione delle suddette spese.
Ritiene questa Corte che, in base alle questioni di diritto e di fatto agitate nella suddetta fase, non banali nè eccessivamente complesse, la liquidazione delle spese possa avvenire in base ai valori indicati dal 5 2 di cui alla Tabella allegata al D.M. n. 55 del 2014, cioè in base ai valori medi, così come richiesto dalla odierna ricorrente nella nota spese depositata (senza data) dinanzi la Corte d’appello di Torino, ed allegata sub 20 al fascicolo della parte ricorrente.
Spetta dunque a N.G., per il primo grado di giudizio, l’importo di Euro di Euro 2.430 per la fase di studio; Euro 1.550 per la fase introduttiva; Euro 5.400 per la fase di trattazione, ed Euro 4.050 per la fase decisionale, per un totale di Euro 13.430.
A tale importo andranno aggiunti, ope legis, il contributo unificato, l’importo del bollo (Euro 27), ed il rimborso delle spese generali.
3.1. Nei gradi di merito il difensore di N.G., avv. Francesco Fabbricatore, chiese la distrazione in proprio favore delle spese.
Tale istanza non è stata reiterata in questa sede, nè l’avv. Francesco Fabbricatore ha assunto il patrocinio della ricorrente nel presente giudizio di legittimità.
La condanna nel merito, pertanto, non potrà che avvenire a favore della parte personalmente. Infatti, in assenza della reiterazione della dichiarazione di cui all’art. 93 c.p.c., da parte del difensore, impossibile stabilire se, nelle more del giudizio di legittimità, questi abbia o non abbia ricevuto dal cliente la rifusione delle spese ed il pagamento degli onorari.
4. Le spese del giudizio di legittimità.
4.1. Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico della parte soccombente, ex art. 91 c.p.c..
Tutte le suddette spese vanno distratte in favore dell’avv. Ottone Martelli il quale, dichiarandosi distrattario ex art. 93 c.p.c., ha implicitamente affermato di avere anticipato le spese e di non avere riscosso gli onorari.
P.Q.M.
(-) accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna Reale Mutua di Assicurazioni al pagamento in favore di N.G. della somma di Euro 13.430, oltre il contributo unificato, le spese esenti, l’1.V.A., la cassa forense e le spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;
(-) condanna Reale Mutua Assicurazioni alla rifusione in favore di N.G. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.400, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2, somme tutte che si distraggono ex art. 93 c.p.c., in favore dell’avv. Ottone Martelli.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 14 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2019