LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. PERRINO Angelina M. – Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Sul ricorso iscritto al numero 73 del ruolo generale dell’anno 2015, proposto da:
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
Malesci Istituto Farmacobiologico s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale a margine del controricorso, dall’avv.to prof. Marco Miccinesi e dall’avv.to prof. Francesco Pistolesi, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv.to Marcello Clarich, in Roma, Viale Liegi n. 32;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana, n. 1810/29/2014, depositata in data 25 settembre 2014, notificata il 22 ottobre 2014.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 4 febbraio 2019 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati Viscido di Nocera;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale De Augustinis Umberto che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
uditi per l’Agenzia delle entrate l’avv.to dello Stato Roberto Palasciano e per la società contribuente l’avv.to Simone Ginanneschi, per delega dell’avv.to prof. Francesco Pistolesi.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 1810/29/2014, depositata in data 25 settembre 2014, notificata il 22 ottobre 2014, la Commissione tributaria regionale della Toscana, respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di Malesci Istituto Farmacobiologico s.p.a, in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso la sentenza n. 92/20/11 della Commissione tributaria provinciale di Firenze che aveva accolto il ricorso della suddetta società avverso il diniego opposto dall’Ufficio all’istanza di rimborso Iva versata dalla società, per l’anno 2002, in relazione all’acquisto, manutenzione e riparazione di autovetture e dei relativi carburanti e lubrificanti.
1.2. In punto di fatto, il giudice di appello, ha premesso che: 1) avverso il diniego di rimborso Iva, per l’anno 2002, Malesci Istituto Farmacobiologico s.p.a aveva proposto ricorso dinanzi alla CTP di Firenze deducendo di avere versato, per tale annualità, un’imposta rilevatasi non dovuta, alla luce della normativa comunitaria, secondo la sentenza della Corte di Giustizia del 14 settembre 2006, C-228/05, nonchè in base al D.L. n. 258 del 2006, convertito, con modifiche, dalla L. n. 278 del 2006; 2) aveva controdedotto l’Ufficio eccependo la tardività dell’istanza di rimborso avanzata oltre il termine di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, decorrente dalla data del versamento; 3) la CTP di Firenze, con la sentenza 92/20/11, aveva accolto il ricorso, rilevando che l’istanza di rimborso, per l’anno 2002, fosse tempestiva, dovendo il relativo termine ex citato art. 21, decorrere non già dal versamento ma dalla data del 15 novembre 2006, di entrata in vigore della L. n. 278 del 2006 di conversione del D.L. n. 258 del 2006, con la quale si era data attuazione alla sentenza della Corte di Giustizia del 14 settembre 2006, C-228/05, che aveva dichiarato non conformi alle norme comunitarie le limitazioni alla detraibilità di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19-bis1, comma 1, lett. c) e d); 4) avverso la sentenza di primo grado, aveva proposto appello l’Ufficio, deducendo che la pronuncia della Corte di giustizia del 14 settembre 2006 non poteva trovare applicazione con riguardo ai rapporti già esauriti – come nella specie-a tale data per intervenuta decadenza o prescrizione del relativo diritto; 5) aveva controdedotto la società contribuente chiedendo la conferma della sentenza di primo grado.
1.3. La CTR – in adesione alla pronuncia di primo grado – in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) era da condividere l’orientamento di legittimità (Cass. n. 5411 del 2012) secondo cui, in tema di rimborsi Iva, il termine di decadenza per chiedere la restituzione di quanto corrisposto all’Erario in forza di una disposizione poi dichiarata incompatibile con il diritto comunitario dalla Corte di giustizia, non decorre dalla data del versamento, qualora la sentenza non possa essere immediatamente applicata ma richieda una disciplina di attuazione; 2) anche con riferimento ai rapporti esauriti rispetto ai successivi interventi comunitari, il dies a quo di decorrenza del termine di decadenza per avanzare la richiesta di rimborso Iva era il 15 novembre 2006, quale data di entrata in vigore della L. n. 278 del 2006 di conversione del D.L. n. 258 del 2006, con conseguente tempestività dell’istanza di rimborso per l’anno 2002.
2. Avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a un motivo cui ha resistito, con controricorso, la società contribuente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 258 del 2006, art. 1, convertito dalla L. n. 278 del 2006, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, per avere la CTR erroneamente ritenuto che il termine biennale di decadenza ex citato art. 21, per la presentazione dell’istanza di rimborso Iva versata in relazione ad acquisti di autovetture, per l’anno 2002, in applicazione di norma nazionale (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19-bis1, comma 1, lett. c) e d)) dichiarata dalla Corte di giustizia, con sentenza del 14 settembre 2006, C-228/05, in contrasto con il diritto comunitario, dovesse decorrere dalla data (15 novembre 2006) di entrata in vigore della L. n. 278 del 2006 di conversione del D.L. n. 258 del 2006, con cui si era dato attuazione alle statuizioni della detta pronuncia; ciò senza considerare che in presenza di un c.d. rapporto esaurito -come, nella specie, per intervenuta decadenza – le esigenze di certezza impediscono, nel caso di inerzia del contribuente, la riapertura di termini ormai decorsi, con conseguente inapplicabilità, nell’ipotesi di rapporti divenuti irretrattabili, della richiamata pronuncia della Corte di giustizia (è richiamata, Cass., sez. un, 13676 del 2014). Peraltro, l’Ufficio rileva – come statuito dalla sentenza della Corte di cassazione n. 19969 del 2014- che il D.L. n. 258 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 278 del 2006 – con il provvedimento del Direttore dell’Agenzia del 22 febbraio 2007 – ha regolato le modalità di recupero da parte dei soggetti passivi dell’Iva non detratta in relazione agli acquisti effettuati dal 1 gennaio 2003 al 13 settembre 2006, con conseguente rilievo della data del 15 novembre 2006 – di entrata in vigore della legge di conversione n. 278 del 2006 – esclusivamente per le annualità dal 2003 al 2005.
2. Il motivo è fondato.
2.1. In materia, questa Corte, a sezioni unite, con sentenza n. 13676 del 16 giugno 2014, nel risolvere un contrasto giurisprudenziale, ha affermato il condivisibile principio di diritto secondo cui “allorchè un’imposta sia stata pagata sulla base di una norma successivamente dichiarata in contrasto con il diritto dell’Unione Europea, i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di “overruling” non sono invocabili per giustificare la decorrenza del termine decadenziale del diritto al rimborso dalla data della pronuncia della Corte di giustizia, piuttosto che da quella in cui venne effettuato il versamento o venne operata la ritenuta, termine fissato per le imposte sui redditi dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, dovendosi ritenere prevalente una esigenza di certezza delle situazioni giuridiche, tanto più cogente nella materia delle entrate tributarie, che resterebbe vulnerata attesa la sostanziale protrazione a tempo indeterminato dei relativi rapporti” e dunque “il termine di decadenza per il rimborso delle imposte sui redditi, previsto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, e decorrente dalla “data del versamento” o da quella in cui “la ritenuta è stata operata”, opera anche nel caso in cui l’imposta sia stata pagata sulla base di una norma successivamente dichiarata in contrasto con il diritto dell’Unione Europea da una sentenza della Corte di giustizia, atteso che l’efficacia retroattiva di detta pronuncia come quella che assiste la declaratoria di illegittimità costituzionale incontra il limite dei rapporti esauriti, ipotizzabile allorchè sia maturata una causa di prescrizione o decadenza, trattandosi di istituti posti a presidio del principio della certezza del diritto e delle situazioni giuridiche”.
Peraltro, questa Corte, nella sentenza n. 16726 del 2016, ha affermato che:” Sul termine previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, non è destinata ad incidere la disciplina prevista dal D.L. n. 258 del 2006, convertito dalla L. n. 278 del 2006, la quale, unitamente al relativo provvedimento di attuazione del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 22 febbraio 2007, ha previsto le modalità per il recupero della detrazione IVA in relazione agli acquisti effettuati prima della sentenza della Corte in causa C-228/05, e precisamente dal 1 gennaio 2003 – data alla quale, al momento di emanazione del D.L. n. 258 del 2006, non erano scaduti i termini per esercitare la detrazione – al 13 settembre 2006, ossia al giorno precedente l’emissione della sentenza succitata (espressamente in termini, vedi Cass.10 aprile 2015, n. 7229; 12 marzo 2015, n. 5014 nonchè 12 dicembre 2014, n. 26199). E’, difatti, in relazione agli acquisti compiuti a partire dal 1 gennaio 2003 che la Corte ha affermato il principio di diritto in base al quale il termine per le richieste di rimborso collegate alla sentenza della corte di giustizia del 14 settembre 2006, in C-228/05, non decorre dal pagamento dell’imposta, facendo leva sul D.L. 15 settembre 2006 n. 258, come convertito, la disciplina introdotta dal quale, nei limiti in cui è diretta ad ampliare i termini di decadenza a carico del contribuente, si applica anche ai giudizi pendenti il 14 settembre 2006 (Cass. 24 aprile 2015, n. 8373, secondo cui l’istanza va presentata entro il 20 ottobre 2007 se forfetaria, o entro due anni, decorrenti dal 15 novembre 2006, se analiticamente determinata) (…) in particolare, non si può correlare il presupposto per la restituzione, idoneo a far decorrere il termine biennale, alla pronuncia della sentenza della Corte di giustizia, o all’emanazione del D.L. n. 258 del 2006, come convertito. Ciò in applicazione del principio, di chiara portata espansiva, fissato dalle sezioni unite (Cass., sez. un., 16 giugno 2014, n. 13676)”. (in termini da ultimo, vedi 21 febbraio 2018, n. 4150) 2.3. Nella specie, la CTR non si è attenuta ai suddetti principi per avere ritenuto che il dies a quo della decorrenza del termine biennale di decadenza, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 21, per l’istanza di rimborso Iva versata e non detratta, per l’anno 2002, in relazione all’acquisto, manutenzione e riparazione di autovetture, dovesse decorrere non già dal versamento ma dall’entrata in vigore (15 novembre 2006) della L. di conversione n. 278 del 2006 di conversione del D.L. n. 258 del 2006, con cui si era dato attuazione alle statuizioni della sentenza della Corte di giustizia, del 14 settembre 2006, C-228/05, in forza della quale era stata dichiarata l’incompatibilità con il diritto comunitario del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19-bis1, comma 1, lett. c) e d); con ciò, da un lato, erroneamente applicando retroattivamente la sentenza della Corte di Giustizia a rapporti già esauriti – essendo stata, nella specie, incontestabilmente presentata, in data 10 febbraio 2006, l’istanza di rimborso relativa all’Iva versata nel 2002 e non detratta – e, dall’altro, erroneamente ritenendo che il D.L. n. 258 del 2006, come convertito dalla L. n. 278 del 2006, trovasse applicazione anche in relazione ad acquisti di autovetture avvenuti nel 2002.
3. In conclusione, il ricorso va accolto, con cassazione della sentenza impugnata, e, decidendo nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, con rigetto del ricorso introduttivo della società contribuente; si ravvisano giusti motivi per compensare tra le parti le spese processuali dei gradi merito, mentre quelle del giudizio di legittimità seguono il principio della soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, rigetta il ricorso introduttivo della società contribuente; compensa tra le parti le spese processuali dei gradi di merito; condanna Malesci Istituto Farmacobiologico s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 8.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019