Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.17232 del 27/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2024/2013 R.G. proposto da:

M.G., rappresentato e difeso dall’Avv. Matteo Longo, con domicilio eletto in Roma, via Tacito n. 90, presso lo studio dell’Avv. Giuseppe Vaccaro;

– ricorrente –

contro

Agenza delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, via dei Portoghesi n. 12 è domiciliata ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Milano, sezione distaccata di Brescia, depositata il 12 giugno 2012.

Udita la relazione svolta in camera di consiglio dal Consigliere Cosimo D’Arrigo;

letta la sentenza impugnata;

letto il ricorso, il controricorso e le memorie depositate ai sensi dell’art. 380-bis-1 c.p.c.;

RITENUTO

Con avviso di accertamento notificato il 10 dicembre 2009, l’Agenzia delle Entrate di Ponte San Pietro accertava, per l’anno 2002, nei confronti di M.G., un maggiore imponibile ai fini Irpef di Euro 384.237,51, quale plusvalenza da cessione di terreni assoggettata a tassazione separata, da cui derivava una maggiore imposta di Euro 75.772,00 (oltre interessi) e sanzioni di pari importo.

Dopo aver presentato istanza di accertamento con adesione avente esito negativo, il contribuente proponeva ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Bergamo, che, nel contraddittorio con l’Ufficio, accoglieva il ricorso e annullava il provvedimento.

La sentenza veniva appellata dall’Agenzia delle Entrate e la Commissione Tributaria Regionale di Milano, sezione distaccata di Brescia, con la sentenza in epigrafe, in riforma del provvedimento impugnato, rigettava il ricorso, compensando le spese dei due gradi di giudizio.

Avverso tale decisione il M. ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi illustrati da successive memorie. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

CONSIDERATO

Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (T.U.I.R.), art. 81, comma 1, lett. a) e b), nella versione (anteriore alla riforma del 2004) applicabile ratione temporis.

Con il secondo motivo il M. censura, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (ante riforma del 2012), la motivazione della sentenza impugnata in ordine a profili a tratti coincidenti e per il resto collegati con quelli denunciati con il primo motivo.

Infine, con il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 81 e 82 T.U.I.R.

I tre motivi, largamente sovrapponibili e comunque strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente.

Nella sostanza, il ricorrente premette in fatto di aver ereditato il terreno di cui si discute nel 1967, allorquando era di natura agricola; che, a seguito del mutato P.R.G., il fondo era divenuto edificabile; che egli aveva ottenuto un’autorizzazione a costruire e aveva incaricato un tecnico per la progettazione di un edificio, sostenendo l’esborso di Euro 72.954,24 a titolo di costo di costruzione e di oneri di urbanizzazione; che, solo successivamente a detta attività, aveva venduto il citato terreno, in data 6 febbraio 2002.

Sulla base di tali premesse, il M. contesta la legittimità dell’accertamento svolto dall’Agenzia delle Entrate, che aveva individuato un reddito assoggettabile a tassazione separata, ascrivendolo nell’ipotesi di cui all’art. 81 T.U.I.R., comma 1, lett. b), laddove invece ricorreva quella di cui alla lett. a) della medesima disposizione. Conseguentemente, sostiene che l’avviso di accertamento debba essere annullato. Inoltre, poichè dal diverso inquadramento discendono, ai sensi dell’art. 82 T.U.I.R., differenti criteri di determinazione dell’imposta dovuta, censure il provvedimento impugnato anche sotto questo profilo ed osserva che il giudice tributario non avrebbe potuto rideterminare l’importo della plusvalenza realizzata, in difetto di sufficienti elementi istruttori.

L’art. 81 T.U.I.R., comma 1, nella versione in vigore per l’anno di imposta 2002, considerava redditi diversi, assoggettabili a tassazione separata:

a) le plusvalenze realizzate mediante la lottizzazione di terreni, o l’esecuzione di opere intese a renderli edificabili, e la successiva vendita, anche parziale, dei terreni o degli edifici;

b) le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni, esclusi quelli acquisiti per successione o donazione e le unità immobiliari urbane che per la maggior parte del periodo intercorso tra l’acquisto o la costruzione e la cessione sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari, nonchè, in ogni caso, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione.

La questione che viene sottoposta all’attenzione di questa Corte è se la plusvalenza realizzata mediante la vendita di un terreno divenuto edificabile per mutamento del P.R.G., ma in relazione al quale il venditore ha sostenuto i costi degli oneri di urbanizzazione, rientri nell’ipotesi contemplata dall’ultima parte dell’art. 81 T.U.I.R., comma 1, lett. b), (“le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione”), oppure in quella di cui alla lett. a) della medesima disposizione (“le plusvalenze realizzate mediante (…) l’esecuzione di opere intese a renderli edificabili”).

Sul piano dell’interpretazione letterale, la differenza fra le due ipotesi sta in ciò: nell’una l’accrescimento del valore del terreno conseguente all’acquisizione dell’attitudine all’edificabilità dipende da un atto dell’autorità amministrativa, ossia dalla mera inclusione dello stesso in una delle zone in cui lo strumento urbanistico prevede la possibilità di edificare; nell’altra, l’utilizzabilità a fini edificatori è conseguente ad un’iniziativa del proprietario, che con una propria condotta commissiva (piano di lottizzazione o esecuzione di altre opere) consegue il risultato dell’accrescimento del valore del fondo.

Sul piano funzionale, la ragione del distinguere dipende dal fatto che, nella prima delle ipotesi innanzi rappresentate, la plusvalenza è rappresentata dalla differenza fra il prezzo di acquisto e quello di vendita; nella seconda, la plusvalenza va determinata assumendo, quale prezzo di acquisto, il “valore normale” nel quinto anno anteriore all’inizio della lottizzazione o delle opere ad essa assimilate (art. 82 T.U.I.R., comma 2).

Questa differente disciplina trova la propria ratio, anzitutto, nell’esigenza di mitigare il trattamento fiscale delle plusvalenze realizzate mediante la vendita di terreni lottizzati. Infatti, poichè in tal caso non si applica il limite temporale dei cinque anni dall’acquisto previsto dall’art. 81 T.U.I.R., comma 1, lett. b), diversamente si otterrebbe che, qualora il terreno fosse pervenuto in proprietà del cedente in epoca risalente, la plusvalenza potrebbe risultare estremamente elevata.

E’ di tutta evidenza il diverso risultato che si ottiene in relazione ai terreni il cui favorevole mutamento di destinazione sia dipeso esclusivamente dall’adozione di un nuovo strumento urbanistico: in tal caso, il conseguente accrescimento di valore del bene viene “intercettato”, ai fini della determinazione della plusvalenza imponibile, anche se risalente oltre il quinquennio, purchè determinatosi successivamente all’acquisto in capo al cedente.

Una simile diversità di trattamento si giustifica in considerazione della diversità di situazioni sostanziali in cui versa il proprietario di un terreno agricolo che, senza aver fatto alcunchè, si avvantaggia di un considerevolmente accrescimento di valore del fondo, divenuto edificabile in ragione del nuovo strumento urbanistico, rispetto a colui che tale vantaggio economico lo consegue per propria iniziativa, sostenendo i costi di una lottizzazione, sia in termini di oneri urbanistici, sia per la necessaria realizzazione delle opere di urbanizzazione previste dal piano.

Così ricostruita la ragione della necessità di tenere distinte le due ipotesi separatamente considerate dall’art. 81 T.U.I.R., comma 1, lett. a) e b), appare chiaro che le “opere intese a rendere edificabili i terreni”, equiparate nel trattamento ad una vera e propria lottizzazione, si identificano in ragione della loro idoneità a determinare, da sole, il mutamento di destinazione urbanistica del fondo, facendogli acquistare potenzialità edificatorie che dapprima non possedeva. Si tratta, dunque, di una formula di chiusura volta ad includere nell’ipotesi, più favorevole per il contribuente, prevista dall’art. 81 T.U.I.R., comma 1, lett. a), non solo i piani di lottizzazione in senso stretto, ma anche altri strumenti analoghi eventualmente previsti dalla legislazione urbanistica di volta in volta applicabile ratione temporis.

Viceversa, deve escludersi che costituiscano “opere” rilevanti ai sensi della citata disposizione il mero pagamento di oneri concessori dovuti in forza di un P.R.G. già adottato dalle competenti autorità amministrative, così come il generico conferimento di incarichi di progettazione relativi a costruzioni non rientranti fra le opere di urbanizzazione primarie e secondarie eventualmente contemplate da un piano di lottizzazione. Tali attività, infatti, non hanno alcuna efficacia causale nel determinare l’edificabilità del fondo, che dipende dal vigente strumento urbanistico, e costituiscono semmai opere di materiale sfruttamento di quella potenzialità edificatoria che il fondo già possiede.

Deve essere, dunque, affermato il seguente principio di diritto:

“In tema di tassazione separata delle plusvalenze da compravendite immobiliari, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (T.U.I.R.), art. 81, comma 1, lett. a), nella versione anteriore alla riforma di cui al D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, che oggi trova riscontro, con identico tenore testuale, nel medesimo D.P.R., art. 67, comma 1, lett. a), per “opere intese a rendere edificabili i terreni” devono intendersi quelle che, analogamente a quanto avviene nel caso dei piani di lottizzazione, sono da sole idonee a determinare un favorevole mutamento di destinazione urbanistica del fondo, il cui valore commerciale accresce in ragione dell’iniziativa del proprietario, diversamente da quanto previsto dalla lett. b) della medesima disposizione (che contempla l’ipotesi in cui il mutamento di destinazione urbanistica che rende il terreno suscettibile di utilizzazione edificatoria dipende, invece, dall’adozione di un nuovo strumento urbanistico). Conseguentemente, non costituiscono “opere” rilevanti a tali fini il mero pagamento degli oneri di urbanizzazione previsti dal vigente piano regolatore, l’approvazione di un progetto edilizio o il rilascio di una concessione edilizia o di un permesso di costruire”.

Facendo applicazione di tale principio nel caso in esame, l’attività addotta dal M. a dimostrazione dell’erroneo inquadramento della fattispecie da parte dell’Agenzia delle Entrate è in realtà irrilevante, non essendo inquadrabile fra quelle “opere” in presenza delle quali la plusvalenza va determinata ai sensi dell’art. 82 T.U.I.R., comma 2, (nella versione anteriore alla riforma del 2004).

Conseguentemente il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 7 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019

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