Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.17089 del 26/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15600-2017 proposto da:

R.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VESPASIANO 60, presso lo studio dell’avvocato PAOLO DI FEO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

IMMOBILIARE GESTIONE IMPIANTI SPORTIVI 2000 SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, D.S. nella qualità

di erede di D.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CLEMENTE IX 10, presso lo studio dell’avvocato LUCIA FELICIOTTI, che li rappresenta e difende,

– controricorrenti –

CONTRO

D’.AN., D.M., D.G., S.A., S.P., S.S., D.D., D.L.E., V.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 5430/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 15/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/12/2018 dal Consigliere Dott. MILENA FALASCHI.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 21579 del 2008, rigettava la domanda, proposta da R.S., di usucapione del terreno sito in ***** della superficie di mq. 4.834, costituente una porzione di un più vasto terreno di cui erano comproprietari D’.An., D.A., D.M., D.G., Antonio,.Santarelli Paola e.Santarelli Santa ,.i.q.d.e.d.D’Orazio Ernesta,.D’Orazio Donatella ,.i.p.e.i.q.d.e.d.Costantini Anna Maria,.D’Orazio Luca Evangelista,.Villani Andrea ,.n.l.G.I.S.2.s.q.s.a.t.p.e.a.1.c.d.D’Orazio e.a.l.d.d.r.d.m.t.p.d.G.I.S.2.s.c.i.Rullo a.r.d.f.c.i.c.i.d.o.a.f.d.d.d.

A.s.d.a.i.d.Rullo ,.c.s.n.5.d.2.l.C.d.a.d.R.i.p.a.d.g.a.l.d.i.d.i.d.o.d.d.d.r.d.r.r.c.p.i.r.l.s.d.p.g.

A.l.s.d.C.d.a.d.R.i.Rullo h.p.r.p.c.f.s.t.m.c.l.G.I.S.2.s.e.D’Orazio Stefano h.r.c.c.S.r.i. D.A., D.M., D.G., S.A., S.P. e S.S., D.D., D.L.E. e V.A..

Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente comunicata ai difensori delle parti, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

In prossimità dell’adunanza camerale parte ricorrente ha curato il deposito di memoria illustrativa.

ATTESO che:

con il primo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1146 e 1703 c.c., per avere la Corte di appello errato nel considerare che non vi fosse un titolo astrattamente idoneo al trasferimento della proprietà del terreno sito in ***** della superficie di mq. 4.834 tra P.O. e R.S., intercorrendo tra gli stessi un rapporto di mandato. A detta del ricorrente, dunque, P.O., moglie del R. e intestataria del contratto di locazione del 1971 avente ad oggetto il terreno di 2000 mq, avrebbe agito per mandato del R. e, dunque, il R. avrebbe potuto avvantaggiarsi del possesso da lei maturato.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1158 c.c.e ss., per avere la Corte di merito errato nel ritenere non accertato il possesso del R. del terreno sito in *****, della superficie di mq. 4.834, sin dagli anni ‘70. A detta del ricorrente, infatti, la Corte di merito avrebbe escluso la continuità del possesso in capo al R. unicamente per il fatto che soggetti terzi saltuariamente parcheggiavano i loro veicoli sul terreno occupato, essendo tali comportamenti compatibili con la signoria del R. su tale terreno.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta, ex art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per la controversia che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte di merito dapprima riconosciuto in capo al R. l’occupazione del terreno antecedentemente al 1992 e poi, contraddittoriamente, ritenuto che il R. avesse iniziato la sua attività solo a partire dal 1992.

Appare pregiudiziale l’esame del secondo mezzo, che attiene alla natura del possesso. Esso è inammissibile in quanto non coglie la ratio della pronuncia impugnata.

La Corte di merito, infatti, accertando che soggetti terzi avevano liberamente avuto accesso ai terreni in questione, non ha inteso escludere la continuità del possesso in capo al R., bensì il carattere esclusivo dello stesso, necessario ai fini dell’usucapione (sul carattere esclusivo del possesso di veda Cass. n. 3581 del 2018). La Corte territoriale non ha, dunque, ravvisato la configurabilità in capo al R. di un valido possesso ad usucapionem, caratterizzato dall’intenzione di esercitare sulla cosa un potere di fatto in via esclusiva, a tal fine occorrendo che il soggetto goda del bene in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui, così da evidenziare in modo univoco la volontà di possedere uti dominus.

Nella specie, al contrario, il giudice d’appello ha accertato attraverso le dichiarazioni rese dai testimoni che, compresi i legittimi proprietari, avevano avuto, per tutto il periodo, il libero accesso ai terreni in questione da un cancello sempre aperto avuto in comune anche con il centro *****. Inoltre, dalle risultanze peritali e, più precisamente, dalla documentazione fotografica allegata alla perizia, ha accertato che il R. non aveva recintato i terreni oggetto della domanda di usucapione, così da impedirne l’accesso ad altri, e che non esisteva alcuna separazione tale da impedire il libero accesso su tutti i lati a soggetti diversi dal R. o dai suoi dipendenti.

In definitiva, la Corte di merito ha accertato, con motivazione esente da vizi logici, che il R. non aveva posto in essere alcuna attività corrispondente al godimento di un diritto dominicale esclusivo, al pari di quello esercitato sul terreno di sua proprietà.

Nè la memoria illustrativa aggiunge alcunchè al riguardo;

alla luce delle considerazioni sopra esposte, le doglianze di cui al primo motivo relative alla possibilità del R. di avvantaggiarsi, ex art. 1146 c.c., del possesso eventualmente maturato dalla moglie, P.O., risultano inconferenti, essendo stata accertata dal giudice di merito l’insussistenza tout court di un possesso idoneo ad usucapire, a nulla rilevando un eventuale contratto di mandato tra i coniugi, venendo in rilievo, quale presupposto, nella specie una situazione di fatto non accertata;

anche il terzo motivo è inammissibile.

A tal proposito, occorre preliminarmente rilevare che la questione investe il concetto di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio” nel testo applicabile catione temporis nel caso di specie – novellato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54,comma 1, lett. b), convertito in L. n. 134 del 2012.

L’intervenuta modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come recentemente interpretato dalle Sezioni Unite (sentenza n. 8053/2014), determina una sensibile restrizione dell’ambito di controllo della motivazione di fatto in sede di legittimità. Invero, occorre interpretare la norma, alla luce dei canoni e ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.

Conseguentemente, è denunciabile in cassazione unicamente l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si rinviene nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è, dunque, più ammissibile nel ricorso per cassazione la censura formulata dal ricorrente di contraddittorietà della motivazione della sentenza di merito impugnata, nel senso prospettato, avendo la Corte di merito, diversamente da quanto asserito dal ricorrente, affermato che una prova del possesso in capo al R. poteva al più “eventualmente” risalire al 1992, accertata l’insussistenza di un possesso idoneo all’usucapione anteriormente al 1992 e, dunque, in forma meramente ipotetica.

In conclusione il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 12 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2019

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