Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.17080 del 26/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23976-2018 proposto da:

N.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TOMMASO CAMPANELLA 21, presso lo studio dell’avvocato SAVERIO MAZZEO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE SALOMONE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO *****;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2931/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 13/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA IOFRIDA.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 2931/2018, ha respinto l’appello di N.C., cittadino del Gambia, avverso ordinanza del Tribunale di Milano, con la quale era stata respinta la richiesta di protezione internazionale, a seguito di diniego da parte della Commissione territoriale competente.

In particolare, la Corte territoriale ha ritenuto che la vicenda personale riferita dal richiedente (essere stato costretto a lasciare il Paese perchè aveva sorpreso la moglie a letto on un amante, cosicchè, avendolo egli ferito, era stato arrestato e condotto in un carcere locale, dal quale, dopo essere stato torturato e seviziato, era riuscito ad evadere) era del tutto inattendibile, in relazione ad aspetti decisivi della vicenda, anche in ordine alle asserite lesioni da tortura; inoltre, quanto al riconoscimento dello status di rifugiato, la situazione attuale del Paese di provenienza (quale emergente da fonti aggiornate, in particolare le “pubblicazioni UNHCR”) era caratterizzata da un cambiamento politico, essendo stato avviato un processo di democratizzazione e non sussistendo conflitti armati o un contesto di violenza generalizzata; neppure ricorrevano le condizioni per il riconoscimento della protezione sussidiaria o umanitaria, non ricorrendo, al riguardo di tale ultima forma di protezione, condizioni specifiche di vulnerabilità e non essendo sufficiente il mero fatto dell’integrazione sociale in Italia.

Avverso la suddetta sentenza, N.C. propone ricorso per cassazione, notificato via PEC tra il 13-14/7/2018 ed il 31/7/2018, affidato ad unico articolato motivo, nei confronti del Ministero dell’Interno (che non svolge attività difensiva; verificare notifica, non vi sono copie in fascicoletto), Il ricorrente ha depositato memoria.

E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta, con unico motivo, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., “n. 4”, in relazione alla richiesta di protezione umanitaria, avendo la Corte d’appello confermato la decisione di primo grado, che tuttavia aveva omesso di motivare sulla richiesta di protezione umanitaria, così lasciandosi condizionare dal giudizio di non credibilità del racconto del richiedente; il ricorrente ribadisce che il Gambia è Paese afflitto da gravi difficoltà economica, di diffusa povertà e di limitato accesso per la maggior parte della popolazione ai fondamentali diritti della persona. Il ricorrente lamenta altresì di essere stato ascoltato dalla Commissione territoriale senza l’ausilio di un interprete di madrelingua, che non vi è stato da parte del giudice di primo grado alcun approfondimento istruttorio.

2. Il ricorso è inammissibile.

Anzitutto diversi profili di doglianza sono rivolti non contro la sentenza impugnata della Corte d’appello ma contro la decisione di primo grado o addirittura censurano lacune che hanno riguardato la fase amministrativa svoltasi dinanzi alla Commissione Territoriale.

Peraltro, in ordine all’asserito ascolto senza interprete di madrelingua, la sentenza della Corte d’appello non dice nulla in merito ed il ricorrente non spiega se la censura relativa era stata sollevata dinanzi al Tribunale.

Il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione è articolato in modo non conforme al nuovo disposto dell’art. 360 c.p.c., n. 5, mentre non ricorre un vizio di omessa o del tutto carente motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 4, avendo la Corte d’appello motivato sulle ragioni che non giustificavano l’accoglimento della richiesta di protezione umanitaria.

La doglianza, in ogni caso, concerne la valutazione di inattendibilità/non credibilità della narrazione dei fatti che secondo il richiedente – lo avrebbero indotto ad abbandonare il proprio Paese.

Ora, questa Corte ha di recente ribadito che “in materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona. Qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori.” (Cass. n. 16925 del 27/06/2018) Orbene, nel caso in esame, la Corte d’appello ha dato corretta applicazione a detto principio, avendo ravvisato la inattendibilità delle dichiarazioni non già nella mancanza di riscontri probatori, ma nella intrinseca contraddittorietà delle dichiarazioni alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, peraltro estesa anche alle informazioni in merito alla situazione del Paese di provenienza, oggetto di approfondimento istruttorio ufficioso.

A fronte di un accertamento puntualmente motivato, le doglianze risultano formulate in modo astratto (limitandosi il ricorrente, anche con riguardo alla protezione umanitaria, a fare riferimento alla sola situazione di povertà del Paese d’origine) – in quanto in nessun passaggio del ricorso si confrontano con il contenuto della sentenza che, esaminate le dichiarazioni rese secondo l’criteri legali, ha posto in evidenza le ragioni di contraddittorietà ed inverosimiglianza, anche alla luce delle informazioni acquisite – ed integrano una inammissibile richiesta di riesame delle risultanze processuali e una istanza di rivalutazione degli elementi emersi nel corso della fase di merito (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 7/4/2014), specie con riferimento alla esclusa credibilità del dichiarante, o di esercizio – inammissibile in questa sede – di indagini, con riferimento ad elementi già esaminati e confutati nella sentenza impugnata (circa l’esclusione della situazione di pericolo per la violenza indiscriminata di cui potrebbe essere vittima nel caso di ritorno in patria).

In memoria, si insiste su un vizio di omessa pronunciai sulla richiesta di protezione umanitaria, che non sussiste, essendosi la Corte territoriale espressamente pronunciata sulla richiesta.

3. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso. Non v’è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2019

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