LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15588-2018 proposto da:
REGIONE LAZIO, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MARCANTONIO COLONNA 27, presso lo studio dell’avvocato TIZIANA CIOTOLA, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
F.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CESI 72, presso lo studio dell’avvocato DAVIDE PIRROTTINA, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 19/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/04/2019 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA.
RITENUTO IN FATTO
1 L’avvocato F.L. con ricorso del 31.3.2017 ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c., ha domandato al Tribunale di Roma di pronunciare, previa verifica della propria competenza ai sensi dell’art. 50 bis c.p.c., la condanna della Regione Lazio al pagamento della somma di Euro 1.022.322,09 oltre IVA, CPA, interessi e rivalutazione monetaria a titolo di compenso per la difesa svolta in una causa civile contro il Comune di Roma.
L’ente territoriale ha contestato la pretesa e il Tribunale in composizione monocratica l’ha accolta nella misura di Euro 857.567,52 oltre interessi e spese.
2 Contro tale ordinanza ricorre per cassazione la Regione Lazio denunziando tre motivi contrastati dall’avvocato F. con controricorso con cui eccepisce preliminarmente l’inammissibilità del ricorso, trattandosi di provvedimento emesso secondo il rito sommario di cognizione “codicistico” e, come tale, appellabile ma non ricorribile per cassazione.
Il relatore ha proposto l’accoglimento del primo motivo di ricorso con assorbimento dei restanti e il ricorrente ha replicato con una memoria e allegata documentazione, insistendo nell’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso. Ha depositato altresì istanza per ottenere la liquidazione dei compensi relativi al procedimento ex art. 373 c.p.c., instaurato dalla soccombente e conclusosi con ordinanza 26.11.2018 a lui favorevole.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 Con il primo motivo la Regione Lazio denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione della L. n. 794 del 1942, artt. 29 e 30, e dell’art. 50 bis c.p.c., dolendosi della pronuncia in composizione monocratica anzichè collegiale prevista per i procedimenti in camera di consiglio dall’art. 737 c.p.c. e ss., e richiama una pronuncia delle sezioni unite (la n. 12609/2012).
1.2 Col secondo motivo, richiamando le stesse disposizioni, denunzia la nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
1.3 Col terzo motivo si denunzia, in via subordinata, in caso di mancato accoglimento dei primi due motivi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 794 del 1942, art. 24, del D.M. n. 127 del 2004, art. 4, del R.D. n. 1578 del 1933, del D.M. n. 140 del 2012, del D.L. n. 223 del 2006, art. 2, convertito con L. n. 248 del 2006, del D.M. n. 585 del 1994 e dell’art. 2233 c.c..
2 Il primo motivo è fondato.
La L. n. 794 del 1942, art. 28, nel testo applicabile al presente procedimento così dispone: “per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente l’avvocato, dopo la decisione della causa o l’estinzione della procura, se non intende seguire il procedimento di cui all’art. 633 c.p.c. e seguenti, procede ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 14”.
L’art. 14, (intitolato “Delle controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato”) dispone che “1. Le controversie previste dalla L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 28, e l’opposizione proposta a norma dell’art. 645 c.p.c., contro il decreto ingiuntivo riguardante onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati per prestazioni giudiziali sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo. 2. E’ competente l’ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l’avvocato ha prestato la propria opera. Il tribunale decide in composizione collegiale. 3. Nel giudizio di merito le parti possono stare in giudizio personalmente. 4. L’ordinanza che definisce il giudizio non è appellabile”.
Nel caso in esame, il fatto che il difensore abbia inteso richiamare nel suo atto introduttivo unicamente l’art. 702 bis c.p.c., non incide, contrariamente a quanto si assume in controricorso e in memoria, sull’inquadramento della controversia tra quelle di cui alla L. n. 794 del 1942, art. 28, perchè è pacifico che si discute di un ricorso proposto per liquidazione di compensi per prestazioni giudiziali, mentre il rito sommario di cognizione è richiamato proprio dal D.Lgs. citato, art. 14, comma 1.
Ebbene, già nel 2012 le sezioni unite avevano affermato che le controversie in tema di liquidazione dei compensi dovuti agli avvocati per l’opera prestata nei giudizi davanti al tribunale, ai sensi della L. 13 giugno 1942, n. 794, artt. 28,29 e 30,rientrano fra quelle da trattare in composizione collegiale, in base alla riserva prevista per i procedimenti in camera di consiglio dall’art. 50-bis c.p.c., comma 2,come peraltro confermato dal D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 14, comma 2, per i procedimenti instaurati successivamente alla data di entrata in vigore dello stesso (Sez. U, Sentenza n. 12609 del 20/07/2012 Rv. 623299).
E sempre le sezioni unite, con la più recente Sentenza n. 4485 depositata il 23/02/2018 hanno ulteriormente chiarito che la controversia di cui alla L. n. 794 del 1942, art. 28, introdotta sia ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c., sia in via monitoria, avente ad oggetto la domanda di condanna del cliente al pagamento delle spettanze giudiziali dell’avvocato, resta soggetta al rito di cui al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, anche quando il cliente sollevi contestazioni relative all’esistenza del rapporto o, in genere, all'”an debeatur”, puntualizzando che “resta, invece, esclusa la possibilità di introdurre l’azione sia con il rito di cognizione ordinaria e sia con quello del procedimento sommario ordinario codicistico, di cui all’art. 702-bis c.p.c. e segg.,” (cfr. S.U. sentenza n. 4485/2018 cit. in motivazione a pag. 41, ma anche 17, 42 e 43).
Tornando al caso di specie, dagli atti del processo (che la natura procedurale del vizio dedotto consente di esaminare) risulta che fu lo stesso avvocato F. a chiedere al Tribunale di verificare preliminarmente la propria competenza “ai sensi dell’art. 50 bis c.p.c.,” (v. ricorso del 31.3.2017) e tale precisazione – tutt’altro che irrilevante, benchè non riportata nella narrativa virgolettata del controricorso (v. pagg. 1 e 2) – sta a dimostrare che il professionista avesse preso seriamente in considerazione l’inquadrabilità del procedimento nello schema camerale a decisione collegiale a cui si riferisce il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, (posto che l’art. 50 bis c.p.c., elenca le cause nelle quali il Tribunale giudica in composizione collegiale, tra cui rientrano anche i procedimenti in camera di consiglio disciplinati dall’art. 737 c.p.c. e ss: v. art. 50 biscit., u.c., e non spiegandosi, altrimenti, la ragione di un siffatto invito stante l’assoluto silenzio, sia in controricorso che in memoria, su tale rilievo).
Nè vale obiettare che la Regione non mosse eccezioni al riguardo, trattandosi di materia sottratta alla disponibilità delle parti, così come non vale obiettare (v. memoria pag. 2) che il ricorso venne introdotto prima dell’intervento chiarificatore delle sezioni unite sulla natura del procedimento per la liquidazione dei compensi agli avvocati: infatti, il “prospective overruling” è finalizzato a porre la parte al riparo dagli effetti processuali pregiudizievoli (nullità, decadenze, preclusioni, inammissibilità) di mutamenti imprevedibili della giurisprudenza di legittimità su norme regolatrici del processo sterilizzandoli, così consentendosi all’atto compiuto con modalità ed in forme ossequiose dell’orientamento giurisprudenziale successivamente ripudiato, ma dominante al momento del compimento dell’atto, di produrre ugualmente i suoi effetti, mentre non è invocabile nell’ipotesi in cui il nuovo indirizzo giurisprudenziale di legittimità sia ampliativo di facoltà e poteri processuali che la parte non abbia esercitato per un’erronea interpretazione delle norme processuali in senso autolimitativo, non indotta dalla giurisprudenza di legittimità, derivando l’effetto pregiudizievole direttamente ed esclusivamente dall’errore interpretativo della parte (v. Sez. U, Sentenza n. 4135 del 12/02/2019 Rv. 652852).
Nel caso di specie, nessuna decadenza, preclusione o inammissibilità si profila per l’avvocato F. dalla applicazione dei principi affermati con la sentenza delle sezioni unite n. 4485/2018, che anzi, ribadisce la affermazione della decisione collegiale, fonte indubbiamente di maggiori garanzie; piuttosto, è vero proprio il contrario e cioè che la tesi del controricorrente incentrata sulla secca inammissibilità del ricorso per cassazione basata su una asserita appellabilità del provvedimento impugnato finisce di fatto per provocare effetti paralizzanti sul diritto di difesa della parte avversaria che, pur avendo colto il giusto rimedio impugnatorio, si vedrebbe oggi di fatto condannata in via definitiva a pagare una somma elevatissima sulla base di una pronuncia emessa in unico grado con inevitabili ripercussioni sul rispetto degli artt. 24 e 111 Cost..
Un’ultima notazione si impone sui rilievi, pure mossi in memoria dall’avvocato (v. pagg. 3 e 4), ove si enfatizzano alcune argomentazioni utilizzate dal Tribunale nell’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 373 c.p.c., quali ad esempio, la mancata “trasformazione del rito in quello sommario speciale collegiale previsto dal D.Lgs n. 150 del 2011, art. 14, non più possibile oltre la prima udienza” e si evidenzia che nel caso di specie “il giudice monocratico, entro la prima udienza, avrebbe dovuto mutare il rito ai sensi del D.Lgs n. 150 del 2011, art. 4, e rimettere il fascicolo al presidente per la trattazione collegiale”, richiamandosi altresì il principio dell’apparenza nelle impugnazioni.
Tali rilievi sono giuridicamente inesatti perchè nel nostro caso fuori luogo si rivela il richiamo al principio dell’ultrattività del rito (quale specificazione del più generale principio per cui l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile deve avvenire in base al principio dell’apparenza): infatti, per far sorgere nella parte resistente il fondato convincimento di una particolare qualificazione compiuta dal giudice, certamente non poteva bastare, in assenza di argomentazioni o precisazioni nel corpo del provvedimento, la sola intestazione come ordinanza “ex art. 702 ter c.p.c., comma 5,” (dicitura assolutamente compatibile con un provvedimento definitorio di una controversia ai sensi della L. n. 794 del 1942, art. 28), oppure la sua erronea adozione in forma monocratica con un’ordinanza emessa il 19.3.2018 (peraltro a quasi un mese dalla pubblicazione della sentenza delle sezioni unite n. 4485/2018 che aveva a chiare lettere escluso “la possibilità di introdurre l’azione sia con il rito di cognizione ordinaria e sia con quello del procedimento sommario ordinario codicistico, di cui all’art. 702-bis c.p.c. e segg.”), e a maggior ragione, oggi non può attribuirsi rilievo alle precisazioni fornite solo ex post dal Tribunale nella successiva ordinanza emessa all’esito del procedimento incidentale ex art. 373 c.p.c., (ed allegata alla memoria).
Ed è singolare come il principio dell’apparenza, elaborato dalla giurisprudenza delle sezioni unite proprio per tutelare l’affidamento della parte interessata a proporre l’impugnazione favorendone l’esercizio (v. in particolare S.U. sentenza n. 390/2011) venga invece invocato dall’altra parte per paralizzarlo.
In definitiva, la tesi della inammissibilità del ricorso per cassazione, oltre che giuridicamente insostenibile alla luce della recente decisione delle sezioni unite n. 4485/2018, si pone in contrasto con la regola generale, più volta enunciata da questa Corte, anche a sezioni unite, secondo cui le norme processuali devono essere interpretate in modo da favorire, per quanto possibile, che si pervenga ad una decisione di merito, mentre gli esiti abortivi del processo costituiscono un’ipotesi residuale (v. tra le varie, Sez. U, Sentenza n. 27199 del 2017), ed è chiaro che una decisione di merito deve essere il frutto anche dei rimedi impugnatori approntati dall’ordinamento (non a caso il citato principio è stato richiamato dalle sezioni unite proprio in tema di ammissibilità dell’impugnazione).
Nè deve dimenticarsi, come sempre le Sezioni Unite hanno già ribadito nella sentenza n. 10878 del 2015 che la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha chiarito in più occasioni che le limitazioni all’accesso ad un giudice sono consentite solo in quanto espressamente previste dalla legge ed in presenza di un rapporto di proporzionalità trai mezzi impiegati e lo scopo perseguito (v., tra le altre, la sentenza CEDU 24 febbraio 2009 in causa C.G.I.L. e Cofferati contro Italia).
In conclusione, va respinta l’eccezione preliminare dell’avvocato, a cui – come affermato dalle sezioni unite con la citata sentenza n. 4485/2018 – era preclusa la possibilità di introdurre l’azione con il rito di cognizione ordinaria, mentre va accolto il primo motivo di ricorso con logico assorbimento dei restanti.
L’ordinanza impugnata va quindi cassata con rinvio al medesimo Tribunale, che in diversa composizione collegiale deciderà sulla domanda dell’avvocato e regolerà all’esito anche le spese del presente procedimento.
Resta così logicamente assorbita anche la delibazione dell’istanza di liquidazione dei compensi relativi al procedimento di cui all’art. 373 c.p.c..
P.Q.M.
la Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti i restanti; cassa la ordinanza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, al Tribunale di Roma in diversa composizione collegiale.
Così deciso in Roma, il 5 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2019
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