Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.17045 del 26/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29494-2016 proposto da:

CONDOMINIO *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14 A-4, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE PAFUNDI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSANDRO RE giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

A.B., elettivamente domiciliato in ROMA, V.CIRO MENOTTI 24, presso lo studio dell’avvocato SANDRO AMOROSINO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ADELAIDE PITERA’ giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 38/2016 del TRIBUNALE di TORINO, depositata il 29/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/03/2019 dal Consigliere Dott. MARIO CIGNA.

FATTI DI CAUSA

Con citazione 29-10-2008 B.F. e A.M. convennero in giudizio dinanzi al Tribunale di Torino il Condominio di ***** ed i proprietari degli alloggi costituenti il Condominio medesimo per sentirli condannare all’arretramento, ovvero alla demolizione, del fabbricato di proprietà dei convenuti, realizzato – sul lotto confinante al proprio – in violazione sia delle norme sulle distanze tra confini e costruzioni sia delle disposizioni sulle altezze degli edifici, nonchè al risarcimento del danno in conseguenza subito.

Al giudizio parteciparono, quali terzi chiamati in causa dai convenuti, anche la Alemas srl, quale costruttrice e venditrice delle unità immobiliari realizzate, e l’architetto A.B., quale progettista e direttore dei lavori, nonchè, quale terzo chiamato in causa dall’ A., la Generali Assicurazioni SpA. Con sentenza 38/2016 del 29-2-2016, l’adito Tribunale condannò i convenuti a ripristinare la distanza minima tra il fabbricato condominiale e l’edificio di proprietà attorea ed a pagare la somma di Euro 20.000,00, oltre interessi legali, a titolo di risarcimento del danno; condannò la Alemas srl a tenere indenni i convenuti del pagamento della detta somma e rigettò le domande avanzate dai convenuti nei confronti di A.B., con conseguente assorbimento della domanda di manleva da quest’ultimo proposta nei confronti della generali Assicurazioni SpA.

In particolare il Tribunale, in relazione innanzitutto alla posizione dell’architetto A. quale progettista delle opere, non ravvisò nella sua opera professionale alcun errore progettuale; nello specifico, infatti, come evidenziato dal CTU, le tavole progettuali prevedevano la realizzazione di una c.d. “pompeiana”, struttura che univa lo stabile condominiale in costruzione con l’immobile di proprietà degli attori, e siffatta previsione della “pompeiana” permetteva la deroga alle distanze, in quanto considerata realizzazione in aderenza.

In relazione, poi, alla posizione dello stesso architetto A. quale direttore dei lavori, il Tribunale, dopo avere premesso che il direttore dei lavori era obbligato nei confronti del committente a riscontrare la progressiva conformità dell’opera al progetto e dopo avere accertato che la c.d. “pompeiana” non era mai stata realizzata nè nel termine originario dei lavori ne all’esito) delle concesse proroghe, escluse la responsabilità del professionista, anche in detta qualità, per non essere stata accertata alcuna inerzia dell’ A. nel far rispettare il progetto, e, quindi, per non essere allo stesso imputabile (per mancanza di colpa) siffatta mancata realizzazione; nello specifico, infatti, con dichiarazione 12-7-2001 la Alemas srl aveva dato atto che i lavori erano terminati in data 18-5-2001, e quindi nel termine di cui alla concessione, “ad eccezione della pompeiana, per la quale si richiederà regolare concessione per la sua realizzazione”; dichiarazione ritenuta idonea dal Comune per il rilascio del certificato) di agibilità”; non vi era prova che, successivamente a tale dichiarazione, l’ A. fosse stato) incaricato della direzione dei lavori per la realizzazione della Pompeiana, e che quindi non avesse verificato la corretta esecuzione; a conclusioni differenti non poteva giungersi nè in base al “fine lavori parziale” sottoscritto il 7-4-1999 dall’ A. (avuto riguardo alle richieste di concessione in variante successivamente depositata) nè in base alla bozza di scrittura privata predisposta successivamente alla chiusura dei lavori, che poteva solo costituire un indizio della conoscenza dell’ A. della mancata esecuzione della pompeiana dopo la chiusura dei lavori, ma non offriva alcuna prova del nesso causale tra condotta del professionista e violazione.

Con ordinanza ex art. 348 bis c.p.c. la Corte d’Appello, di Torino, precisato che la sentenza di primo grado era passata in giudicato per tutti i capi della pronuncia diversi dal rigetto della domanda formulata dal Condominio e dai vari condomini nei confronti dell’architetto A.B., ha ritenuto che l’impugnazione proposta dal Condominio e dai vari condomini avverso detta decisione di rigetto non avesse una ragionevole probabilità di essere accolta, e l’ha quindi dichiarata inammissibile; al riguardo la Corte ha, tra l’altro, anche evidenziato, in primo luogo, che con la attestazione di fine lavori 12-7-2001 la Alemas srl aveva dichiarato di volere realizzare la pompeiana dopo il luglio 2001 e che la mancata realizzazione della stessa era dovuta ad inerzia della detta società, nulla ostandovi nè sotto il profilo amministrativo (la società avrebbe potuto chiedere una nuova concessione) nè sotto quello civilistico (non era necessario acquisire il consenso dei terzi confinanti); in secondo luogo, che era irrilevante la circostanza che il professionista avesse mantenuto) contatti con la proprietà B.- A. per verificare se fosse stato possibile procedere all’edificazione della pompeiana, atteso) che siffatta opera dopo il luglio 2001 avrebbe comunque richiesto una nuova concessione, che poteva essere domandata solo dalla proprietaria-committente Alemas srl, e non certo dal progettista o dal direttore dei lavori avverso la sentenza del Tribunale il Condominio di ***** propone ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi ed illustrato anche da successiva memoria.

A.B. resiste con controricorso, anch’esso illustrato, da successiva memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione della L. n. 47 del 1985, art. 6 e dell’art. 2236 c.c., si duole che il Tribunale abbia escluso qualsiasi responsabilità dell’architetto A. quale progettista dei lavori, senza considerare che la mancata edificazione della pompeiana non poteva che comportare la violazione della L. n. 47 del 1985, art. 6 all’epoca vigente, secondo cui il direttore dei lavori era responsabile della conformità delle opere alle previsioni della concessione ad edificare ed alle modalità esecutive stabilite dalla medesima; nello specifico il Tribunale non poteva ignorare che l’architetto A. era sia direttore dei lavori sia progettista, e quindi era consapevole, sin dal momento, della progettazione, della necessità della pompeiana al fine di eliminare qualsiasi violazione delle distanze dal fabbricato degli attori.

Il motivo è inammissibile.

Con lo stesso, invero, a prescindere da ogni altra considerazione, si imputa all’architetto. rione, quale progettista, l’inadempimento di un obbligo per legge imposto, secondo lo stesso ricorrente, al direttore dei lavori, e non quindi al progettista; correttamente, invece, la Corte territoriale, con riferimento alla responsabilità dell’architetto quale progettista, aveva evidenziato che negli elaborati progettuali redatti dal professionista risultava prevista una pompeiana che, unendo lo stabile in costruzione con quello attoreo, permetteva la deroga alle distanze.

Con il secondo motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione della L. n. 47 del 1985, art. 6 e dell’art. 2236 c.c., si duole che il Tribunale abbia escluso qualsiasi responsabilità dell’architetto A. quale direttore dei lavori, senza considerare che era sussistente agli atti una sua pacifica ammissione di responsabilità, consistente nella lettera 18-7-2001 con la quale la Alemas srl aveva dato atto che i lavori erano terminati in data 18-5-2001 – ad eccezione della pompeiana, per la quale si richiederà regolare concessione per la sua realizzazione”; tali affermazioni erano in contrasto con la detta normativa edilizia-urbanistica all’epoca vigente, atteso che in base alla stessa il direttore responsabile doveva ritenersi responsabile della conformità delle opere alla concessione, mentre nella specie la pompeiana, che costituiva condizione di legittimità della concessione edilizia, non era stata realizzata; nell’eventualità non fosse stato possibile realizzare la pompeiana, il direttore dei lavori aveva peraltro l’obbligo, L. n. 47 del 1985, ex art. 46, comma 2, di contestare la violazione delle prescrizioni della concessione, comunicare al sindaco detta violazione e rinunziare all’incarico.

Anche detto motivo è inammissibile.

La richiamata normativa urbanistica, peraltro invocata per la prima volta in sede di legittimità, esaurisce i suoi effetti nei rapporti tra P.A. e soggetti dalla stessa contemplati, e non si applica quindi ai rapporti tra privati (conf. Cass. 12405/2007).

In ogni modo, nella dichiarazione di fine lavori, proveniente dalla società, non vi è alcuna ammissione di responsabilità da parte dell’architetto, mentre costituisce accertamento in fatto da parte del primo Giudice, non contestato, che, successivamente alla data di ultimazione dei lavori (18-7-2001), non possa essere ravvisata alcuna responsabilità del professionista, non essendo stata data la prova di un successivo incarico.

Con il terzo motivo il ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione del D.P.R. n. 425 del 1994, art. 4 e L. n. 56 del 1977, art. 57 Regione Piemonte nonchè dell’art. 2697, evidenzia la malafede dell’architetto A. posto che, in base alla normativa urbanistica su richiamata, l’abitabilità poteva essere rilasciata solo ove la costruzione fosse stata conforme al progetto) approvato e fossero state rispettate tutte le prescrizioni apposte alla concessione; nella specie la responsabilità dell’ A. era “in re ipsa”, in quanto lo stesso era perfettamente cosciente che il progetto originario obbligava committente, costruttore e direttore dei lavori alla realizzazione della pompeiana, poi mai effettuata; al contrario di quanto sostenuto in primo grado, non era necessaria la prova di un incarico all’architetto A. successivo alla dichiarazione di fine lavori della Alemas srl del 18-7-2001, atteso che già il progetto originario prevedeva la realizzazione della pompeiana, con conseguente obbligo del professionista di far sì che siffatto manufatto fosse realizzato.

Il motivo è inammissibile.

L’oscura formulazione dello stesso non consente, invero di intendere il significato e la portata della censura svolta, e, in particolare, come e perchè la denunziata violazione di legge incida sulla responsabilità del professionista; siffatta assoluta incomprensibilità della censura comporta che non è soddisfatto il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4, il quale prescrive che il ricorso contenga, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza impugnata (Cass. 11501/2006).

Alla luce di tali considerazioni, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato dichiarato inammissibile, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 4.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, il 7 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2019

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