Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.17102 del 26/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2368/2017 proposto da:

N.M.N., elettivamente domiciliata in Roma, Viale San Giovanni Bosco 86/b, presso lo studio dell’avvocato Rossana Barbuto, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

S.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via G.

Rubini 48/D, presso lo studio dell’avvocato Raffaele Gullo, rappresentato e difeso dagli avvocati Tiziana Maria Capalbo e Francesco Squillace, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte di appello di Catanzaro, depositata il 29/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/03/2019 dal Cons. Laura Scalia;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE RENZIS Luisa, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato Rossana Barbuto, per la ricorrente, che si richiama alla sentenza 3840/17, si riporta agli atti e rinuncia alla distrazione delle spese;

udito l’Avvocato Tiziana Capalbo per il controricorrente, che si riporta agli atti.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Catanzaro con il provvedimento in epigrafe indicato ha rigettato il reclamo proposto da N.M.N. avverso l’ordinanza con cui il locale Tribunale aveva disatteso la richiesta di assegno di mantenimento dalla prima autonomamente proposta ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9, nei confronti dell’ex coniuge, S.G., dopo che tale domanda era stata dichiarata tardiva nel giudizio di divorzio.

I giudici del reclamo hanno in tal modo condiviso, con il primo giudice, la necessità che a sostegno della domanda, pur in via autonoma proponibile in un giudizio di modifica instaurato a norma della L. n. 898 cit., art. 9, dovessero concorrere fatti nuovi che, sopravvenuti alla sentenza di divorzio e capaci di incidere sull’assetto patrimoniale dei rapporti tra le parti, erano stati ritenuti nella specie mancanti.

Il mancato svolgimento di attività lavorativa da parte della ricorrente era circostanza già presente al momento della proposizione della domanda di divorzio e nel corso del giudizio e pertanto la patologia da costei contratta in epoca successiva non ne avrebbe modificato le preesistenti condizioni patrimoniali non essendo stato provato che tale patologia riducesse la capacità lavorativa o avesse determinato un incremento nelle spese.

2. Ricorre per la cassazione dell’indicato provvedimento N.M.N. con dieci motivi cui resiste con controricorso S.G..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla L. n. 890 del 1970, art. 5, comma 6, e art. 9, comma 1. La Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto la possibilità per il coniuge, la cui domanda di assegno ex art. 5, legge divorzio era stata dichiarata inammissibile perchè tardiva, di agire per il relativo riconoscimento solo in caso di sopravvenienza di giustificati motivi, nei termini di cui all’art. 9, della medesima legge.

I giudici del reclamo avrebbero in tal modo disapplicato il principio sul carattere autonomo della domanda di riconoscimento dell’assegno di mantenimento e sulla sua proponibilità in epoca successiva a quella di scioglimento del matrimonio, senza che la scelta del rito predisposto per la modifica dell’assegno comportasse l’applicabilità, per l’intero, delle relative condizioni.

2. Con il secondo motivo si fa valere la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, e art. 9, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

La Corte di merito sarebbe incorsa in error in procedendo ritenendo che la reclamante dovesse allegare e dimostrare le sopravvenienze ai sensi dell’art. 9, comma 1, L. cit..

3. Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, e art. 9, comma 1, anche in riferimento agli artt. 2 e 29 Cost., quanto al principio di solidarietà post-coniugale.

4. Con il quarto e quinto motivo si denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la violazione dell’art. 24 Cost., comma 1, art. 111 Cost., comma 1, e dell’art. 6 par. 1 CEDU in riferimento alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6.

In esito al provvedimento impugnato, negandosi ingresso alla domanda formulata per la prima volta dalla ricorrente di riconoscimento dell’assegno divorzile, in applicazione dello sbarramento dei motivi sopravvenuti L. n. 898 del 1970, ex art. 9, sarebbe stato precluso l’esercizio del diritto di azione della ricorrente e l’effettività della sua tutela, con violazione dei principi del giusto processo.

5. Con il sesto ed il settimo motivo si fa valere la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., e dei principi sulla formazione del giudicato, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4. Nessuna decisione diretta a coprire il dedotto e il deducibile, e quindi idonea a passare in giudicato, sia pure nella forma rebus sic stantibus propria dei provvedimenti adottati in materia di statuizioni economiche tra i coniugi, era stata assunta e la Corte territoriale ritenendo diversamente avrebbe violato i principi in materia di giudicato. Il carattere autonomo della domanda di attribuzione dell’assegno divorzile ne avrebbe impedito l’inclusione, anche per implicito, nella sentenza di divorzio, escludendo un giudicato sul punto.

6. Con l’ottavo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 Cost., e art. 24 Cost., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte territoriale equiparato, per le ragioni dell’adottata decisione, situazioni diverse, quali quelle del coniuge che avendo proposto domanda di assegno ne abbia ottenuto un vaglio concreto nel merito, con quelle di colui la cui domanda non sia stata esaminata per inammissibilità, perchè non proposta o rinunciata, o che sia rimasto contumace o si sia tardivamente costituito.

7. Con il nono e decimo motivo si fa questione circa la violazione e falsa applicazione dell’art. 24, comma 1, e dell’art. 111 Cost., comma 1, nonchè dell’art. 6 par. 1 della Cedu, dell’art. 2907 c.c., e degli artt. 99 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

La pronuncia impugnata sarebbe incorsa nella violazione del principio della domanda, della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e ancora del principio di cui all’art. 2907 c.c., e di effettività dell’azione, nella parte in cui fa discendere effetti decisori sfavorevoli per il coniuge convenuto nel giudizio di divorzio che sia rimasto contumace, quanto al diritto azionabile con domanda riconvenzionale. La ricorrente, “contumace” nella fase presidenziale, aveva comunque formulato nel prosieguo del giudizio, sia pure con costituzione tardiva, la domanda volta all’attribuzione dell’assegno.

10. Del complesso degli articolati motivi, può darsi congiunta trattazione al primo e secondo, con cui viene all’esame di questa Corte di legittimità la questione delle condizioni di proponibilità della domanda di assegno di mantenimento ove questa venga per la prima volta coltivata nel giudizio di modifica delle condizioni di divorzio di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 9.

Si tratta, in particolare, di stabilire se l’introduzione della domanda di assegno divorzile resti, ed a quali condizioni, subordinata alla “sopravvenienza di giustificati motivi” propri del giudizio di modifica delle condizioni di divorzio di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 9, là dove per la prima volta proposta.

I motivi sono fondati; le ragioni sono quelle di seguito indicate.

11. La giurisprudenza di legittimità si è da tempo espressa nel senso che la domanda di corresponsione di un assegno periodico di divorzio ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5, ha carattere autonomo rispetto a quella di scioglimento del matrimonio e, pertanto, ove non ritualmente avanzata può essere proposta in un successivo giudizio, senza che a ciò sia di ostacolo l’intervenuta pronuncia di scioglimento del vincolo.

Il tema, connesso alla portata da riconoscersi al principio per il quale il giudicato copre il dedotto ed il deducibile là dove si tratti del rapporto tra domanda di divorzio e di riconoscimento dell’assegno divorzile, resta compiutamente declinato nell’affermazione di questa Corte di legittimità per la quale “la richiesta di corresponsione dell’assegno periodico di divorzio di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, si configura come domanda (connessa ma) autonoma rispetto a quella di scioglimento del matrimonio, e, pertanto, la parte che, nel corso del giudizio divorzile, non l’abbia ritualmente avanzata ben può proporla successivamente, senza che, a ciò, sia di ostacolo la (ormai intervenuta) pronuncia di scioglimento del vincolo di coniugio, operando il principio secondo cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibile con esclusivo riferimento alla domanda fatta valere in concreto, ma non anche relativamente ad una richiesta diversa nel petitum e nella stessa causa petendi (come appunto, quella di riconoscimento dell’assegno rispetto a quella di divorzio), che la parte ha facoltà di introdurre, o meno, nello stesso giudizio” (Cass. 02/02/1998 n. 1031; in termini, in precedenza: Cass.15/10/1977 n. 4397; Cass.24/11/1983 n. 7025; Cass. 27/03/1997 n. 2725; successivamente: Cass. 09/10/2003 n. 15064; ancora, sull’autonomia tra domande in un caso in cui il giudice italiano è stato ritenuto correttamente investito della cognizione della domanda di divorzio dopo che un giudice straniero aveva pronunciato sul divorzio: Cass. 01/02/2016 n. 1863).

12. Quale corollario dell’indicato principio si pone l’ulteriore affermazione per la quale, là dove la domanda di riconoscimento dell’assegno di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, venga proposta successivamente al giudizio di divorzio, le condizioni per il suo accoglimento restano quelle stabilite dall’art. 5 della legge cit. nè la scelta del rito predisposto per la modificazione dell’assegno di divorzio di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 9, comporta che le condizioni previste per tale modificazione siano applicabili anche nella ipotesi in cui l’assegno di divorzio sia domandato per la prima volta (Cass. 27/03/1997, cit. come riportata da Cass. 02/02/1998, cit.).

13. In applicazione degli indicati principi ed in risposta alla deduzione difensiva sul punto portata in controricorso (p. 8), la specie in esame si offre ad una ulteriore precisazione.

In sede di accertamento sullo status non si è formato un giudicato sul carattere non dovuto dell’assegno e tanto non perchè la domanda non fosse stata proposta, ma perchè, proposta, essa è stata dichiarata inammissibile per tardività.

L’odierna ricorrente che aveva manifestato, esercitando la relativa azione, la propria volontà di richiedere l’assegno, per ragioni di mero rito non ha ottenuto pronuncia sul merito sicchè non risulta applicabile alla specie il modello processuale di cui all’art. 9, legge divorzio, nella parte in cui assoggetta le domande di revisione sui contributi di cui agli artt. 5 e 6, a sopravvenuti giustificati motivi; la norma prevede, infatti, la pregressa adozione, nel merito, di una decisione economica. Deve, pertanto, escludersi la formazione del giudicato sull’assegno in relazione alla declaratoria d’inammissibilità relativa alla domanda di assegno divorzile.

14. In tale peculiare ipotesi non trova conseguentemente applicazione l’orientamento di questa Corte secondo il quale il giudicato rebus sic stantibus delle sentenze di divorzio ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9, (così come modificato dalla L. n. 436 del 1978, art. 2, e dalla L. n. 74 del 1987, art. 13), ne consente la modifica anche quanto ai rapporti economici, in relazione alla sopravvenienza di fatti nuovi, restando invece esclusa, in ipotesi di rigetto o di mancanza della relativa domanda o ancora di contumacia del richiedente, in base alla regola generale secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile, la rilevanza dei fatti pregressi e delle ragioni giuridiche non addotte nel giudizio che vi ha dato luogo (Cass. 25/08/2005 n. 17320; Cass. 03/02/2017 n. 2953).

Pertanto, la corte territoriale, ha errato nell’applicazione dei principi sopra illustrati alla fattispecie dedotta in giudizio, nella quale alcun giudicato sulla domanda si è formato.

In conclusione devono essere accolti i primi due motivi di ricorso, con assorbimento dei rimanenti. La sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Catanzaro in diversa composizione che si atterrà al seguente principio di diritto: “La declaratoria d’inammissibilità della domanda volta al riconoscimento dell’assegno di divorzio proposta nel giudizio relativo allo scioglimento del vincolo, non ne limita la proponibilità in separato giudizio, L. n. 898 del 1970, ex art. 9, pur in mancanza di fatti sopravvenuti, trattandosi di pronuncia inidonea alla produzione del giudicato perchè impediente in rito l’esame del merito della domanda”.

PQM

Accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbiti i rimanenti, cassa la sentenza impugnata e rinvia dinanzi alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 15 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2019

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