Corte di Cassazione, sez. I Civile, Sentenza n.17107 del 26/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26993/2017 proposto da:

M.P.M.G., nella qualità di tutore provvisorio del minore F.N., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’Avv. Carola Maria Giraudo, giusta procura a margine dell’atto di costituzione;

– ricorrente –

contro

F.P.L., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avv. Spaziante Celere, giusta procura in calce all’atto di costituzione;

– resistente –

contro

Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Torino, Ma.Mi., nella qualità di curatore speciale del minore F.N., I.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 44/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 12/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 01/04/2019 dal Cons. LAURA SCALIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del ricorso;

udito, per la ricorrente, l’Avv. Giraudo che si è riportato;

udito, per il resistente, l’Avv. Spaziante che si è riportato.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Torino, Sezione per i minorenni, con sentenza depositata il 12 ottobre 2017, in accoglimento dell’appello proposto da F.P.L. ed in riforma della sentenza del Tribunale per i Minorenni di Torino, ha revocato la dichiarazione di adottabilità del figlio minore F.N. ed annullato le conseguenti statuizioni.

La Corte di merito ha disposto la permanenza del minore presso la famiglia affidataria per un tempo sufficiente a consentire il graduale ricostruirsi del rapporto padre-figlio, demandando ai Servizi territoriali ogni verifica in un quadro, più ampio, di ripresa, anche, degli incontri del minore con altre figure parentali.

2. Ricorre per la cassazione dell’indicata sentenza il tutore provvisorio del minore con sei motivi.

3. Si è costituito per l’udienza di discussione l’avvocato Spaziante Celere per F.P.L..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per omessa audizione della famiglia affidataria in relazione alla L. n. 184 del 1983, art. 5, comma 1, nella assoggettabilità del giudizio di secondo grado alla modifica apportata alla legge sull’adozione in tema di “continuità affettiva”, disciplina immediatamente applicabile ai giudizi in corso, in difetto di normativa transitoria.

La Corte territoriale era stata informata, prima della discussione e della precisazione delle conclusioni, dell’inserimento del minore all’interno della famiglia affidataria e tanto avrebbe dovuto determinarla all’indicato incombente.

In ogni caso, avrebbe dovuto essere disposta l’audizione dei responsabili della casa famiglia in cui il minore era stato inserito per oltre due anni, nell’assimilabilità della struttura al concetto di famiglia affidataria.

2. Con il secondo motivo si denuncia l’impugnata sentenza per nullità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 dovuta a vizio di ultra-petizione nei termini di cui all’art. 112 c.p.c..

Il padre, appellante, in riforma della sentenza di primo grado che del minore aveva dichiarato l’adottabilità, aveva richiesto l’inserimento del figlio presso la famiglia affidataria e, in tale contesto, la ricostituzione del rapporto padre-figlio con modi e tempi stabiliti dai servizi sociali.

La Corte di appello, obliterando le contrarie conclusioni della disposta c.t.u. ed attribuendo al padre capacità genitoriali superiori a quelle che il medesimo si riconosceva, aveva imposto ai Servizi cadenze ravvicinate di reinserimento del minore nella famiglia di origine.

3. Nel terzo motivo si fa valere la violazione e/o falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 della L. n. 183 del 1984, artt. 1, 8 e 12 nonchè dell’art. 3 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, ratificata con la L. n. 179 del 1991, e, ancora, la violazione e falsa applicazione dei principi in tema di valutazione delle prove di cui all’art. 116 c.p.c. ed all’art. 2697 c.c..

La Corte di appello sarebbe pervenuta ad una falsa applicazione delle norme e della giurisprudenza di legittimità sullo stato di abbandono del minore con il ritenerne l’insussistenza.

Sarebbe mancata una effettiva “progettualità genitoriale” ed il padre – che aveva precedenti per reati commessi con violenza ed aveva “spacciato erba” per quasi un anno mentre N. gli era stato affidato – nonostante i ritardi nel linguaggio del figlio e le difficoltà di socializzazione non lo aveva fatto seguire e non aveva risposto alle richieste dei Servizi Sociali, non presentandosi all’incontro a cui era stato convocato, e dopo l’apertura del procedimento, in cui non si era ritenuto di allontanare il minore dal nucleo familiare con immediata sua presa in carico per interventi di sostegno, era stato tratto in arresto dopo essere stato intercettato di notte in auto da una pattuglia dei carabinieri ed essere scappato con il figlio a bordo sotto gli spari delle forze dell’ordine.

Le carenze educative ed affettive della famiglia sarebbero state tali da non consentire l’attività di supplenza da parte dello Stato, esclusi altresì tempi di recupero della idoneità genitoriale compatibili con le necessità del minore.

4. Con il quarto ed il quinto motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nei termini di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per avere i giudici di appello negato prima che il minore venisse allontanato dalla famiglia, la privazione dell’assistenza morale e materiale in cui egli versava, già produttiva per il primo di un danno permanente ed irreversibile, e per avere omesso di considerare l’insussistenza di un programma paterno di rientro del figlio in famiglia.

5. Con il sesto motivo si denuncia la violazione dell’art. 1 della L. n. 184 del 1983, in combinato con l’art. 8 C.E.D.U., per avere la Corte di merito ritenuto l’esistenza di un legame affettivo del minore con il genitore ed aver privilegiato siffatto aspetto sulle carenze genitoriali, invece esistenti, in punto di accudimento materiale ed educativo. I giudici territoriali sarebbero incorsi altresì in vizio della motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per aver dato della disposta c.t.u. una completa reinterpretazione con il sostituire alle conclusioni peritali, le proprie.

Le competenze cognitive del minore, “al di sotto del limite inferiore della media”, sarebbero state attribuite in tal modo non alla mancanza di cure parentali, ma a disturbi dell’apprendimento, ed i vissuti depressivi del bambino, non alla situazione di profondo disagio ed alla mancanza di cure primarie avuti nel periodo che aveva preceduto l’allontanamento del padre, ma all’interruzione repentina dei rapporti con il medesimo genitore.

6. I motivi meritano congiunta trattazione nella stretta connessione dei temi attraverso i primi posti all’esame di questa Corte di legittimità, temi, tutti, relativi ai presupposti integrativi dello stato di abbandono del minore ed ai conseguenti termini di accertamento dello stato di sua adottabilità.

L’accoglimento dei motivi determina questo Collegio a cassare con rinvio alla Corte di appello di Torino, sezione per i Minorenni, in diversa composizione, il provvedimento impugnato per le ragioni di seguito indicate e precisate, per una ritenuta nullità da violazione della normativa in applicazione, come integrata dalla giurisprudenza di legittimità, e per una motivazione che manca di ricomprendere nello svolto argomentare necessitati passaggi fattuali.

6.1. Vanno per assoluta sintesi qui richiamati i principi ai quali è informata la giurisprudenza di legittimità, in adesione agli approdi di quella di Strasburgo, nella materia dello stato di abbandono di un minore e della conseguente sua adottabilità.

La L. 4 maggio 1983, n. 184, art. 1 (nel testo novellato dalla L. 28 marzo 2001, n. 149) sull’adozione attribuisce al diritto del minore di crescere nell’ambito della propria famiglia d’origine un carattere prioritario – considerandola l’ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico – e mira a garantire tale diritto attraverso la predisposizione di interventi diretti a rimuovere situazioni di difficoltà e di disagio familiare.

Sulla indicata premessa, l’accertamento del giudice del merito finalizzato ad escludere lo stato di abbandono, ai fini di adozione, del minore deve muovere dalla riscontrata capacità dei genitori di accudire e prendersi cura del figlio o di recuperare siffatte competenze entro tempi compatibili con la necessità del minore di uno stabile contesto familiare, in ragione di un rapporto di collaborazione con i Servizi Sociali intervenuti e secondo una manifestata progettualità genitoriale finalizzata al rientro del minore in famiglia senza, per contro, che il mero positivo riscontro di relazioni affettive tra genitore e figlio possa supplire alla riscontrata incapacità o ad un suo recupero nei termini anzidetti.

In una più ampia cornice di collaborazione con il genitore nel recupero dell’indicata capacità, resta poi ferma la verifica circa la praticabilità di altre misure, positive e negative, anche di carattere assistenziale, volte a favorire il ricongiungimento del minore con i genitori biologici, ivi compreso l’affidamento familiare di carattere temporaneo, ai fini della tutela del superiore interesse del figlio (vd.: Cass. 26/01/2011 n. 1837; Cass. 14/04/2016 n. 7391).

Nel procedimento diretto all’accertamento dello stato di abbandono del minore e quindi della sua adottabilità, tra gli elementi informativi che concorrono a definire l’adeguatezza dei genitori ai compiti educativi e di assistenza loro propri, indubbio rilievo rivestono le risultanze della consulenza tecnica di ufficio in ragione della natura personalissima dei diritti destinati a trovare ingresso nell’indicato procedimento la cui tutela seppur limitabile solo in caso di extrema ratio deve procedere attraverso un’attenta disamina dell’apporto tecnico (arg. Cass. 26/03/2015 n. 6138 e Corte Europea Diritti dell’Uomo, affaire Zhou c/ Italia 21.1.2014, nella prima richiamata per evidenziare la centralità dell’accertamento tecnico in materia).

Tanto è destinato a valere anche ove le conclusioni della c.t.u. siano nel senso della limitazione del diritto del minore a vivere nella famiglia di origine là dove a venire in considerazione sia comunque la crescita piena ed equilibrata del minore, nel suo ruolo di direttrice ultima di ogni altra scelta di affido, che è stata esclusa dal consulente nel contesto endo-familiare.

6.2. In relazione ai richiamati principi si ha che la sentenza impugnata ha obliterato i passaggi della disposta c.t.u. diretti ad evidenziare, pur nel legame affettivo tra padre e figlio, l’incapacità del genitore di farsi carico delle esigenze di cura ed educazione del minore.

Più compiutamente, restano obliterati:

– i trascorsi di vita del padre, comunque incontestati in atti, di cui è segno nella disposta consulenza di ufficio anche all’esito dei colloqui, come dedotto in ricorso, svolti dal nominato tecnico, per condotte violente, e di messa a repentaglio (per l’episodio dell’arresto del padre preceduto da fuga in auto sotto gli spari delle forze dell’ordine, con il minore poi rinvenuto dagli operanti -che raggiungevano il padre in casa per procedere al suo arresto- dormire su di un materasso appoggiato sul pavimento) della sicurezza ed incolumità stessa del minore;

– la denunciata, in ricorso, mancata collaborazione con i Servizi e la rete di assistenza medica dagli stessi suggerita ed apprestata (visite presso il logopedista; mancata presa in carico dei problemi urologici del figlio);

– la mancanza di una progettualità genitoriale.

In applicazione degli indicati principi ed in ragione di una motivazione che omette di valutare i contenuti della condotta genitoriale su cui, con carattere di decisività, deve fondarsi in un procedimento avviato per la declaratoria dello stato di adottabilità del minore, ogni giudizio di rispondenza ad una crescita piena ed equilibrata del minore rispetto ad ogni scelta attuabile sia essa di permanenza presso la famiglia biologica sia essa di affido familiare, la sentenza impugnata va cassata.

Per le affermazioni rimarcate e attraverso un procedimento al quale, nell’intervenuto affidamento del minore presso una famiglia non può restare estranea, nell’ascolto, quest’ultima (L. n. 184 del 1983, art. 5, comma 1, ult. parte, come novellato dalla L. 19 ottobre 2015, n. 173, sul “diritto alla continuità affettiva” dei bambini e delle bambine in affido familiare, nella valenza processuale dell’indicato incombente, ex Cass. 29/09/2017 n. 22934), la Corte di appello di Torino, sezione per i Minorenni, in diversa composizione, provvederà a nuovo giudizio.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia dinanzi alla Corte di appello di Torino, Sezione per i Minorenni, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52 siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, il 1 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2019

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