LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –
Dott. BERNAZZANI Paolo – rel. Consigliere –
Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9861-2014 proposto da:
F.G., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA COLA DI RIENZO 92, presso lo studio dell’avvocato FRANCO CARLINI, rappresentato e difeso dagli avvocati MARCELLO PECORARI, EMILIO MATTEI;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI PERUGIA;
– intimata –
e contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– resistente con atto di costituzione –
avverso la sentenza n. 135/2013 della COMM. TRIB. REG. di PERUGIA, depositata il 10/10/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/01/2019 dal Consigliere Dott. PAOLO BERNAZZANI.
RILEVATO
che:
F.G. propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria n. 135/1/2013, del 24.9/10.10.2013, che ha accolto il gravame dell’Ufficio riformando la decisione di primo grado, in controversia concernente l’impugnazione del silenzio-rifiuto opposto dall’Amministrazione finanziaria all’istanza del contribuente, esercente la professione di agente di commercio, di rimborso dell’Irap versata in relazione al periodo 2000-2009, con eccezione dell’anno 2002 (riguardo al quale la decisione di rigetto della CTP non è stata impugnata dal contribuente, onde sulla stessa si è formato il giudicato).
I giudici d’appello, nell’accogliere il gravame dell’A.d.E., hanno dichiarato che l’integrazione del presupposto impositivo ai fini Irap era, nella specie, dimostrato dalla duplice circostanza che: a) dalla dichiarazione dei redditi risultava l’erogazione di somme per lavoro dipendente di cui il contribuente non aveva dimostrato la natura occasionale, al di là dell’esiguità delle stesse e del fatto che l’attività personale dell’agente fosse prevalente; b) il contribuente aveva dichiarato la disponibilità di due autoveicoli che avevano percorso in un anno circa 70.000 km e che plausibilmente erano stati utilizzati anche dal prestatore di lavoro dipendente; il che rafforzava l’esistenza di una autonoma organizzazione.
L’Ufficio non si è costituito con controricorso, limitandosi a depositare atto scritto al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione. Il ricorrente ha, altresì, depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo di ricorso, viene dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, comma 2, dell’art. 115 c.p.c., comma 1, del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, primo periodo, e art. 3, comma 1, lett. c), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè nullità della sentenza impugnata in relazione all’art. 360 stesso c.p.c., comma 1, n. 4.
1.1. Sostiene, in particolare, il ricorrente che la CTR avrebbe accolto la censura dell’Ufficio appellante in merito al fatto che dalla dichiarazione dei redditi del contribuente risultava la corresponsione a terzi di retribuzioni per lavoro dipendente, non rilevando che si trattava di eccezione nuova, avendo lo stesso ricorrente espressamente escluso, nel proprio atto introduttivo di avere dipendenti e non avendo l’Ufficio contestato tale affermazione nel giudizio di primo grado, onde l’assenza di dipendenti doveva ritenersi fatto incontestato e l’eccezione sollevata in appello doveva considerarsi “nuova”; conseguentemente, per effetto della mancata rilevazione da parte della CTR della sua novità, era stata fatta applicazione delle norme sostanziali di cui D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, primo periodo e art. 3, comma 1, lett. c), al di fuori dei casi dalle stesse contemplati.
1.2. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.
Invero, indipendentemente dal generale richiamo, in calce al ricorso, degli atti e documenti posti a fondamento dell’impugnativa, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., il ricorrente non ha riprodotto nè in maniera diretta, nè in modo indiretto, con specificazione della parte del documento cui corrisponde tale riproduzione, il contenuto degli atti di controparte da cui possa desumersi la mancata contestazione in primo grado della predetta circostanza da parte dell’Agenzia (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 29093 del 13/11/2018, Rv. 651277 – 01; Sez. 5, n. 14784 del 15/07/2015, Rv. 636120). Inoltre, secondo l’orientamento di questa Corte, “in tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio (Sez. 2, n. 20694 del 09/08/2018, Rv. 650009 – 01).
1.3. In ogni caso, e per completezza argomentativa, va rilevato che il motivo è, altresì, manifestamente infondato, in conformità al principio secondo cui “nel processo tributario, quando il contribuente impugni il silenzio-rifiuto formatosi su una istanza di rimborso, deve dimostrare che, in punto di fatto, non sussiste nessuna delle ipotesi che legittimano il rifiuto, e l’Amministrazione finanziaria può, dal canto suo, difendersi “a tutto campo”, non essendo vincolata ad una specifica motivazione di rigetto, con la conseguenza che le eventuali “falle” del ricorso introduttivo possono essere eccepite in appello dall’Amministrazione a prescindere dalla preclusione posta dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in quanto, comunque, attengono all’originario “thema decidendum” (sussistenza o insussistenza dei presupposti che legittimano il rifiuto del rimborso), fatto salvo il limite del giudicato. (Sez. 5, n. 31626 del 06/12/2018, Rv. 651628 – 01; Sez. 5, n. 11682 del 21/05/2007, Rv. 599460 – 01).
2. Il secondo motivo di ricorso concerne la violazione del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, primo periodo, e art. 3, comma 1, lett. c), dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
La CTR avrebbe, in particolare, errato nel ritenere che dai quadri RG delle dichiarazioni dei redditi 2001 e 2003-2009 e dal quadro P del mod. Unico relativo al 2000 fosse emerso l’utilizzo di lavoro dipendente, valutato come indice di autonoma organizzazione non avendone il contribuente dimostrato il carattere occasionale. A tali quadri, ha dedotto il ricorrente, corrispondeva invece la voce “spese per lavoro dipendente e assimilato e per lavoro autonomo” e le somme indicate si riferivano alle spese per le consulenze contabili del commercialista, lavoratore autonomo, che assisteva il contribuente. Non avrebbe potuto trattarsi, dunque, di “lavoro dipendente non occasionale”, perchè non v’era rapporto di dipendenza e, comunque, la prestazione era occasionale, non essendo il prestatore “strutturalmente inserito nell’organizzazione del professionista”; del resto, l’esigua entità delle spese annue dichiarate avrebbe dovuto confermare tale occasionalità.
2.1. Il motivo è inammissibile sotto plurimi e convergenti profili.
Innanzitutto, la doglianza non risulta correttamente inquadrabile nel vizio di legittimità di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto” consiste (ex multis, cfr. Cass. Sez. I, 11 agosto 2004 n. 15499) nella deduzione di un’ erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto (e nei limiti stringenti) del vizio di motivazione.
Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi (violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (da ultimo, Sez. 1, n. 24155 del 13/10/2017, Rv. 645538 – 03; Sez. 6 – 2, n. 24054 del 12/10/2017, Rv. 646811 – 01; Sez. 5, n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171 – 01).
Nel caso di specie, ciò che il ricorrente sostiene è, in realtà, proprio l’errata ricostruzione della fattispecie concreta, cui la CTR è pervenuta attraverso la contestata valutazione delle risultanze probatorie (esistenza di un lavoratore dipendente non occasionale al posto di un collaboratore-lavoratore autonomo ed occasionale), mentre risulta del tutto estranea al contenuto del motivo la contestazione dell’individuazione (e dell’interpretazione) della astratta fattispecie impositiva prevista dalle norme in materia di Irap.
2.2. In tale quadro, dunque, le doglianze formulate attengono propriamente alle tipiche valutazioni del giudice di merito, che risultano tuttavia insindacabili nella presente sede di legittimità; nè sarebbe prospettabile, nella specie, la sussistenza di un vizio di motivazione (peraltro non dedotto) sul punto, dovendo trovare applicazione ratione temporis l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il riformulato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introduce nell’ordinamento un vizio specifico, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); per converso, il semplice mancato esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. (cfr. Sez. 2, n. 27415 del 29/10/2018 Rv. 651028 – 01; Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014 Rv. 629831 – 01).
Ebbene, nel caso in esame, è evidente come, da un lato, la sentenza impugnata abbia esaminato il “fatto” costituito dall’utilizzo di lavoro altrui, qualificato come dipendente e non occasionale e valutato come indice di autonoma organizzazione e come, dall’altro, quello che il ricorrente contesta è la valutazione di merito delle risultanze istruttorie da parte della CTR, insuscettibile di essere ricondotta al vizio di motivazione; ciò fermo restando che, qualora il contribuente avesse diversamente inteso dedurre la sussistenza di un errore di fatto (erronea lettura dei quadri RG e P) del giudice di appello nel ritenere l’impiego di un lavoratore dipendente non occasionale, tale assunto – ricorrendone gli estremi avrebbe dovuto essere dedotto mediante ricorso per revocazione ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4.
3. Con il terzo motivo, si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, comma 2, dell’art. 115 c.p.c., comma 1, del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, primo periodo, e art. 3, comma 1, lett. c), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè nullità della sentenza impugnata in relazione all’art. 360 stesso c.p.c., comma 1, n. 4.
Il motivo si riferisce all’esistenza di beni strumentali (due autovetture) che, fra l’altro, secondo la CTR sarebbero state utilizzate anche dal “lavoratore dipendente”, così suffragando ulteriormente l’integrazione del presuppostò impositivo.
Tale punto della decisione, secondo il ricorrente, incorrerebbe negli stessi vizi già esaminati a proposito del primo motivo, nel senso che l’inesistenza di dipendenti sarebbe un fatto incontestato e l’eccezione dell’Ufficio circa la presenza di un dipendente sarebbe “nuova”; conseguentemente, la CTR non avrebbe potuto prendere in considerazione nemmeno il presunto utilizzo da parte di quest’ultimo degli autoveicoli in questione.
Sotto tale profilo, il motivo è inammissibile per le stesse ragioni indicate trattando del primo motivo.
In secondo luogo, deduce il ricorrente che la disponibilità di due auto non sarebbe comunque esorbitante, secondo l’id quod plerumque accidit, rispetto al minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione.
Riguardo a tale aspetto, va rilevato che la CTR ha valorizzato l’argomento della disponibilità delle autovetture in stretto collegamento con l’esistenza di un lavoratore dipendente non occasionale ed in senso rafforzativo di tale circostanza, nonchè dell’estensione e della portata delle attività del collaboratore. Si tratta, pertanto, di valutazioni che attengono strettamente al merito della regiudicanda ed alle quali si estendono le considerazioni svolte trattando del secondo motivo, onde anche in parte qua il motivo in esame è affetto da inammissibilità.
4. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato, nel suo complesso, inammissibile. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, in assenza di attività difensiva svolta dall’Ufficio. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, il Collegio dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Nulla sulle spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019