LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –
Dott. BERNAZZANI Paolo – rel. Consigliere –
Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10034-2014 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE BRUNO BUOZZI 102, presso lo studio dell’avvocato GUGLIELMO FRANSONI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati PASQUALE RUSSO, FRANCESCO PADOVANI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 76/2013 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA, depositata il 15/10/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/01/2019 dal Consigliere Dott. BERNAZZANI PAOLO.
RILEVATO
che:
con ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Venezia, la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., quale incorporante di Banca Antonveneta s.p.a., impugnava il provvedimento di rigetto opposto dall’Agenzia delle Entrate in relazione all’istanza di rimborso delle somme versate in eccedenza a titolo di Irap per gli anni di imposta 2005-2008.
Allegava la società contribuente che l’imposta avrebbe dovuto essere calcolata deducendo dalla base imponibile le quote delle svalutazioni sui crediti risultanti dai bilanci della società incorporata relativi agli esercizi precedenti al 2004, in base al criterio di riparto previsto dal t.u.i.r., art. 71, commi 3 e 5 (successivamente, art. 106, comma 3) ed il D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 11-bis nel testo ratione temporis vigente, secondo cui le svalutazioni iscritte a bilancio erano deducibili nell’esercizio corrente fino ad una determinata percentuale del valore del credito iscritto e, per la parte eccedente, in quote costanti nei nove (già sette) esercizi successivi. Ai fini Irap, invero, il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 6,comma 1 – nella versione antecedente alle modifiche introdotte dal D.L. 12 luglio 2004, n. 168, convertito con modificazioni dalla L. 30 luglio 2004, n. 191 – stabiliva, in correlazione con il medesimo D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 11-bis, la deducibilità delle svalutazioni dei crediti operate dagli enti creditizi o finanziari entro gli stessi limiti previsti dalla citata disposizione del t.u.i.r.
In tale prospettiva, le modifiche introdotte dal D.L. n. 168 del 2004, art. 2, comma 2 – secondo cui, a partire dal 2005, dette perdite o svalutazioni non sarebbero state più deducibili ai fini Irap – non avrebbero potuto estendersi retroattivamente anche alle quote attinenti alle svalutazioni operate negli esercizi precedenti a tale anno, ostandovi il disposto della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3.
L’Agenzia, per converso, sosteneva che dalla lettura della normativa contestata emergeva la chiara intenzione del legislatore di escludere dall’imponibile Irap tanto le svalutazioni di crediti quanto i c.d. “noni pregressi”.
La Commissione Provinciale accoglieva il ricorso della contribuente. La CTR del Veneto, adita con ricorso in appello proposto dall’Agenzia, con sentenza n. 76/25/2013 del 24.9.2013/15.10.2013 rigettava il gravame, confermando la decisione di prime cure.
Avverso tale decisione, ha proposto ricorso l’Agenzia, affidato a due motivi. Resiste con controricorso la contribuente. La stessa ha, altresì, depositato memoria.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 11 preleggi, della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3, del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 6, comma 1, lett. n) e art. 11-bis, del D.L. 12 luglio 2004, n. 168, art. 2, comma 2, conv. dalla L. 30 luglio 2004, n. 191, del t.u.i.r., art. 106, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3, del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 6, comma 1, lett. n) e art. 11-bis, del D.L. 12 luglio 2004, n. 168, art. 2, comma 2, conv. dalla L. 30 luglio 2004, n. 191, del t.u.i.r., art. 106, comma 3, e dell’art. 15 preleggi, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
I due motivi possono essere esaminati congiuntamente attesa la loro stretta connessione.
Secondo l’Ufficio ricorrente, la sentenza della CTR avrebbe indebitamente esteso alla determinazione della base imponibile Irap le garanzie di riconoscimento fiscale dei componenti negativi in questione rilevanti ai soli fini delle imposte sul reddito ed avrebbe, così, falsamente applicato il principio di irretroattività della legge fiscale, trascurando che la natura oggettiva e reale dell’Irap implica che la sua base imponibile venga determinata anno per anno in base agli elementi di calcolo del valore della produzione.
Nella medesima prospettiva, l’Agenzia rileva, in particolare, che non incorre nel divieto di retroattività, sancito dalla L. n. 212 del 2000, artt. 1 e 3, l’interpretazione del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 6, come modificato dal D.L. n. 168 del 2004, art. 2, secondo la quale diverrebbero indeducibili, a decorrere dall’esercizio 2005, anche le quote (c.d. “noni pregressi”) delle svalutazioni sui crediti già considerate deducibili ai sensi del t.u.i.r., art. 106, comma 3, dal momento che il diritto alla deduzione in nove quote costanti di tali “noni” non avrebbe un ambito di operatività pluriennale e, quindi, non potrebbe configurarsi come già acquisito al momento dell’entrata in vigore delle predette modifiche normative; di qui la conclusione che le deduzioni consentite nella determinazione del reddito di esercizio potrebbero essere soltanto quelle previste dalla normativa in vigore nell’anno di riferimento, cosicchè, quando la deduzione di una quota non è più consentita da una normativa sopravvenuta, la deduzione stessa non potrebbe più essere operata anche se il suo ammontare è determinato in base a valori capitali contabilizzati in esercizi anteriori.
Secondo la società contribuente, invece, il diritto di imputare al valore della produzione imponibile ai fini Irap i c.d. noni relativi alle svalutazioni operate sui crediti esposti in bilancio si consolida nel periodo di imposta in cui tali rettifiche sono operate ed imputate nel conto economico, t.u.i.r. ex art. 106, comma 3, ed il differimento della deduzione assume valenza meramente finanziaria.
2. I motivi di ricorso sono infondati.
Ai fini di un conveniente inquadramento dei termini della questione giuridica controversa, concernente il regime tributario applicabile ai fini Irap, nella specie con riferimento ad un’impresa esercente attività bancaria, ed alle rettifiche di valore operate su crediti risultanti dal bilancio di esercizio, va premesso che, sulla base del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 6, per le imprese assicurative,, bancarie ed esercenti attività finanziarie, la deduzione delle svalutazioni, al fine della determinazione del valore della produzione netta, sino al 2005 veniva frazionata pro quota nell’esercizio in corso e nei nove esercizi successivi. La ratio della introduzione di tali quote era quella di realizzare un miglior adeguamento della normativa fiscale a quella civilistica, riconoscendo le svalutazioni imputate al conto economico al fine di allineare il valore fiscale del credito a quello risultante in bilancio, con un limite massimo di deducibilità per singolo esercizio.
Tale regime tributario è mutato a partire dall’esercizio 2005 per effetto del D.L. n. 168 del 2004, convertito dalla L. n. 191 del 2004, che ha modificato il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 6, abrogandone le lett. e) ed n) a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del decreto stesso. In attuazione della richiamata modifica legislativa, dunque, dall’anno 2005 le perdite e le svalutazioni dei crediti esposti in bilancio non erano più deducibili ai fini Irap.
3. In mancanza di disposizioni transitorie, non ha mancato di proporsi la questione relativa all’applicabilità della predetta disciplina anche alla deduzione pluriennale dei cd. “noni pregressi” delle svalutazioni e perdite su crediti verso la clientela già realizzate negli esercizi precedenti. In ordine a tale problematica, questa Corte ha adottato un orientamento ormai consolidato, al quale il Collegio intende dare continuità (cfr., fra tutte, Cass. sez. V, 04/04/2012, n. 5403; Cass. sez. V, 21/01/2015, n. 1111; Cass. sez. V, 22/05/2015, n. 10591; Cass., sez. V, 21/12/2016, n. 26547), in virtù del quale appare coerente col quadro normativo di riferimento ritenere che la svalutazione dei crediti risultanti dal bilancio di esercizio determina immediatamente la decurtazione del valore fiscale dei ricavi, onde l’indeducibilità introdotta dal D.L. n. 168 del 2004, art. 2, comma 2, a partire dall’esercizio 2005 non attinge le quote di competenza degli esercizi anteriori, in quanto relative a svalutazioni di crediti operate nei corrispondenti bilanci, ed oggetto, quindi, di una situazione giuridica sostanziale già consolidata.
Pertanto, al differimento della deduzione pluriennale dei “noni pregressi” va attribuita valenza esclusivamente finanziaria, costituendo una semplice modalità di deduzione non incidente sulla competenza fiscale, che resta fissata nell’esercizio in cui il fatto che ha dato erigine alla agevolazione (perdita o svalutazione di crediti) si è realizzato ed è stato rilevato contabilmente. Da ciò discende che la deducibilità in più annualità costituisce un diritto acquisito, sul quale non può avere effetto la predetta modifica legislativa, posto che, diversamente, si verrebbe ad attribuire alla legge successiva valore retroattivo, in violazione del principio di cui all’art. 11 preleggi e, per le leggi tributarie, alla L. n. 212 del 2000, art. 3 (Statuto del contribuente), in mancanza di una chiara previsione di retroattività (cfr. Cass. sez. V, 09/12/2009, n. 25722; Cass. sez. V, 13/04/2012, n. 5853).
In tale quadro, il Collegio concorda con quanto ritenuto, ex multis, da Cass., Sez. 5, n. 5403 del 04/ 4/2012, Rv. 621891 – 01 e da Cass., Sez. 6-5, n. 1111 del 21/01/2015, Rv. 63403 – 01, secondo cui i diversi criteri a fondamento della base imponibile ai fini delle imposte sul reddito rispetto a quella ai fini Irap, o le modifiche introdotte al D.Lgs. n. 446 del 1997 dal D.Lgs. n. 506 del 1999 – artt. 11 e 11 bis – non sono sufficienti ad escludere la stretta correlazione esistente, con specifico riferimento agli anni in contestazione, fra la deducibilità delle svalutazioni in parola ai fini Irpeg ed ai fini Irap, in base al D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 173, art. 16, comma 9, ultimo periodo, cit. che, come sopra evidenziato, con espresso riferimento alle svalutzioni dei crediti nei confronti di assicurati, rinviava alle disposizioni di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 71, commi 3 e 5 – ora art. 106 – ed alla ratio allo stesso sottesa.
Correttamente pertanto, ed indipendentemente dalla natura oggettiva e reale dell’Irap, “la deduzione per noni agli esercizi successivi è stata considerata solo una modalità di deduzione di valori già riconosciuti come fiscalmente rilevanti a far data dall’esposizione nel bilancio di esercizio” (cfr. anche Cass. 4/4/2012, n. 5403).
La sentenza impugnata, pertanto, nel fare sostanziale applicazione di tali principi, si sottrae alle censure formulate dal ricorrente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3.
4. Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate deve essere, pertanto, rigettato Le spese del giudizio vanno compensate fra le parti, in considerazione del fatto che l’orientamento giurisprudenziale di legittimità in materia si è consolidato soltanto in epoca successiva alla proposizione del ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa fra le parti le spese del giudizio.
Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019