LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
su ricorso n. 03932/2015 proposto da:
L.C., elettivamente domiciliata in Roma Viale Mazzini 41 presso lo studio dell’Avv.to Fabrizio Maria Sepiacci rappresentata e difesa dagli Avv.ti Virginia Dalli Cardillo e Antonino Tramuta giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
M.A., elettivamente domiciliato in Roma Via Silvio Pellico 10 presso lo studio dell’Avv.to Enrico Valentini, rappresentato e difeso dall’Avv.to Salvatore Buggea giusta procura speciale in calce del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1188/2014 della CORTE DI APPELLO DI PALERMO in data 18/7/2014;
udita la relazione del Consigliere Dott. Marina Meloni svolta nella Camera di consiglio della prima sezione civile in data 4/2/2019.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Agrigento dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da M.A. e L.C. in data *****, assegnava la casa coniugale alla moglie ed eliminava l’assegno di mantenimento di Euro 700,00 a favore della moglie come originariamente stabilito in sede di separazione tra coniugi, ponendo invece a carico della L. l’assegno di mantenimento del solo figlio F., nella misura di Euro 100,00. La Corte d’appello di Palermo, con sentenza in data 18/7/2014, confermava la sentenza pronunciata dal Tribunale di Agrigento in data 16/9/2013 di cessazione degli effetti civili del matrimonio in ordine all’assegnazione della casa coniugale a L.C. ed all’eliminazione dell’assegno e, in parziale riforma della sentenza di prime cure, dichiarava che nessun importo era dovuto dalla L. nei confronti del figlio maggiorenne F.. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso in cassazione L.C. affidato a tre motivi. M.A. resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Deve anzitutto essere dichiarata infondata l’eccezione del controricorrente di inammissibilità per tardività del ricorso, notificato il 20 gennaio 2015, mentre la sentenza è stata depositata il 18 luglio 2014, poichè non si tiene conto della sospensione feriale dei termini che, per l’anno 2014, era ancora dall’1 agosto al 15 settembre, applicandosi la riduzione ad un mese dal periodo feriale 2015 (Cass. 21674/2017; Cass. 20866/2017).
Del tutto inconferente è anche il riferimento, operato dal resistente, alla mancanza nel ricorso dei quesiti di diritto, atteso che l’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e contenente la previsione della formulazione del quesito di diritto, come condizione di ammissibilità del ricorso per cassazione, si applica “ratione temporis” ai ricorsi proposti avverso sentenze e provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006 (data di entrata in vigore del menzionato decreto), e fino al 4 luglio 2009, data dalla quale opera la successiva abrogazione della norma, disposta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47 (Cass. 24597/2014).
Con il primo motivo di ricorso la ricorrente L.C. denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5,comma 6 e dell’art. 24 Cost., per lesione del diritto alla difesa, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, in quanto il giudice territoriale non ha tenuto conto delle condizioni economiche delle parti a seguito del divorzio, della mancanza di redditi della ricorrente e delle sue precarie condizioni di salute.
Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente L.C. denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio inerente l’inadeguatezza dei mezzi rispetto al tenore di vita mantenuto in costanza di matrimonio in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto il giudice territoriale non ha tenuto conto della mancanza di redditi della ricorrente allo stato disoccupata, mentre il marito percepisce oltre 40.000,00 Euro l’anno ed ha attribuito efficacia probatoria ad una relazione investigativa prodotta dal marito.
Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente L.C. denuncia nullità per omesso esame di prove e documenti decisivi per il giudizio prodotti dalla ricorrente in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in quanto il giudice territoriale non ha valutato nè adeguatamente motivato in ordine ai presupposti richiesti per la concessione dell’assegno divorzile.
Il ricorso è fondato in ordine a tutti i motivi da esaminare congiuntamente.
L’assegno divorzile, secondo la decisione Cass. S.U.18287/2018, ha funzione assistenziale, compensativa e perequativa, per cui va determinato alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonchè di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.
Tali criteri da tenersi presenti sia nella attribuzione che nella quantificazione dell’assegno, presuppongono che la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata, poi, alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi. Nel caso concreto, la Corte territoriale, per un verso, ha omesso, o inadeguatamente effettuato, la considerazione di fatti decisivi per la decisione, in violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per altro verso, ha dato rilievo, non correttamente applicando la L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, a fatti ed elementi non decisivi nella quantificazione dell’assegno di divorzio. Manca, invero, la considerazione del contributo concreto ed effettivo dato dalla moglie alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio familiare e di quello personale dell’altro coniuge. Sotto tale profilo, non rileva il tenore di vita in costanza di matrimonio in mancanza di un accertamento concreto circa il contributo della moglie all’andamento della vita familiare ed alla formazione del patrimonio familiare e dell’altro coniuge, secondo quando affermato dalle Sezioni Unite.
Ciò premesso la sentenza di appello è del tutto carente sul piano della ricostruzione della fattispecie e dell’applicazione di criteri per il riconoscimento dell’assegno divorzile, come enunciati da Cass. S.U. 18287/2018, così incorrendo sia nel vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, sia nella violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6. Ed invero, la motivazione della decisione è apparente (Cass. Sez. U., 07/04/2014, nn. 8053 e 8054; Cass., 27/11/2014, n. 25216; Cass., 11/04/2017, n. 9253; Cass. Sez. U., 21/02/2017, n. 17619), dal momento che il giudice di appello si riferisce del tutto genericamente alla “documentazione prodotta dall’appellato”, senza indicare quale ed in cosa consista, dalla quale emergerebbero numerosi indizi, aventi i caratteri della presunzione ai sensi dell’art. 2729 c.c., che però non vengono precisati in alcun modo, che comproverebbero che la L. svolge un’attività assidua – ma non si precisa quale, nè quale remunerazione ne derivi – presso la scuola di danza di cui è titolare la figlia. La Corte opera, poi, un generico riferimento al fatto che la stessa appellante avrebbe ammesso, ma “riduttivamente”, di collaborare, ma non si precisa a che titolo, nella predetta scuola (laddove la appellante aveva affermato di essersi limitata a svolgere il ruolo, non remunerato, di presidente di un’associazione di danza), e che la stessa parteciperebbe – ma non si precisa la fonte di tale acquisizione – a diverse manifestazioni a carattere mondano, il che confermerebbe il fatto che la medesima è titolare di redditi adeguati. Nessuna comparazione fondata su elementi documentali concreti, o su altre risultanze probatorie, dei redditi delle due parti risulta effettuata dal giudice di seconde cure, come non viene considerato il contributo dato dalla L. alla vita familiare ed alla formazione del patrimonio familiare ed a quello del marito, anche in relazione alla durata del patrimonio, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6,. Ancora nessun riferimento alle prove documentali – indicate in ricorso anche con l’indicazione del numero di produzione del fascicolo di primo grado – concernenti il reddito e le condizioni di salute della ricorrente risulta, poi, operata dalla Corte d’appello, che sembra tenere conto dei soli elementi di prova, senza peraltro indicarne in nessun modo nè la natura nè il contenuto, allegati in giudizio dall’odierno resistente.
Per quanto sopra il ricorso proposto deve essere accolto, cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Palermo anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Palermo in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte di Cassazione, il 4 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2019