Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.17169 del 26/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16455/2018 proposto da:

Y.R., domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Lombardo Odovilio, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale Dello Stato, che lo rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 670/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, del 09/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/04/2019 dal cons. Dott. TRIA LUCIA.

RILEVATO

CHE:

1. la Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 9 marzo 2018, rigetta l’appello del cittadino del Y.R.N. avverso l’ordinanza del Tribunale di Bologna di rigetto dell’opposizione dell’interessato avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva, a sua volta, rigettato la sua domanda di protezione internazionale escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. la Corte d’appello, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il Tribunale ha rigettato il ricorso ritenendo il racconto del ricorrente non credibile;

b) il richiedente dichiara di essere originario della città di *****, dalla quale si è allontanato per recarsi nella città di ***** per coltivare i terreni di proprietà della famiglia della moglie; nel *****, *****, al confine con la *****, veniva attaccata dai ribelli di *****: il richiedente, richiamato dagli spari, lasciò la coltivazione del terreno e raggiunse la sua abitazione, nella quale ha trovato uno dei ribelli armati; per salvare la moglie incinta, che il ribelle voleva rapire, gli propose di lasciargli tutti i suoi beni compresi i terreni della famiglia della moglie; il ribelle accettò ed il richiedente riuscì a fuggire. Quindi si trasferirono tutti, compresi i parenti della moglie, a *****, città più sicura perchè posta all’interno del Niger, ma il richiedente non riuscì a trovare un lavoro stabile e per questo si trasferì in ***** e da lì arrivò in Italia;

c) la Corte di cassazione, in merito al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 ha stabilito che la norma, unitamente al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 relativo al dovere di cooperazione istruttoria incombente sul giudice, costituisce il cardine del sistema di attenuazione dell’onere della prova posto a base dell’esame e dell’accertamento delle domande di protezione internazionale;

d) in applicazione dei principi affermati al riguardo, il racconto del richiedente si deve considerare privo di attendibilità intrinseca ed estrinseca (rispetto alle condizioni del Paese di origine);

e) il ricorrente non ha, infatti, compiuto “ogni ragionevole sforzo” per circostanziare la domanda rendendo dichiarazioni del tutto generiche, non plausibili, prive di elementi di dettaglio e di riferimenti concreti idonei a contestualizzare gli eventi;

f) come sottolineato dalla Commissione territoriale e dal Tribunale, non appare verosimile la circostanza centrale del racconto cioè che il richiedente possa aver barattato la salvezza sua e dei suoi congiunti mediante il trasferimento della proprietà dei terreni della famiglia della moglie;

g) il racconto dell’attacco di ***** è molto generico e privo di dettagli e non vi sono informazioni attendibili su attacchi avvenuti nel ***** da parte di ***** nella parte sudoccidentale del *****, dove si trova la città di *****;

h) anche per quanto riguarda la situazione della città di ***** di origine del ricorrente lo stesso interessato ha dichiarato che si tratta di una città più sicura dalla quale è emigrato per ragioni economiche, non riuscendo a trovare un lavoro stabile;

i) in presenza di dichiarazioni intrinsecamente non attendibili alla stregua degli indicatori di genuinità di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 il giudice è esentato dall’onere di cooperazione nell’acquisizione probatoria;

l) nella descritta situazione è da escludere la sussistenza degli elementi che legittimano la concessione della protezione sussidiaria;

m) per le stesse ragioni non si ravvisano particolari fattori di vulnerabilità idonei a giustificare il rilascio del permesso di soggiorno per seri motivi di carattere umanitario, in considerazione della condizione personale del richiedente e della situazione della sua regione di provenienza e della città natale di *****;

3. il ricorso di Y.R. domanda la cassazione della suddetta sentenza per due motivi; il Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, resiste con controricorso.

CONSIDERATO

CHE:

Sintesi dei motivi.

1. il ricorso è articolato in due motivi;

2. con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, in special modo del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e dell’art. 5 stesso decreto, in merito alla disciplina sul riconoscimento del diritto al permesso per ragioni umanitarie, in applicazione del diritto di asilo previsto dall’art. 10 Cost., comma 3 (Cass. n. 26566/2013);

2.1. si sostiene che “viola un principio di diritto” il giudice che riconosce irrilevante ai fini della concessione del permesso umanitario la sussistenza di una situazione di vulnerabilità seppur temporanea causata dal pericolo di rimpatrio di fronte ad emergenze umanitarie, anche di carattere socio-economico;

2.2. nel caso di specie vanno valutate anche le condizioni individuali e soggettive di vulnerabilità riguardanti la possibile perdita di garanzie costituzionali relative a diritti umani come il diritto al soggiorno e altri diritti da esso derivati di rilevanza costituzionale;

2.3. si sostiene che sostanzialmente la Corte d’appello non ha concesso la protezione umanitaria perchè ha interpretato male la situazione di vulnerabilità del R., pur emergente dal suo racconto, senza considerare che qualunque individuo costretto ad espatriare per qualsiasi causa può correre obbiettivamente un grave pericolo alla propria incolumità o per malattia o per tutela dell’unità familiare o perchè discriminato o perchè comunque per qualsiasi situazione anche personale rischia di vedere compromessi i propri diritti fondamentali;

3. con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, “fatto controverso in relazione al fatto decisivo per il giudizio che a seguito della situazione creatasi nel Paese di origine la Corte ha riconosciuto”, ribadendosi le censure svolte nel precedente motivo, con ulteriori argomenti;

Esame dei motivi.

5. l’esame dei motivi di censura porta al rigetto del primo motivo e alla dichiarazione di inammissibilità del secondo motivo;

6. il primo motivo è infondato in quanto con esso si sostiene che – diversamente da quanto affermato dalla Corte d’appello – il ricorrente avrebbe pieno diritto ad ottenere almeno la protezione umanitaria perchè tale forma di protezione sarebbe costituzionalmente riconosciuta per la tutela della vulnerabilità economica o personale degli immigrati per qualsiasi causa, onde garantire la sopravvivenza dell’individuo sia per motivi economici sia per la propria incolumità o per malattia o a tutela dell’unità familiare o perchè discriminato;

6.1. tuttavia, da un lato, non si contestano efficacemente – e nel rispetto del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione – le argomentazioni della Corte territoriale poste a base del rigetto della protezione umanitaria, escludendosene la vulnerabilità per motivi personali o di salute e anche con riguardo alla situazione tranquilla della città di origine, nè si dimostra che tali argomentazioni non trovino riscontro nelle allegazioni del ricorrente al riguardo e neppure si sostiene che al medesimo fine siano stati allegati elementi di integrazione sociale;

6.2. dall’altro lato, non si considera che la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455 e plurime successive decisioni conformi);

6.3. perchè il giudice possa effettuare una simile verifica, eventualmente anche esercitando i propri poteri istruttori officiosi, è necessario che il richiedente indichi i fatti costitutivi del diritto azionato e cioè fornisca elementi idonei perchè da essi possa desumersi che il suo rimpatrio possa determinare la suindicata privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (vedi: Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336);

6.4. nella specie dalla sentenza impugnata non risulta che ciò sia avvenuto e certamente le generiche affermazioni contenute nel ricorso, a proposito della “tutela della vulnerabilità economica o personale degli immigrati per qualsiasi causa”, sono da considerare del tutto inadeguate ai suddetti fini;

7. il secondo motivo va, invece, dichiarato inammissibile perchè nella sostanza le censure con esso proposte si risolvono nella denuncia di errata valutazione da parte del Giudice del merito del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti con riferimento alla protezione umanitaria;

7.1. si tratta, quindi, di censure che finiscono con l’esprimere un mero dissenso rispetto alle motivate valutazioni delle risultanze probatorie effettuate dal Giudice del merito, che come tale è di per sè inammissibile;

7.2. a ciò va aggiunto che in base all’art. 360 c.p.c., n. 5 – nel testo successivo alla modifica ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis – la ricostruzione del fatto operata dai Giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. SU 20 ottobre 2015, n. 21216; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928; Cass. 5 luglio 2016, n. 13641; Cass. 7 ottobre 2016, n. 20207). Evenienze che, peraltro, qui non si verificano;

Conclusioni.

8. in sintesi il primo motivo di ricorso non è fondato e il secondo è inammissibile, sicchè il ricorso, nel suo complesso, deve essere rigettato;

9. le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 2100,00 (duemilacento/00) per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 10 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2019

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