LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8719-2017 proposto da:
INTERPLAST SERVICE SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 6, presso lo studio dell’avvocato SERGIO LIO, rappresentata e difesa dall’avvocato MICHELE PERRINO;
– ricorrente –
contro
AZIENDA AGRICOLA C. SRL;
– intimata –
avverso il provvedimento n. 172/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 31/01/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/12/2018 dal Consigliere Dott. MILENA FALASCHI.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Il Tribunale di Trapani, con sentenza del 9.1.2012, in accoglimento della domanda proposta dall’Azienda Agricola C. s.r.l., dichiarava che il confine tra la particella ***** di proprietà dell’Azienda Agricola C. s.r.l. e la particella 320 di proprietà della Interplast s.r.l. ricadeva a 2,7 metri dal fronte nord del fabbricato ” C.”.
A seguito di appello interposto dall’Interplast s.r.l., la Corte di appello di Palermo, con sentenza n. 172 del 2017, respingeva il gravame, confermando la sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo, la Interplast s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, fondato su due motivi. E’ rimasta intimata l’Azienda Agricola C. s.r.l..
RITENUTO
che il ricorso potesse essere rigettato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente comunicata ai difensori delle parti, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
In prossimità dell’adunanza camerale parte ricorrente ha curato il deposito di memoria illustrativa.
Atteso che:
con il primo motivo la ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 950 c.c., per avere la Corte di appello erroneamente attribuito valore, ai fini dell’accertamento del confine tra i fondi, alle risultanze delle mappe catastali, anzichè ai titoli di acquisto delle rispettive proprietà. A detta della ricorrente, la Corte di merito avrebbe dovuto dare rilevanza al fatto che l’Azienda Agricola C. non aveva acquistato, unitamente al fabbricato, di cui alla particella *****, alcuna corte confinante con la particella 320, di proprietà dell’Interplast s.r.l. e, per l’effetto, affermare che dai titoli di acquisto, così come anche dalla espletata CTU, emergevano elementi idonei a determinare il confine lungo il muro del fabbricato dell’Azienda Agricola C. e non a 2,7 metri dal fronte nord del fabbricato ” C.”.
La censura non può trovare ingresso.
Come più volte ribadito da questa Corte (si veda, da ultimo, Cass. n. 10062 del 2018) è riservato al giudice di merito il potere di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. A tal riguardo, con specifico riferimento al regolamento di confini, il ricorso al sistema di accertamento sussidiario costituito dalle mappe catastali è consentito al giudice non soltanto in caso di mancanza assoluta ed obiettiva di altri elementi, ma anche nelle ipotesi in cui questi, per la loro consistenza o per ragioni attinenti alla loro attendibilità, risultino, secondo l’incensurabile apprezzamento svolto in sede di merito, comunque inidonei alla determinazione certa del confine (Cass. n. 14020 del 2017).
Nella specie la Corte di merito ha espressamente dato conto, con motivazione esente da vizi logici, delle ragioni per cui la linea di confine tra i due fondi andava tracciata in conformità delle risultanze della CTU (e, quindi, delle mappe catastali), anzichè dei titoli di acquisto, chiarendo che nell’atto di acquisto della C. il confine a nord veniva indicato semplicemente con riferimento alla cooperativa Agrotecnica, senza specificare se tale confine comprendesse o meno la corte.
E’ stata dunque dalla Corte di appello accertata – con motivazione logica e congrua – l’inidoneità dei titoli di acquisto alla determinazione certa del confine e correttamente ha riconosciuto la necessità di fare ricorso ad altri atti del giudizio;
– con il secondo motivo la ricorrente lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, per avere la Corte di appello erroneamente affermato che l’esistenza del diritto di stillicidio previsto nell’atto di acquisto della C. confermava la proprietà in capo a quest’ultima della striscia di terreno in contestazione. A detta della ricorrente, la previsione del diritto di stillicidio, spettante alla C. e gravante sul terreno della Interplast, confermerebbe la collocazione del confine lungo il muro del fabbricato acquistato dalla C.; un tale diritto, infatti, non sarebbe stato previsto se nell’atto di acquisto della C. si fosse ricompresa anche la striscia di terreno in contestazione.
Il motivo è inammissibile per genericità.
Pur essendo la motivazione della Corte di appello sul punto opinabile perchè offre dello stato dei luoghi una versione non sempre chiara, il ricorrente non precisa la collocazione spaziale della servitù di stillicidio, nè riporta, in ossequio al principio di specificità del motivo, il testo dell’atto di acquisto della C. nel quale è prevista la costituzione della servitù e la sua collocazione. Il semplice fatto che, in tale atto di acquisto, sia stato previsto un diritto di stillicidio, spettante alla C. e gravante sul terreno della Interplast, nulla prova in ordine alla collocazione della relativa servitù rispetto al confine tra i due fondi, non chiarendo se lo scolo delle acque avvenga o meno a ridosso della corte.
Nè tale precisazione poteva essere svolta nella memoria depositata dalla ricorrente ex art. 380 bis.1 c.p.c., dato che tali memorie sono destinate esclusivamente ad illustrare ed a chiarire i motivi della impugnazione, ovvero alla confutazione delle tesi avversarie, ma con esse non può essere specificato, integrato o ampliato il contenuto dei motivi originari di ricorso.
In conclusione il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Nessuna pronuncia sulle spese processuali in mancanza di difese da parte dell’intimata.
Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater, – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 12 dicembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2019
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