Il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex-coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonchè di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10582/2015 proposto da:
B.R., elettivamente domiciliato in Roma, V.le Giuseppe Mazzini 145, presso lo studio dell’avvocato Tepedino Giuseppe, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato De Cristofaro Marco, con procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Bi.Ma., elettivamente domiciliata in Roma, Via Paraguay 5, presso lo studio dell’avvocato Rizzelli Giunio, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Balatroni Maria Carlotta, con procura a margine del ricorso;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
e contro
B.R., elettivamente domiciliato in Roma, V.le Giuseppe Mazzini 145, presso lo studio dell’avvocato Tepedino Giuseppe, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato De Cristofaro Marco, con procura a margine del ricorso;
– controricorrente all’incidentale –
e contro
Procura Generale della Repubblica presso la Corte Appello di Venezia;
– intimato –
avverso la sentenza n. 2331/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 21/10/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/02/2019 dal Cons. Dott. CAIAZZO ROSARIO.
FATTI DI CAUSA
B.R., premesso che con sentenza non definitiva emessa dal Tribunale di Rovigo fu pronunciata la cessazione degli effetti civili del matrimonio con il coniuge Bi.Ma., impugnò la sentenza emessa dallo stesso Tribunale il 22.8.13, che determinò a suo carico il contributo mensile di mantenimento per i due figli, per complessivi Euro 3500,00 oltre al 50% delle spese straordinarie e al contributo mensile al mantenimento dell’ex-coniuge per Euro 1200,00. L’appellata si costituì chiedendo la conferma della sentenza.
La Corte d’appello di Venezia, con sentenza del 21.10.14, accolse parzialmente l’appello, riducendo la somma dovuta all’ex-coniuge a Euro 800,00 mensile, e confermando il contributo per i figli, con l’importo di Euro 2000,00 a favore del figlio maggiorenne e di Euro 1500,00 per l’altra figlia, escluse le tasse universitarie (da dividere tra i due genitori).
Il B. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, illustrati con memoria.
Resiste la Bi. con controricorso, proponendo ricorso incidentale affidato a due motivi.
A seguito di rinvio a nuovo ruolo, successivamente alla sentenza delle SSUU n. 18287/18, è stata fissata l’udienza camerale del 4.2.2019.
RITENUTO
CHE:
Con il primo motivo del ricorso principale è denunziata falsa applicazione di legge, per non aver la Corte d’appello riconosciuto la valenza presuntiva del quantum stabilito in sede di assegno di separazione nel difetto di emersione di ulteriori dati, nonchè per l’omesso esame di un pluralità di fatti decisivi, non avendo la stessa Corte valorizzato le circostanze idonee ad evidenziare che le somme attribuite in sede di separazione fossero tali da consentire alla Bi. il mantenimento del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
In particolare, il ricorrente lamenta la violazione dei principi generali in ordine ai rapporti tra assegno di mantenimento e assegno di divorzio, in mancanza di dati da cui desumere diminuzioni dello stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, nonchè l’omessa considerazione del fatto non controverso della permanente capacità del coniuge di assicurarsi una consistente potenzialità di risparmio attraverso l’adesione ad un fondo di pensione complementare.
Con il secondo motivo è denunziata falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, avendo la Corte d’appello erroneamente applicato i criteri di commisurazione dell’assegno di divorzio, tenendo conto delle ragioni della crisi matrimoniale, senza operare un’accurata ricostruzione del patrimonio della moglie e valutare l’incidenza sul reddito del ricorrente del mantenimento stabilito. Il ricorrente ha altresì lamentato il vizio di motivazione.
Con il terzo motivo è dedotta l’omessa pronuncia della Corte d’appello, che non ha disposto indagini istruttorie sulla consistenza del patrimonio della Bi., in violazione del dovere istruttorio ufficioso, anche in considerazione della tardiva produzione – con le comparse conclusionali – dei modelli fiscali per gli anni 2010 e 2011 da cui si evinceva una plusvalenza per la cessione di un immobile alle *****.
Con il quarto motivo è denunziata falsa applicazione di legge, per non aver la Corte territoriale tenuto conto, nel determinare l’assegno divorzile, del fatto sopravvenuto della formazione di una nuova famiglia del B. e della nascita di una bambina, nonchè l’omesso esame di fatto decisivo relativo alle capacità economiche della madre di tale bambina.
Con il quinto motivo è dedotta falsa applicazione dell’art. 147 e art. 337ter c.c., comma 4, avendo la Corte d’appello omesso di considerare il dovere della Bi. di fornire il proprio contributo al mantenimento dei due figli, nonchè l’esame del fatto decisivo consistito nell’uscita da casa del figlio maggiore per recarsi in ***** per motivi di studio, con diretta implicazione sul principio di proporzionalità circa i doveri di mantenimento dei genitori.
Con il primo motivo del ricorso incidentale è denunziato l’omesso esame dell’eccezione d’inammissibilità del ricorso in appello per carenza dei requisiti di contenuto-forma.
Con il secondo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione delle norme di legge in tema di quantificazione dell’assegno divorzile e delle spese di lite, lamentando che la Corte d’appello non abbia tenuto conto di quanto emerso in primo grado, allorchè il Tribunale aveva considerato e valorizzato la comunicazione del 15.12.11 inviata dal B., con cui quest’ultimo aveva accettato le richieste della controparte, tra cui la determinazione dell’assegno nella somma mensile di Euro 1200,00 a favore della Bi..
Inoltre, la ricorrente lamenta che il giudice d’appello non abbia considerato la rinuncia alla sua carriera professionale intrapresa a ***** per seguire il marito a ***** e le conseguenze dell’estromissione dallo studio del Bi. presso cui collaborava quale commercialista.
I primi quattro motivi del ricorso principale e il secondo del ricorso incidentale, esaminabili congiuntamente poichè tra loro connessi, sono fondati.
In relazione all’assegno divorzile occorre tenere conto della recente pronuncia delle Sezioni Unite (n. 18287/18) secondo cui il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex-coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonchè di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto.
In particolare, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che la natura perequativo-compensativa discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. La funzione equilibratrice del reddito degli ex-coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi.
Tanto premesso, il collegio osserva che la Corte d’appello, ai fini della determinazione del quantum dell’assegno, essendo incontroverso l’an, non abbia tenuto in considerazione che le condizioni economiche delle parti non sono sostanzialmente mutate dall’epoca della separazione, atteso che la stessa Corte d’appello afferma che i redditi del marito si mantengono “in media annua dell’ultimo settennio” superiori al triplo di quelli della moglie. Sicchè – tenuto conto del fatto che la separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, per cui i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 c.c., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio (Cass. n. 12196/2017) – va rilevato che la determinazione dell’assegno divorzile in misura superiore (Euro 800,00) a quello di separazione non è conforme alla natura dell’assegno divorzile.
Sotto tale profilo è erroneo il riferimento al fatto che tale assegno debba essere rapportato al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Inoltre, pur avendo la Corte d’appello operato un generico riferimento alle “pur agiate condizioni economiche attuali di entrambe le parti”, non ha però operato una valutazione specifica dei pur cospicui redditi della moglie, avendola limitata a soli alcuni dei cespiti (comproprietà di appartamento e terreno in *****, partecipazione ad una società familiare con sede in *****) dei tanti altri (compresa la comproprietà di una villa alle *****) elencati nel ricorso.
Nè la Corte territoriale, a fronte della complessità dell’accertamento della posizione reddituale delle parti, ha attivato i poteri istruttori officiosi attribuiti espressamente al giudice della famiglia (S.U. n. 18287/2018, in motivazione). Inoltre, la nascita di una terza figlia solo accennata dal giudice d’appello al fine di determinare il contributo del padre a favore dei figli – pur non comportando un’automatica riduzione dell’assegno per la moglie e gli altri figli, avrebbe dovuto comunque essere considerata dal giudice di appello come circostanza sopravvenuta suscettibile di comportare la modifica delle condizioni originariamente stabilite (Cass. n. 14175/2016).
Per altro verso, e sotto tale profilo, va accolto anche il secondo motivo del ricorso incidentale.
Invero, la Corte territoriale, pur avendo operato un generico riferimento alla durata del matrimonio (18 anni) ed al fatto che la moglie lavorava con il B., non ha tenuto conto effettivamente del contributo concreto dato dalla Bi. alla formazione del patrimonio familiare, anche in relazione alla rinuncia – non contestata dal marito nel controricorso ex art. 371 c.p.c. – ad una propria carriera professionale iniziata a *****.
Resta assorbito il quinto motivo del ricorso principale, in ordine al contributo dei genitori al mantenimento dei figli, che dipende dall’accertamento effettivo delle loro reciproche condizioni patrimoniali.
Il primo motivo del ricorso incidentale è invece inammissibile, atteso che il vizio di omessa pronunzia è configurabile solo nel caso di mancato esame di questioni di merito, e non anche di eccezioni pregiudiziali di rito (Cass. n. 25154/2018; Cass. n. 1876/2018).
Per quanto esposto, la sentenza impugnata va cassata, in relazione ai primi quattro motivi del ricorso principale e al secondo motivo dell’incidentale, con rinvio alla Corte d’appello di Venezia, anche per le spese del grado di legittimità.
PQM
Accoglie i primi quattro motivi del ricorso principale, assorbito il quinto, e il secondo motivo del ricorso incidentale. Dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso incidentale.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del grado di legittimità. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati significativi, a norma del D.Lgs. n. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2019