LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. CIGNA Mario – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11292-2017 proposto da:
S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 167, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI RABACCHI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
AXA ASSICURAZIONI SPA, in persona del procuratore speciale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OTRANTO 36, presso lo studio dell’avvocato MARIO MASSANO, che la rappresenta e difende;
DI GIORGIO ROBERTO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 126, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO DI GIORGIO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrenti –
e contro
AXA ASSICURAZIONI SPA, in persona del procuratore speciale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OTRANTO 36, presso lo studio dell’avvocato MARIO MASSANO, che la rappresenta e difende;
– resistente –
avverso la sentenza n. 1070/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/02/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/03/2019 dal Consigliere Dott. PASQUALE GIANNITI.
RILEVATO IN FATTO
1. La Corte di Appello di Roma, decidendo in sede di rinvio, con sentenza n. 1070/2017, ha confermato integralmente la sentenza n. 15746/2003 del Tribunale di Roma, con la quale era stata rigettata la domanda di risarcimento danni per responsabilità professionale, già proposta da S.A. nei confronti dell’avv. Roberto Di Giorgio.
2. Era accaduto che, nel mese di luglio 1989, il S. aveva convenuto dinanzi al Tribunale di Roma l’avv. Di Giorgio, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni cagionati per negligente esecuzione del mandato difensivo conferitogli.
In punto di fatto, il S. aveva dedotto che: a) aveva prestato attività lavorativa, quale dipendente, dal 10 aprile 1970 sino al 2 agosto 1982, presso la Compagnia di Assicurazioni La Potenza; b) detta compagnia era stata sottoposta a liquidazione coatta amministrativa; c) l’avv. Di Giorgio aveva provveduto, oltre il termine ultimo previsto dalla L. Fall., art. 98,all’iscrizione a ruolo di due distinte cause di opposizione allo stato passivo della Compagnia di Assicurazioni La Potenza, con conseguente declaratoria di inammissibilità del gravame per la tardiva costituzione nei predetti giudizi (l’uno, concernente il riconoscimento di differenze retributive per svolgimento di mansioni superiori, da capo ufficio a funzionario con procura, dal 25 novembre 1975; l’altro, riguardante il diritto all’indennità per mancato preavviso, per cessazione del rapporto lavorativo a seguito della sottoposizione della Compagnia La Potenza a liquidazione coatta amministrativa); d) a causa della condotta gravemente colposa del difensore, aveva subito ingenti danni, costituiti dalla condanna al pagamento delle spese dei giudizi di opposizione, dal mancato realizzo delle somme rivendicate per mancato riconoscimento nell’inquadramento e nella qualifica spettanti, nonchè dalla conseguente impossibilità di ottenere un diverso e più favorevole inquadramento nella SIPEA S.p.A., impresa cessionaria del portafoglio della Compagnia di Assicurazioni La Potenza (presso la quale era stato riassunto, ai sensi del D.L. n. 576 del 1978, art. 5convertito, con modificazioni, nella L. n. 738 del 1978).
Si erano costituiti in giudizio il legale convenuto e la Compagnia di assicurazioni Union des Assurence de Paris (poi Compagnia di assicurazioni A.X.A. S.p.A.), chiamata in causa dal convenuto a fini di manleva.
Il giudice di primo grado, espletata l’istruttoria, in parziale accoglimento della domanda attorca: a) aveva accertato la responsabilità professionale dell’avv. Di Giorgio, condannandolo: sia al ristoro dei danni, quantificati in Euro 3.750,88, a titolo di rimborso delle spese processuali al cui pagamento il S. era stato condannato nei giudizi di opposizione allo stato passivo; sia alla refusione delle metà delle spese di lite, compensando il residuo; b) aveva dichiarato la Compagnia di assicurazioni A.X.A. S.p.A. obbligata a manlevare l’assicurato avv. Di Giorgio, compensando interamente le spese di causa tra la prima e il secondo, in relazione alla chiamata in garanzia; c) aveva rigettato, nel resto, le domande risarcitorie svolte dall’attore.
Avverso tale sentenza aveva proposto appello il S., lamentando il mancato riconoscimento degli ulteriori danni subiti.
Si erano costituiti nel giudizio di appello sia l’avv. Di Giorgio che la Compagnia di assicurazioni A.X.A. chiedendo entrambi il rigetto del gravame e la conferma della sentenza di primo grado.
La Corte territoriale con la sentenza n. 995/2012 aveva rigettato l’appello, confermando integralmente la sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza n. 995/2012 della Corte territoriale il S. aveva proposto ricorso, al quale aveva resistito con controricorso l’avv. Di Giorgio (mentre nessuna attività difensiva era stata svolta dall’intimata Compagnia di assicurazioni AXA S.p.A.).
3.La Corte di legittimità con sentenza n. 16281/2015 ha cassato la sentenza impugnata ed ha rinviato alla Corte territoriale in diversa composizione perchè, alla stregua dei rilievi articolati in motivazione, “provvedesse alla compiuta valutazione di ammissibilità delle istanze istruttorie proposte in sede di appello dal S., in uno con l’apprezzamento delle risultanze della prova testimoniale già espletata, ai fini della delibazione di fondatezza, o meno, della domanda risarcitoria per la parte non accolta”.
In particolare, la Corte – dopo aver rilevato che, in materia di azione di responsabilità nei confronti di un professionista, l’agente è tenuto a provare sia di aver sofferto un danno, sia che questo sia stato causato dalla insufficiente o inadeguata o negligente attività del professionista, e cioè dalla sua difettosa prestazione professionale; e che, in particolare, trattandosi dell’attività del difensore, l’affermazione della sua responsabilità implica la valutazione positiva che alla proposizione di una diversa azione, o al diligente compimento di determinate attività, sarebbero conseguiti effetti più vantaggiosi per l’assistito – ha accolto il primo motivo del ricorso introduttivo di quel giudizio (con il quale era stata dedotta violazione di legge “quanto alla ritenuta mancata prova della possibilità di realizzare la pretesa creditoria vantata in caso di accoglimento delle opposizioni patrocinate dal convenuto Di Giorgio”), così argomentando:
-la Corte territoriale era effettivamente incorsa nella decisiva omissione di valutazione dedotta dal ricorrente, in quanto, dapprima, aveva ritenuto che, ai fini dell’assolvimento del predetto onere di prova (attinente al soddisfo dei crediti ammessi al riparto ed alla percentuale di distribuzione tra gli aventi diritto), sarebbe stata sufficiente una prova testimoniale o anche di carattere presuntivo, mentre poi aveva affermato che il S. non aveva “neppure… tentato di introdurre, in tal senso, un qualche elemento probatorio” nel grado di appello. In senso contrario, come risultava dal tenore dell’atto di impugnazione dinanzi alla Corte territoriale (segnatamente, pp. 21 e ss. e conclusioni), andava rilevato che l’appellante aveva chiesto, proprio ove fosse stato ritenuto non assolto il predetto onere probatorio a suo carico, che venissero ammessi gli ulteriori capitoli di prova testimoniale e gli ulteriori testimoni indicati in primo grado sui capitoli già ammessi (in base all’ordinanza del G.I. del 29 ottobre 1992), tra cui (come dallo stesso controricorrente non contestato) il capitolo “a” concernente il pagamento da parte della società La Potenza in l.c.a. delle spettanze dei propri dipendenti. Capitolo di prova su cui, peraltro, aveva deposto il teste P.;
-si trattava, dunque, di motivazione omessa (quanto al mancato esame delle istanze istruttorie e delle risultanze probatorie già acquisite), che scontava, altresì, un’intima contraddizione con la premessa da cui avrebbe dovuto diversamente orientarsi il percorso decisorio, ossia la non necessarietà di una prova documentale (come al contrario aveva, invece, erroneamente affermato il primo giudice) e la sufficienza di una prova orale o anche presuntiva ai fini della prova del danno patito in conseguenza dell’inadempimento del legale.
4. Il S. ha riassunto la causa avanti alla Corte di rinvio ed ha chiesto l’accoglimento delle domande formulate in relazione ai principi affermati nella sentenza cassatoria.
Si sono costituiti nel giudizio di rinvio sia l’avv. Di Giorgio che la Axa Ass.ni S.p.A., chiedendo il rigetto del ricorso.
E la Corte territoriale, in sede di rinvio, come sopra rilevato, ha integralmente confermato la sentenza di primo grado.
5. Avverso la sentenza emessa dalla Corte di rinvio ha proposto ricorso S.A., affidato a 4 motivi.
5.1. Con il primo motivo (pp. 39-47), articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il S. ha denunciato: violazione ed erronea applicazione dell’art. 383 c.p.c., comma 4 e art. 384 c.p.c., comma 2, anche con riferimento agli artt. 324 e 329 c.p.c., nella parte in cui la Corte territoriale, decidendo in sede di rinvio, non si è uniformata al principio di diritto e comunque a quanto statuito dalla sentenza cassatoria n. 16281/15, nonchè nella parte in cui ha violato il giudicato parziale già intervenuto riguardo all’oggetto della prova, della quale era onerato l’attore, nonchè riguardo alla rilevanza della prova testimoniale già ammessa ed espletata in primo grado e della ammissione dei testi ancora da escutere.
Il ricorrente ha sostenuto che la Corte territoriale, in sede di rinvio, non si sarebbe attenuta al dictum di questa Corte, in quanto: a) ha “integrato” la prima sentenza di appello, poi cassata, con un argomento – la pretesa irrilevanza del fatto che tutti i lavoratori dipendenti de La Potenza in bonis erano stati integralmente saldati di ogni loro spettanza dalla Liquidazione della Società – che contrastava con quanto era stato invece deciso nella sentenza cassatoria, anche con riguardo alla rilevanza ed all’ammissibilità della prove e dei testi ancora da escutere; b) ha disatteso l’oggetto della prova, indicato nella sentenza cassatoria, di cui era onerato l’attore, visto che, anche sul punto in contrasto con il dictum contenuto nella sentenza pronunciata da questa Corte, ha esaminato soltanto i capitoli di prova non ammessi ed ha ritenuto che il fatto dell’integrale pagamento ai dipendenti fosse irrilevante, mentre la sentenza cassatoria aveva statuito che il fatto dell’avvenuto soddisfacimento da parte della l.c.a. di tutti i creditori privilegiati era senz’altro rilevante e andava accertato sia con i capitoli di prova già ammessi, sia con la escussione dei testi ulteriori indicarti dall’attore in primo grado; c) ha disatteso il dictum contenuto nella sentenza cassatoria nella parte in cui non ha ritenuto decisiva la prova già espletata in primo grado, e non ha ammesso i testi ulteriori da lui indicati – fra i quali il Commissario Liquidatore in persona – ed ha rigettato l’appello (mentre nella sentenza cassatoria era stato affermato che in sede di giudizio di rinvio l’alternativa poteva essere soltanto o la ritenuta decisività della prova testimoniale già espletata in prime cure, ovvero, in caso di ritenuta non decisività di detta prova, l’ammissione dei testi ulteriori indicati dall’attore, da escutere sui capitoli di prova già ammessi con ordinanza 29/10/1992, e, come tali, da ritenere per ciò stesso ammissibili, in quanto rilevanti ai fini del decidere).
5.2. Con il secondo motivo (pp. 47-49), articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente ha denunciato: omesso esame del fatto decisivo e controverso, costituito dall’avvenuto integrale soddisfacimento delle ragioni creditorie di tutti gli 80 lavoratori dipendenti della Società La Potenza in bonis, e, conseguentemente, omesso esame di altro fatto decisivo, costituito dal più che certo soddisfacimento dei suoi crediti sia per capienza dell’attivo, sia, quanto meno, a norma dell’art. 2782 c.c., comma 1 (norma in forza della quale ogni credito assistito dallo stesso privilegio ex art. 2751 bis c.c., n. 1, – e dunque anche il suo credito – pur nella inverosimile ipotesi di incapienza dell’attivo della l.c.a., avrebbe concorso percentualmente con i crediti degli altri 80 dipendenti soddisfatti).
Ha sostenuto che la Corte di rinvio, non esaminando entrambi i suddetti fatti decisivi, tra loro eziologicamente collegati, ha erroneamente ritenuto che il suo credito sarebbe stato tout court escluso e sarebbe rimasto insoddisfatto; ed ha erroneamente respinto l’appello, ritenendo non provato che anch’egli avrebbe ottenuto il pagamento del suo credito di lavoro in caso di accoglimento delle due opposizioni allo stato passivo, proposte a ministero del convenuto Avv. Di Giorgio.
5.3. Con il terzo motivo (p. 50, nonchè pp. 47-49), articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha denunciato: violazione ed erronea applicazione dell’art. 2782 c.c., comma 1, con riferimento all’art. 2751 bis c.c., n. 1 nella parte in cui la sentenza impugnata ha escluso la esistenza che un danno risarcibile, da lui sofferto, sull’erroneo presupposto che il suo credito, nonostante fosse assistito da privilegio ex art. 2751 bis c.c., n. 1 (al pari di quelli degli altri 80 dipendenti de La Potenza in bonis) sarebbe rimasto irrealizzato.
5.4. Con il quarto ed ultimo motivo (pp. 50-54), articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, il S. ha denunciato infine violazione ed erronea applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, con riferimento agli artt. 116,244 e 245 c.p.c., art. 253 c.p.c., comma 1 e art. 324 c.p.c., nella parte in cui la sentenza impugnata, anche in violazione del dictum contenuto nella sentenza cassatoria” ha omesso di disporre la escussione degli ulteriori testimoni da lui indicati in primo grado e non ammessi dal Tribunale di Roma, neppure al fine di escuterli sul capitolato di prova già ammesso.
Ha sostenuto che sussisteva la lesione del suo diritto alla prova, già sancito dall’ordinanza ammissiva 29/10/92 del Primo Giudice; tanto era vero che la sentenza impugnata non faceva parola dei testi da escutere, e neppure rilevava che le circostanze asseritamente indispensabili ai fini del decidere – quali la capienza dell’attivo e l’avvenuto pagamento dei creditori (privilegiati e non) ben potevano essere richieste ai testi a titolo di chiarimento ai sensi dell’art. 253 c.p.c..
6.Hanno resistito con distinti controricorsi l’avv. Di Giorgio e l’Axa Assicurazioni, che preliminarmente hanno entrambi eccepito la tardività del ricorso.
7. In vista dell’odierna adunanza, è stata presentata dal difensore del ricorrente, dapprima, nota di deposito di documenti ex art. 372 c.p.c., comma 2 ai fini dell’ammissibilità e tempestività del ricorso per cassazione in cause scindibili, e, poi, istanza di discussione della causa in pubblica udienza.
RITENUTO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perchè tardivo.
In punto di fatto, si rileva che: a) il S. con atto di citazione notificato il 3 luglio 1989 ha convenuto in giudizio soltanto l’avv. Roberto Di Giorgio, ma quest’ultimo ha chiamato in causa a fini di manleva la propria compagnia assicuratrice, che si è costituita fin dal giudizio di primo grado; b) la sentenza impugnata, emessa dalla Corte territoriale in sede di rinvio, è stata notificata al legale dell’odierno ricorrente: in data 17 febbraio 2017 dal legale della compagnia assicuratrice, e, in data 21 febbraio 2017, dall’avv. Roberto Di Giorgio, quale difensore di sè stesso; c) il ricorso, introduttivo del presente giudizio, è stato passato per la notifica lunedì 24 febbraio 2017.
Orbene, il ricorrente, nell’istanza presentata in vista dell’odierna udienza, sostiene la tempestività del proprio ricorso. E, al riguardo, deduce che, avendo rivolto domanda giudiziale di risarcimento danni per responsabilità professionale esclusivamente nei confronti dell’avv. Roberto Di Giorgio e trattandosi di cause scindibili, non opera il principio dell’unitarietà del termine di impugnazione, con la conseguenza che, al fine della tempestività del ricorso, si dovrebbe fare riferimento esclusivamente alla notifica effettuata (si ribadisce, in data 21 febbraio 2017) dal legale originariamente convenuto. Per tale ragione, il suo ricorso (passato per la notifica il successivo 24 aprile) sarebbe tempestivo (perchè proposto al sessantesimo giorno).
Senonchè le Sezioni Unite di questa Corte già da alcuni anni hanno statuito che la chiamata in garanzia determina un litisconsorzio necessario processuale tra il terzo chiamato e le parti originarie, con conseguente inscindibilità delle cause ex art. 331 c.p.c., sicchè l’attore, che impugna la sentenza a sè sfavorevole, è tenuto ad evocare nel giudizio di appello oltre che il responsabile anche il garante (Sez. U, Sentenza n. 24707 del 04/12/2015).
E, di recente, proprio questa Sezione ha avuto modo di ribadire che “Nei processi con pluralità di parti, quando si configuri l’ipotesi di litisconsorzio necessario, ovvero di litisconsorzio processuale (cd. litisconsorzio “unitario o quasi necessario”), è applicabile la regola, propria delle cause inscindibili, dell’unitarietà del termine per proporre impugnazione, con la conseguenza che la notifica della sentenza eseguita da una delle parti segna, nei confronti della stessa e della parte destinataria della notificazione, l’inizio del termine breve per impugnare contro tutte le altre parti, sicchè la decadenza dall’impugnazione per scadenza del termine esplica effetto nei confronti di tutte le parti (cfr. ordinanza n. 14722 del 07/06/2018, Rv. 649046 – 02).
Dando continuità a suddetti principi, il ricorso introduttivo del presente giudizio (passato per la notifica il 24 aprile 2017) è tardivo, dovendosi fare riferimento come dies a quo alla data della prima notifica della sentenza impugnata (effettuata in data 17 febbraio 2017).
Avuto riguardo all’art. 92 c.p.c., nella formulazione vigente al momento dell’introduzione del giudizio di primo grado ed applicabile nella specie ratione temporis, si ravvisano giusti motivi per dichiarare integralmente compensate tra le parti le spese relative al presente giudizio di legittimità.
Il ricorrente è invece tenuto al pagamento dell’ulteriore importo, dovuto per legge ed indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte:
– dichiara inammissibile il ricorso;
– dichiara compensate tra le parti le spese relative al presente giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del citato art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 7 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2019