Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.17115 del 26/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 72/2014 proposto da:

N.F.S., + 3 elettivamente domiciliato in Roma presso l’avvocato Carolina Valenzise che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato Francesco Scaglione;

– ricorrenti –

contro

ANAS S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore e PREFETTURA DI REGGIO CALABRIA in persona del prefetto pro tempore, elettivamente domiciliati in Roma presso l’Avvocatura Generale dello Stato che li rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e contro

COSTRUZIONI GENERALI S.R.L. in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma e rappresentata e difesa dall’avvocato Dott. Raffaele Gargano;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 14/2014 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 10/1/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/04/2019 dal cons. Dott. MARULLI MARCO.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n 14/2014 depositata il 10.1.2014 la Corte d’Appello di Reggio Calabria, in parziale accoglimento della domanda spiegata dai consorti N. in relazione all’ablazione dei fondi di loro proprietà siti in ***** e destinati all’ammodernamento della ***** disposta a seguito di distinti decreti prefettizi n. 588 del 5.5.1988 n. 62 del 3.2.1993, dichiarato il difetto di legittimazione passiva della convenuta Prefettura di Reggio Calabria, ha proceduto a determinare le indennità dovute agli istanti a fronte dell’occupazione legittima di detti fondi ed ha quindi ordinato ai pure convenuti Ente Nazionale Strade – ANAS s.p.a e Costruzioni Generali s.p.a. il deposito delle somme corrispondenti, somme determinate in base alla stima operata dal nominato consulente tecnico d’ufficio – e quindi prescindendo dalla stima che aveva avuto luogo nel parallelo giudizio risarcitorio per occupazione appropriativa instaurato dai N. avanti al T.A.R. – e maggiorate di interessi legali dalla data dei “rispettivi decreti di esproprio” all’eseguito deposito.

La cassazione di detta sentenza è ora chiesta in via principale dai N., che resistono con controricorso, sulla base di tre motivi ed in via incidentale dall’ANAS, che resiste con controricorso, sulla base di nove motivi e da Costruzioni Generali, che resiste con controricorso, sulla base di quattro motivi, illustrati pure con memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti principali si dolgono della violazione dell’art. 324 c.p.c. e art. 2909 c.c. e dell’omesso esame di un fatto decisivo riguardo alla determinazione dei valori di stima compiuta dalla Corte d’Appello, che, nel disattendere i valori recepiti nella citata pronuncia del T.A.R., ha erroneamente negato l’esistenza di una norma che “impone l’adeguamento alla cosa giudicata”, malgrado la vigenza dell’art. 2909 c.c. e ha omesso di considerare che le statuizione del T.A.R. erano “relative ai medesimi terreni” ed “erano state rese tra le stesse parti”.

2.2. Il motivo non ha pregio.

2.3. Infondata si rivela l’allegazione in punto di diritto. Non è certo corretto negare in principio l’efficacia espansiva del giudicato amministrativo “per la non ravvisabilità nel vigente ordinamento di un qualche suo fondamento”, dato, che come stabilmente si ritiene “il giudicato amministrativo, anche se si forma sull’atto e non sul rapporto, attiene a tutto ciò che ha costituito oggetto della decisione, compresa la risoluzione delle questioni che costituiscono la premessa necessaria o il fondamento logico e giuridico della pronuncia dispositiva, con la conseguenza che esso, ancorchè la sentenza provenga da un giudice speciale, preclude il riesame di tali questioni in altro giudizio proposto tra le stesse parti separatamente o con finalità diverse dinanzi al giudice ordinario, negli stessi limiti previsti dall’art. 2909 c.c.” (Cass., Sez. H, 4/07/2014, n. 15393).

Ciò non vale, tuttavia, a rendere censurabile la sentenza in esame per quanto in essa si afferma in ordine “all’indubbia autonomia dei giudizi in argomento”, giudicandosi al riguardo assorbente – sulla premessa che avanti al T.A.R. si discuteva dell’azione risarcitoria promossa dai ricorrenti a seguito dell’irreversibile trasformazione subita dai beni occupati, mentre avanti alla Corte d’Appello la contesa insisteva sul diritto di costoro all’indennità dovuta per l’occupazione legittima – se non la constatazione in ordine alla diversità di parti, la diversità di causa petendi e di petitum. Va invero in proposito ribadito il principio che il giudicato ai sensi dell’art. 2909 c.c. è destinato ad operare in rapporto alla domanda, sicchè i limiti oggettivi di esso vanno identificati in base agli elementi costitutivi della domanda, ovvero in base alla causa petendi, intesa come titolo dell’azione proposta ed in base al bene della vita che ne forma l’oggetto ovvero al petitum mediato, a prescindere dal tipo di statuizione richiesta (Cass., Sez. III, 6/03/2014, n. 5245; Cass., Sez. IV, 3/08/2007, n. 17078; Cass., Sez. IV, 24/03/2004, n. 5925). E poichè, come è qui chiaro, mentre nel giudizio risarcitorio avanti al T.A.R. la domanda si qualifica in rapporto ad una condotta illecita posta in essere dalla Pubblica Amministrazione e alla necessità di ristorare per equivalente il pregiudizio inferto al danneggiato, nel giudizio avanti alla Corte d’Appello la domanda risulta invece qualificata in rapporto ad una attività lecita, comportante la temporanea compressione del diritto dominicale del soggetto interessato e l’adozione di una misura compensativa della perdita di frutti conseguenti alla procurata indisponibilità dei beni occupati, ne discende che del tutto rettamente la sentenza qui impugnata ha ricusato l’assunto degli appellanti N. e che perciò nessun addebito cassatorio, sul presupposto dedotto con il motivo, è declinabile riguardo ad essa.

2.3. Va da sè che l’infondatezza dell’operata allegazione in diritto travolge anche il preteso vizio motivazionale che, in disparte da ogni altra considerazione, può andare perciò assorbito.

3.1. Con il secondo motivo del ricorso principale si deduce “il discostamento immotivato dal diritto vivente”, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo in cui il giudicante di merito, procedendo alla liquidazione degli interessi dovuti all’esito della determinazione delle somme da corrispondersi a titolo di indennità per occupazione legittima, sarebbe incorso avendone decretato la decorrenza dai “rispettivi decreti di esproprio”, piuttosto che dai decreti di occupazione adottati nella specie.

3.2. Il motivo, per i medesimi effetti già ricordati per l’innanzi, non è fondato. E’ vero che il comando enunciato nel dispositivo, allorchè mostra di legare la decorrenza ai decreti di esproprio non si accorda esattamente ai sottostanti dati fattuali evidenziati dalla vicenda, dato che nel caso concreto non si discuteva dell’indennità di espropriazione, ma dell’indennità di occupazione, sicchè l’errore in cui è caduto il decidente è innegabile. E tuttavia esso non ha rilievo cassatorio poichè, se conformemente ad un principio più volte affermato da questa Corte la portata precettiva della sentenza va individuata tenendo conto non solo del dispositivo ma anche integrando questo con la motivazione e si legge perciò la regola sancita in concreto nel dispositivo considerando il tenore complessivo della motivazione, l’errore recede al rango di mero lapsus calami, posto che, da un lato, non è ricusabile il fatto che la Corte d’Appello abbia inteso pronunciarsi esattamente con riguardo ad una fattispecie di occupazione legittima e solo riguardo a quella, dall’altro non risulta affatto derogato il criterio della decorrenza degli interessi dalla scadenza della singola annualità e, dunque, come mostrano di credere gli stessi deducenti (“ora, secondo il “diritto vivente”, al quale. in motivazione, la Corte dichiara di volersi adeguare”, si legge a p. 14 del ricorso), la sentenza non viene meno dal prestare doverosa adesione al diritto vivente.

4.1. Il terzo motivo del medesimo ricorso censura per violazione dell’art. 91 c.p.c. la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese nei confronti della Prefettura di Reggio Calabria erroneamente pronunciata dalla Corte d’Appello, vero che alla stessa l’atto introduttivo del giudizio era stato notificato “in dichiarata, necessaria, ottemperanza alla L. 25 giugno 1965, n. 2359, art. 51”.

4.2. Il motivo è infondato. Questa Corte ha già avuto ragione di statuire con principio a cui si intende dare continuità che “nei giudizi di opposizione alla determinazione della indennità di espropriazione, promossi a norma dalla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 51 il prefetto (o la diversa autorità espropriante: nella specie, amministrazione provinciale) non è parte necessaria del procedimento, atteso che, superata la fase autoritativa dell’emissione del decreto di occupazione di urgenza e di espropriazione riservata all’autorità pubblica indicata dalla legge, la controversia attinente all’adeguatezza dell’indennità di espropriazione concerne unicamente il rapporto sostanziale patrimoniale tra espropriato e beneficiario del provvedimento ablativo. Ne consegue che, se alla notificazione dell’atto di opposizione all’autorità espropriante segue la costituzione in giudizio di quest’ultima al solo fine di eccepire il proprio difetto di legittimazione passiva, del tutto legittima risulta la pronuncia di condanna dell’opponente alla rifusione delle spese processuali anticipate dall’ente” (Cass., Sez. 1, 22/02/2000, n. 1991).

L’impugnata condanna è perciò del tutto legittima posto che, a seguito della sua indebita evocazione in giudizio, la Prefettura convenuta si è costituita nel giudizio così incardinato pure nei suoi confronti, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva, che, una volta dichiarato, non poteva produrre in punto di spese altro effetto che quello proprio della soccombenza.

5.1. Venendo ora ai ricorsi incidentali, con i primi tre motivi del proprio ricorso ANAS lamenta che la Corte d’Appello sarebbe incorsa in un palese errore in iudicando accordando il richiesto indennizzo in relazione al primo decreto di occupazione, benchè “le aree fossero rimaste nella disponibilità dei proprietari” (primo motivo), “spettasse dunque al proprietario… dimostrare… che nonostante la disponibilità materiale del bene, lo stesso non avesse potuto disporne” (secondo motivo) e la motivazione sul punto risultasse perciò “contraddittoria e perplessa” essendosi ravvisato l’obbligo indennitario quantunque la disponibilità materiale del bene non fosse mai venuta meno (terzo motivo).

5.2. Tutti i sopradetti motivi si rivelano privi di pregio. Ed invero l’allegazione operata intesa a conferire valore dirimente al fatto che, di seguito alla redazione del verbale di immissione nel possesso predisposto in attuazione del primo decreto di occupazione, i N. non fossero stati privati della materiale disponibilità delle aree interessate, si offre ad un preliminare rilievo di inammissibilità, introducendo nel giudizio una questione nuova, dato che di essa non vi è traccia nella disamina della vicenda compiuta dalla Corte d’Appello e neppure se ne fa menzione negli scritti difensivi della deducente, all’evidenza non escludendo la perdita del possesso la circostanza che in pendenza del primo periodo di occupazione non si fosse dato luogo ad alcuna trasformazione del bene; e mirando a sollecitare una rivalutazione in fatto del quadro meritale apprezzato dal giudicante, incontestabilmente determinatosi a riconoscere l’indennità di che trattasi sul pacifico ed indiscusso presupposto che i N., anche in relazione alla prima fase dell’occupazione, siano stati privati della materiale disponibilità dei fondi interessati, tanto più che, come si è ricordato da questa Corte, “la redazione del verbale di immissione in possesso in favore dell’ente espropriante, in conseguenza della pronuncia di un decreto di occupazione, fa presumere che la P.A., beneficiaria dell’occupazione stessa, si sia effettivamente impossessata dell’immobile e, nel contempo, esonera il proprietario espropriato dall’onere di provare l’avvenuto spossessamento, sicchè, una volta accertata l’immissione in possesso, qualora l’immobile sia restituito prima dell’esaurimento temporale del periodo autorizzato, grava sull’Amministrazione la prova di avere provveduto alla sua restituzione” (Cass., Sez. I, 27/03/2014, n. 7248). Prova che, peraltro, ANAS non si è neppure peritata di offrire, dato che il motivo, chiamato in ciò ad ottemperare all’onere dell’autosufficienza, non ne reca traccia, astenendosi segnatamente dal precisare se ed in quali termini una prova sul punto fosse stata reclamata.

6.1. Con il quarto ed il quinto motivo del medesimo ricorso è premura di ANAS di censurare in diritto, nonchè sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo, il ragionamento decisorio a cui ha dato seguito il decidente di merito muovendo dall’assunto che le aree interessate dal procedimento avessero natura edificatoria come riferito dal CTU, e ciò malgrado l’edificabilità legale formalmente riconosciuta dagli strumenti urbanistici in uso fosse “in realtà impedita o, quanto meno, resa particolarmente svantaggiata, da circostanze ostative rilevate dallo stesso consulente ma ignorate totalmente dalla Corte”.

6.2. Sfrondato previamente della denuncia motivazionale, poichè il fatto non è stato per nulla ignorato dalla Corte d’Appello (cfr. p. 14 della motivazione), sicchè la relativa prospettazione ha valenza puramente meritale, i detti motivi sono per il resto privi di fondamento.

Eppur vero, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, che, sebbene in materia debba affermarsi il sicuro primato dell’edificabilità legale, con la necessità di riscontro dell’attitudine allo sfruttamento edilizio alla stregua della disciplina urbanistica, nondimeno l’edificabilità di fatto costituisce criterio integrativo necessario alla verifica della concreta realizzazione di costruzioni e alla quantificazione delle potenzialità di utilizzo del suolo al momento in cui si compie la vicenda ablativa, cosicchè va esclusa l’edificabilità di un suolo quando le dimensioni dell’area sono insufficienti per edificare, per l’esaurimento degli indici di fabbricabilità della zona a causa delle costruzioni realizzate, per la distanza dalle opere pubbliche, per l’esistenza di prescrizioni e di vincoli legislativi ed urbanistici che incidono in misura determinante sulla edificabilità effettiva, quale attitudine del suolo ad essere sfruttato e concretamente destinato a fini edificatori (Cass., Sez. I, 7/10/2016, n. 20241; Cass., Sez. I, 27/03/2014, n. 7251; Cass., Sez. I, 5/10/2012, n. 17069).

Ma ciò, onde contemperare l’indennità dovuta al principio del giusto ristoro e non favorire l’indebita locupletazione in capo ai soggetti incisi di un beneficio non corrispondente all’effettivo valore di mercato dei beni ablati, acquista portata dirimente, sino al punto di privare la riconosciuta natura edificatoria del bene stimata in base agli strumenti della programmazione urbanistica di ogni apprezzabile riflesso, sul piano della concreta determinazione dell’indennità, poichè, come si è osservato, l’effettiva potenzialità edificatoria va da un minimo (tendente a zero) ad un massimo, con una gamma di situazioni intermedie su cui incide in misura determinante l’edificabilità effettiva, quale attitudine del suolo ad essere sfruttato e concretamente destinato a fini edificatori (in base a vari fattori: centralità, ubicazione, consistenza, vicinanza a strutture pubbliche, volumetria, ecc.) (Cass., Sez. I, 22/11/2010, n. 23584). Ferma, allora, l’edificabilità legale del fondo, l’edificabilità di fatto di esso rappresenta, quindi, il criterio regolatore necessario in guisa del quale rapportare la misura dell’indennità dovuta all’effettivo pregiudizio patito dal soggetto inciso a causa della vicenda espropriativa.

6.3. A questo criterio si è puntualmente attenuto il decidente del merito non solo perchè recependo, più in generale, i risultati della CTU ne ha pure condiviso la premessa – di cui dà conto, senza tuttavia, coglierne tutti i dovuti risvolti, lo stesso patrocinio erariale (cfr. pag. 13 del ricorso incidentale) – che la qualità edificatoria del bene “è indipendente da ogni valutazione delle condizioni di fatto che assumono rilevanza nella sede di determinazione dell’indennità di esproprio, quali ad esempio, la distanza dall’area del centro urbano, l’esistenza di opere di urbanizzazione, le prescrizioni in materia di distanze da opere pubbliche o da costruzioni, ecc.”; ma perchè apprezzandone la concreta portata sul piano della “ricerca del valore venale effettivo”, si è dato pure cura, ripercorrendo l’iter ricognitivo compiuto dal CTU in questa direzione, di registrare, insieme alla tendenze del mercato, i parametri utili ai fini della valutazione sintetico-comparativo condotta nella specie, qualificanti anche in linea di fatto l’edificabilità dei cespiti interessati costituiti, tra l’altro, dalla “cubatura realizzabile”, dalla “distanza dalle vie di comunicazione e dal centro abitato”, dalla “conformazione e caratteristiche fisiche del terreno”. Dunque, orientando concretamente l’asse del proprio giudizio anche lungo le coordinate della edificabilità di fatto dei lotti ablati, la sentenza si allinea all’elaborazione del diritto vivente e va perciò immune dalla declinata censura.

7.1. Il sesto ed il settimo motivo del medesimo ricorso fanno leva sull’omesso esame di un fatto decisivo, nonchè sull’errata ed insufficiente valutazione ed ancora sulla violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. riguardo sempre alla stima dell’indennità operata dalla Corte d’Appello, che risulterebbe invero viziata per non aver tenuto conto del “quasi nullo” dinamismo negoziale delle aree interessate e del fatto che nella successiva programmazione territoriale l’area in questione fosse stata “declassata ad area agricola”.

7.2. Si tratta di allegazioni palesemente affette da precoce inammissibilità, che ne preclude perciò, la disamina e ciò perchè è la stessa decisione impugnata a dar conto dell’assenza di vistosi fenomeni circolatori e a darsi cura, come vedremo, del mutamenti intervenuti sul piano urbanistico – onde le predette circostanze non risultano perciò estranee al percorso decisionale della sentenza -; perchè, ancora, nel vigore dell’attuale disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 non è più rappresentabile il vizio motivazionale di un tempo; e perchè, infine, la pretesa violazione di legge non si uniforma allo statuto della denunciabilità per cassazione dell’errore di diritto.

8.1. Con l’ottavo ed il nono motivo di ricorso l’ANAS lamenta, che nel determinare le indennità riconosciute nella specie ai N. sulla base della destinazione urbanistica dei fondi oggetto di occupazione risultante dal Piano di Fabbricazione adottato nel 1976, vigente all’atto del primo decreto n. 588/1988, che includeva i fondi in zona CTI ovvero tra le aree a vocazione residenziale-turistica, la Corte d’Appello avrebbe “applicato il medesimo regime edificatorio a tutta la vicenda espropriativa”, ancorchè essa si fosse sviluppata per fasi successive e nella seconda fase, seguita all’adozione del decreto 62/1993, la destinazione urbanistica dei fondi fosse stata mutata da edificatoria ad agricola per effetto dell’intervenuta approvazione in data 26.10.1995 del Piano regolatore generale, circostanza in ragione della quale si rendeva apprezzabile anche la variazione intervenuta nel meccanismo di calcolo dell’indennità, tenuto conto della sua maturazione su base annua e del fatto che negli anni successivi al 1995 il parametro costituito dall’indennità virtuale di esproprio era mutato.

8.2. I motivi sono fondati nei limiti che seguono.

8.3. Incontestati i presupposti di fatto sottesi alla doglianza – e che anche la sentenza impugnata si premura di registrare, pur senza trarne tutte le conseguenze doverose – va inizialmente detto che essa non merita censura allorchè, nel dare atto dell’intervenuto mutamento nella destinazione urbanistica dei fondi realizzatosi in pendenza del secondo periodo di occupazione, reputa che esso possa produrre effetto solo successivamente alla sua adozione, di modo che, restando fermo che il valore del bene inciso debba essere determinato “in ragione del suo regime legale vigente prima dell’incisione”, il parametro da prendersi a riferimento ai fini della determinazione richiesta va individuato nel valore venale che il bene rivestiva in funzione della sua natura edificatoria, questo essendo per l’appunto il regime legale di esso al momento sia del primo che del secondo decreto. L’assunto rispecchia, infatti, un adagio che, già presente nella giurisprudenza di questa Corte, è andato massimamente consolidandosi nel solco dell’interpretazione adeguatrice del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5-bis, comma 3, convertito con modificazione in L. 8 agosto 1992, n. 359, cui soggiace ratione temporis la specie in discussione, enunciata dalla Corte Cost. con la sentenza n. 442 del 1993, di guisa che il riferimento “al momento dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio” che in esso figura ai fini della ricognizione della qualità edificatoria o meno delle aree, cui parametrare la determinazione dell’indennità di espropriazione, secondo la lettura di costituzionalità, va inteso non in senso letterale – che in caso di mutamento della destinazione urbanistica dell’area condurrebbe ad una stima inficiata da astrattezza e come tale contrastante con il disposto dell’art. 42 Cost., comma 3, il quale esige che l’indennizzo, onde tradursi in un serio ristoro, sia commisurato al pregiudizio effettivamente inferto – ma con riferimento al momento dell’esproprio, giacchè è proprio in coincidenza di questo momento che il proprietario, subendo la perdita del bene, viene leso nel proprio patrimonio atteso che proprio l’emissione di tale provvedimento, comportando il trasferimento in capo all’occupante di tutte le facoltà connesse al godimento del fondo, configura la trasformazione del correlativo diritto del proprietario in diritto all’indennizzo ex art. 42 Cost. (Cass., Sez. I, 20/02/2018, n. 4100; Cass., Sez. I, 21/09/2015, n. 18556; Cass., Sez. I, 14/02/2006, n. 3146). Del detto principio, quantunque enunciato principalmente con riguardo al completamento della vicenda ablatoria che si determina per effetto dell’adozione del decreto di esproprio, si è fatta applicazione, per le ragioni ampiamente spiegate altrove da questa Corte (Cass., Sez. I, 11/01/2001, n. 320), anche al parallelo tema che si agita in relazione all’indennità di occupazione, affermandosi, in consonanza con quanto si afferma riguardo all’indennità di espropriazione, che le possibilità edificatorie, legali ed effettive, da considerare nell’ipotesi di occupazione temporanea e d’urgenza preordinata all’espropriazione, debbano essere valutate al momento dell’adozione del decreto di occupazione (Cass., Sez. I, 9/05/2013, n. 11022; Cass., Sez. I, 3/04/2009, n. 8121; Cass., Sez. I, 2/05/2006, n. 10133).

Su questo versante dunque la sentenza in scrutinio si allinea alla giurisprudenza di questa Corte laddove crede, che, provata la natura edificatoria delle aree incise al momento dell’occupazione, la mutata destinazione urbanistica di esse, conseguente all’approvazione di un nuovo strumento di pianificazione territoriale, essendo intervenuta successivamente, non esplichi alcun effetto retroattivo.

8.4. Sennonchè, nell’uniformare il proprio intendimento a questo principio con riferimento all’intera vicenda scrutinata – di modo che il criterio adottato per liquidare l’indennità in relazione al primo periodo di occupazione, determinata sul presupposto della pacifica natura edificatoria dei suoli, è stato utilizzato anche in relazione al secondo periodo di occupazione protrattasi dal 3.2.1993 al 12.11.1997, quantunque dal 26.10.1995 essendo stato approvato il Piano regolatore generale, l’originaria destinazione dei suoli de quibus da edificatoria era divenuta agricola – la Corte decidente non ha considerato che nell’enunciare il predetto comando la giurisprudenza di questa Corte si è resa anche avvertita del fatto che, dovendo calcolarsi l’indennità di occupazione nel regime regolato dalla L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 20,comma 4, applicabile alla specie, su base annua, il relativo diritto risulta esigibile alla scadenza di ciascun anno di occupazione, per cui è in ciascuno di questi momenti che deve essere assunto il parametro di riferimento alla luce del quale procedere alla sua liquidazione, con la conseguenza che l’ammontare di essa, da commisurarsi in correlazione all’indennità di esproprio, andrà determinato in base al valore attuale del bene, passibile nel tempo di variazioni dipendenti dall’oscillazione di fattori di più diversa natura e si potrà mantenere stabile nel tempo, salvo appunto le predette variazione, se, rispetto alle maturate scadenze annuali del diritto, sia rimasto costante il valore venale di riferimento, mentre dovrà invece essere rivisto ad ogni scadenza se il valore venale del bene abbia subito variazioni apprezzabili nel corso dell’occupazione (Cass., Sez. I, 2/05/2006, n. 10133; Cass., Sez. I, 13/12/1999, n. 13942; Cass., Sez. I, 23/10/1993, n. 10561). E’ perciò di palmare evidenza che, avendo operato una liquidazione globale dell’indennità dovuta nella specie, la Corte decidente sia effettivamente incorsa nel lamentato errore di diritto quanto a quella riferita invece al secondo periodo di occupazione, onde riguardo ad essa la determinazione assunta va doverosamente cassata con restituzione degli atti al giudice a quo per le stime del caso.

9.1 Quanto al ricorso incidentale dell’impresa i primi tre motivi di esso fanno leva sull’eccepito difetto di legittimazione passiva dell’istante, deducendo, nell’ordine che, non essendo ravvisabile nel caso in scrutinio la fattispecie della concessione traslativa, l’attribuzione dei poteri espropriativi all’impresa affidataria deve ritenersi “inefficace”, permanendo esclusivamente in capo alla concedente la qualità di soggetto obbligato al pagamento delle indennità reclamate dai proprietari; che sarebbe stato omesso l’esame di un fatto decisivo, costituito dal “documento n. 5 esibito nel fascicolo dinanzi alla Corte di Appello” con cui ANAS autorizzava il proprio compartimento di Catanzaro ad effettuare direttamente il pagamento delle indennità in luogo dell’impresa; che la sentenza sarebbe affetta da nullità essendo stata la sollevata eccezione in punto di legittimazione passiva disattesa “con unico tratto di penna”.

9.2. E’ fondato il primo motivo del predetto ricorso, l’accoglimento del quale determina l’assorbimento di ogni ulteriore ragione di doglianza, ivi comprese quelle dedotte con il quarto motivo di ricorso fatto valere in via incidentale riguardo alla ridotta edificabilità dei suoli dovuta alla sussistenza della fascia di rispetto.

9.2 Circa il motivo accolto va infatti ribadito il convincimento, già esternato a più riprese da questa Corte in riferimento alle procedure ablative che hanno luogo in ambito PEEP (Cass., Sez. I, 29/10/2013, n. 24355; Cass., Sez. I, 20/06/2011, n. 13456; Cass., Sez. I, 10/07/2008, n. 19048), secondo cui, allorchè il compimento dell’opera pubblica sia stato delegato dall’ente espropriante, “il ricorso degli strumenti della concessione e dell’appalto non può portare, indiscriminatamente, ad attribuire all’affidatario dell’opera la titolarità di poteri espropriativi, ove ciò la legge espressamente non consenta, restando in tal caso obbligato al deposito dell’indennità di esproprio l’ente espropriante” (Cass., Sez. I, 20/01/2004, n. 821). Nè vale a legittimare il diverso quadro di giudizio fatto proprio dal decidente l’arco dei poteri accordati nella specie all’impresa affidataria, dovendo anche al riguardo ribadirsi il convincimento di questa Corte, precipuamente espresso in riferimento a vicende di analogo contenuto in cui era parte ANAS, che “la mera attribuzione ad un soggetto (nella specie, un consorzio di imprese private) dell’incarico di provvedere, per conto dell’ente pubblico affidante (nella specie l’ANAS), all’espletamento delle procedure amministrative, tecniche e finanziarie per il perfezionamento delle espropriazioni ed occupazioni temporanee, non è sufficiente a configurare l’istituto della concessione traslativa nell’esercizio di funzioni pubbliche proprie del concedente – e, dunque, ad escludere la legittimazione passiva di quest’ultimo nel giudizio di opposizione alla stima – essendo necessario, in ogni caso, che l’attribuzione all’affidatario dei poteri espropriativi e l’accollo da parte sua degli obblighi indennitari siano previsti, in osservanza del principio di legalità, da una legge che espressamente permetta un tale trasferimento di poteri, in quanto non è consentito alla P.A. disporne a sua discrezione e sollevarsi, in tal modo, dalle responsabilità che l’ordinamento le attribuisce” (Cass., Sez. I, 28/10/2011, n. 22523).

10. In conclusione va respinto il ricorso principale, vanno accolti l’ottavo ed il nono motivo del ricorso incidentale di ANAS, infondati o inammissibili risultando gli altri motivi e va accolto il primo motivo del ricorso incidentale di Costruzione Generali, assorbiti risultando i restanti motivi di ricorso.

La sentenza andrà perciò cassata nei limiti dei motivi accolti e la causa andrà rinviata al giudice a quo per il necessario prosieguo a mente dell’art. 383 c.p.c., comma 1 e art. 384 c.p.c., comma 2.

Le spese seguono la soccombenza nel solo rapporto tra i N. e gli altri costituiti e si liquidano come da dispositivo.

Sui medesimi graverà anche il raddoppio del contributo unificato dovuto in applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

Respinge il ricorso principale proposto e condanna parte ricorrente principale al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore di ANAS+1 in Euro 8200,00, oltre spese prenotate a debito ed in favore di Costruzioni Generali in Euro 10.200,00. di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge; accoglie l’ottavo ed il nono motivo del ricorso incidentale di ANAS e dichiara inammissibili il primo, il secondo, il terzo, il sesto ed il settimo motivo e infondati il quarto ed il quinto motivo del medesimo ricorso; accoglie il primo motivo del ricorso incidentale di Costruzioni Generali e dichiara assorbiti i restanti motivi del medesimo ricorso; cassa l’impugnata sentenza nei limiti dei motivi accolti e rinvia la causa avanti alla Corte d’Appello di Reggio Calabria che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti principali dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 29 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2019

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