LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CORRENTI Vincenzo – Presidente –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
Dott. Dongiacomo Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13764/2015 proposto da:
Z.M., elettivamente domiciliato in Roma, p.zza Cavour presso la cancelleria della Corte di cassazione e rappresentato e difeso dall’avvocato Marco Salbucci, e dall’avvocato Matteo Giacomazzi;
– ricorrente –
contro
Prefisa SRL, elettivamente domiciliato in Roma, Via Ortigara 3, presso lo studio dell’avvocato Stanislao Aureli, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Michele Aureli;
– controricorrente –
e contro
G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, Via Publio Valerio 9, presso lo studio dell’avvocato Mario Romano, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Maria Santina Bonanno;
– controricorrente –
e contro
Publigas Verona SPA;
– intimata –
avverso la sentenza n. 859/2014 della Corte d’appello di Venezia, depositata il 02/04/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 11/10/2018 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.
RILEVATO
che:
– il presente giudizio trae origine, per quanto qui di interesse, dal ricorso per reintegra e/o manutenzione e per denuncia di nuova opera proposto da Z.M. del proprio “*****” nei confronti della società Prefisa s.r.l., della Publigas e del custode giudiziario G.G., quest’ultimo designato a seguito di sequestro giudiziario disposto sul predetto fondo, appartenente alla comunione ereditaria nell’ambito della causa di divisione promossa dallo stesso Z.M. nei confronti della sorella Ma.;
– il ricorso possessorio era stato respinto per difetto sia di legittimazione attiva in capo al Z. che per difetto del requisito oggettivo dello spoglio o della turbativa;
– era altresì stata rigettata l’azione di denuncia di nuova opera per essere i lavori in contestazione già ultimati al momento di proposizione dell’istanza;
– proposto reclamo, lo stesso era respinto;
– anche la pronuncia del Tribunale di Verona del 2007 e riguardante il merito possessorio rigettava le domande dello Z. ribadendo l’insussistenza della legittimazione attiva e del requisito dello spoglio o turbativa;
– proposta impugnazione la Corte d’appello di Venezia con la sentenza n. 854 depositata il 2/4/2014 respingeva l’appello proposto dal Z.;
– la cassazione della suddetta sentenza è stata chiesta da Z.M. con ricorso notificato il 18/5/2015 a Publigas Verona s.p.a., Prefisa s.r.l. (d’ora in poi solo Prefisa) ed al custode G.G., cui resistono con controricorso le società Prefisa ed il custode G.;
– non ha svolto attività difensiva l’intimata Publigas Verona s.p.a.;
– parte ricorrente ed il controricorrente G. hanno depositato memorie.
CONSIDERATO
che:
– con il primo motivo il ricorrente deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione di legge per avere il giudice d’appello ritenuto il difetto di legittimazione attiva in capo al ricorrente;
– il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., poichè la Corte d’appello di Venezia ha coerentemente applicato il consolidato orientamento secondo cui “il custode di beni sottoposti a sequestro giudiziario, in quanto esponente e rappresentante di un patrimonio separato, costituente centro di imputazione di rapporti giuridici attivi e passivi, risponde direttamente degli atti compiuti in siffatta veste, quand’anche in esecuzione di provvedimenti del giudice ai sensi dell’art. 676 c.p.c., e, pertanto, è legittimato a stare in giudizio attivamente e passivamente in relazione a tali rapporti e per la tutela degli interessi che vi si collegano (Cass. 7354/1991; id. 10252/2002; id. 8483/2013);
– peraltro non appaiono rilevanti ai fini della individuazione del soggetto legittimato attivo rispetto alla tutela a suo tempo invocata le pronunce indicate dal ricorrente e riguardanti gli sviluppi successivi del cospicuo contenzioso che aveva contraddistinto la divisione della comunione ereditaria fra i fratelli Z.M. e Ma., atteso che la legittimazione deve sussistere al momento della proposizione della domanda e fino alla decisione;
– neppure rilevano le circostanze allegate dal Z. in relazione all’asserito conflitto di interesse con il custode, essendo ogni dubbio sul punto già stato esaminato nella sentenza impugnata;
– la corte veneziana aveva, infatti, escluso (cfr. pag. 14 della sentenza) sia la configurabilità di una gestione altrui, sia e soprattutto, la sussistenza di un interesse dello Z. ad evitare possibili danni derivanti dalla supposta collusione del custode con l’affittuaria del fondo sequestrato Prefisa, e ciò sulla scorta della sentenza del Tribunale penale del 2010 che aveva assolto il custode dal reato di cui all’art. 323 c.p. perchè il fatto non sussiste a seguito della denuncia sporta dalla Z. stesso;
– con il secondo motivo si censura, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la conclusione formulata dai giudici di merito con riguardo alla ritenuta assenza del requisito oggettivo dello spoglio;
– si denuncia, in particolare, che l’omesso esame di materiale probatorio avrebbe condotto all’illegittima conclusione secondo la quale le opere eseguite sul ***** e qualificate in termini di violazioni delle obbligazioni scaturenti dal contratto di affitto, non avrebbero “snaturato la vocazione agricola del fondo”;
– la doglianza riguarda l’apprezzamento di fatto svolto dal giudice d’appello, il quale ha specificamente esaminato il secondo motivo d’impugnazione e, sulla scorta delle considerazioni contenute nella relazione del ctu B., ritenuto che le opere realizzate dall’affittuaria Predfisa non erano irreversibili ed avevano conservato la vocazione agricola del fondo;
– si tratta di una motivazione che non presenta il vizio di omesso esame di fatto decisivo e che non appare neppure aggredita nei limiti ora consentiti dal testo riformato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;
– il ricorso deve pertanto essere necessariamente respinto; -in applicazione del principio di soccombenza, parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese di lite a favore dei controricorrenti nella misura liquidata in dispositivo;
– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore dei controricorrenti e liquidate in Euro 3200,00 di cui Euro 200,00 a favore di G. ed in Euro 2700,00 di cui Euro 200,00 per spese a favore di Prefisa s.r.l., oltre per entrambi, 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 ottobre 2018.
Depositato in Cancelleria il 14 giugno 2019