Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.17245 del 27/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. BERNAZZANI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9887-2014 proposto da:

C.M., domiciliata in ROMA P.ZZA CAVOUR presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’Avvocato SCIALLA NICOLA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 7/2013 della COMM. TRIB. REG. di FIRENZE, depositata il 14/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/01/2019 dal Consigliere Dott. BERNAZZANI PAOLO.

RILEVATO

Che:

C.M., esercente la professione di medico convenzionato con il SSN, impugnava il diniego opposto dall’Agenzia delle Entrate all’istanza di rimborso delle somme versate a titolo di Irap per gli anni dal 2004 al 2007, deducendo l’assenza di autonoma organizzazione quale presupposto impositivo di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2.

La CTP di Grosseto accoglieva il ricorso limitatamente all’anno 2004, non figurando costi per il personale dipendente e per collaboratori esterni, e lo rigettava per le restanti annualità.

L’appello della contribuente veniva respinto, nel costituito contraddittorio con l’A.d.E., dalla CTR della Toscana con sentenza n. 7/25/13 dell’8.11.2021/14.1.2013, che confermava la decisione di prime cure; i giudici di appello rilevavano, in particolare, che elementi quali “l’utilizzo di determinati beni strumentali da parte del professionista”, in correlazione con “le prestazioni di lavoro dipendente” e “le collaborazioni professionali” costituivano altrettanti indici rivelatori di autonoma organizzazione, in quanto superavano, a parere della Commissione, la soglia al di sotto della quale non sussiste il presupposto impositivo.

Ricorre la contribuente sulla base di tre motivi; l’Agenzia ha depositato atto al solo fine di partecipare all’eventuale udienza.

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione della L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, commi 143 e 144, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il motivo è inammissibile per come risulta formulato.

La doglianza, invero, si risolve nel lamentare il mancato o insufficiente esame da parte della CTR delle risultanze e dei “dettagli” del quadro RE delle dichiarazioni della contribuente, in relazione al dedotto carattere di ridotta entità di “compensi, costi e spese rispetto sia al fatturato che al reddito”.

In tal modo, il motivo stesso non risulta correttamente ihquadrabile nel vizio di legittimità di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in quanto la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto” consiste (ex multis, cfr. Cass. Sez. I, 11 agosto 2004 n. 15499) nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto (e nei limiti stringenti) del vizio di motivazione.

Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi (violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (da ultimo, Sez. 1, n. 24155 del 13/10/2017, Rv. 645538 – 03; Sez. 6 – 2, n. 24054 del 12/10/2017, Rv. 646811 – 01; Sez. 5, n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171 – 01).

Nel caso di specie, ciò che il ricorrente sostiene è, in realtà, proprio l’errata ricostruzione della fattispecie concreta, cui la CTR è pervenuta attraverso la contestata valutazione delle risultanze probatorie, mentre risulta del tutto estranea al contenuto del motivo la contestazione dell’individuazione (e dell’interpretazione) della astratta fattispecie impositiva prevista dalle norme in materia di Irap.

In tale quadro, dunque, le doglianze formulate si risolvono nel sottoporre inammissibilmente alla Corte questioni attinenti al merito della controversia, non scrutinabili in sede di legittimità.

2. Con il motivo rubricato come “1 bis)”, la ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8, con riferimento al fatto che la disciplina dei rapporti per l’erogazione delle prestazioni sanitarie in regime di convenzione con il SSN sottrarrebbe la figura del medico di base convenzionato alla configurabilità del presupposto impositivo ai fini Irap, delineando un’ipotesi di “parasubordinazione” caratterizzata dalla mancanza di significativa organizzazione di mezzi e di risorse umane e da peculiari modalità di determinazione del compenso, di determinazione del numero massimo di assistiti, nonchè da altri vincoli atti a distinguere la figura in esame da quella del medico libero professionista.

Il motivo risulta anch’esso inammissibile e, comunque, manifestamente infondato. Premesso che, secondo l’orientamento di questa Corte, in tema di Irap, “la sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione determina l’assoggettamento del lavoratore autonomo (nella specie, medico convenzionato con il servizio sanitario nazionale) all’imposta, indipendentemente dai riflessi immediati che la stessa cagiona sull’entità del suo reddito, dovendo il giudice del merito accertare, in concreto, i presupposti della fattispecie impositiva, in considerazione della eventuale eccedenza, rispetto al minimo indispensabile per l’esercizio della professione, della dotazione dei mezzi strumentali a disposizione del professionista e delle specifiche modalità qualitative e quantitative delle prestazioni lavorative di cui egli si avvale” (cfr. Sez. 6 – 5, n. 1542 del 27/01/2015, Rv. 634367 – 01), deve escludersi che la figura del medico di base convenzionato, qualificato ai fini che qui occupano quale lavoratore autonomo, possa essere sottratta aprioristicamente dall’area applicativa dell’imposta in esame, essendo invece rimesso al giudice del merito accertare in concreto se la prestazione lavorativa rappresenti quel valore aggiunto idoneo ad accrescere la capacità produttiva del professionista. In tale prospettiva, il motivo, sotto l’aspetto di una insussistente violazione di legge, tende sostanzialmente a sottoporre alla Corte questioni più propriamente attinenti al merito della regiudicanda, come tali sottratte al sindacato di legittimità.

3. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, censurando la decisione della CTR che ha escluso l’assoggettabilità ad Irap del medico convenzionato attraverso “un mero richiamo ai dati del quadro E senza esame motivato dei mezzi impiegati, rimasti inapprezzati e non rapportati ai costi ed al reddito”.

Anche tale motivo risulta inammissibile.

Unitamente alla carenza di autosufficenza del motivo, che non indica nè riproduce quali sarebbero gli elementi di valutazione non esaminati o non correttamente scrutinati dalla CTR, va rilevato che, nella specie, deve trovare applicazione ratione temporis l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il riformulato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 introduce nell’ordinamento un vizio specifico, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); per converso, il semplice mancato, insufficiente o contraddittorio esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. (cfr. Sez. 2, n. 27415 del 29/10/2018 Rv. 651028 – 01; Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014 Rv. 629831 – 01).

Ebbene, nel caso in esame, è evidente come la sentenza impugnata abbia esaminato e risolto affermativamente la questione della sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione sulla base di elementi fattuali quali “l’utilizzo di determinati beni strumentali da parte del professionista” in correlazione con “le prestazioni di lavoro dipendente,” e “le collaborazioni professionali” che si registravano nel caso concreto in capo al contribuente.

In tale prospettiva, ciò che il ricorrente contesta è, ancora una volta, non l’omesso esame di un “fatto” storico (dimostrandone, altresì, il carattere decisivo), ma la valutazione di merito dei dati probatori e degli elementi istruttori concretamente operata dalla CTR, non rientrante, come detto, nel paradigma del “nuovo” n. 5 dell’art. 660 c.p.c., comma 1.

Il ricorso deve essere dichiarato, conclusivamente inammissibile. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, in assenza di attività difensiva svolta dall’Ufficio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, il Collegio dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Nulla sulle spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari à quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019

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