Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.17256 del 27/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. BILLI Stefania – rel. Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13759-2015 proposto da:

ROMA CAPITALE, elettivamente domiciliato in ROMA VIA TEMPIO DI GIOVE 21, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO CIAVARELLA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DOMENICO ROSSI;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO RELIGIOSE ORSOLINE UNIONE ROMANA, elettivamente domiciliato in ROMA P.ZZA DELLE CINQUE GIORNATE 2, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO MERLINI, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2164/2014 della COMM. TRIB. REG. di ROMA, depositata il 04/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/02/2019 dal Consigliere Dott. STEFANIA BILLI.

RITENUTO

CHE:

– la controversia ha ad oggetto l’impugnativa di avvisi di accertamento riguardanti l’omesso versamento dell’ICI per gli anni dal 2003 al 2006, oltre sanzioni e interessi riferiti ad alcuni immobili dell’Istituto Religiose Orsoline Unione Romana, ritenuti dal comune di Roma Capitale non esenti dall’imposta ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i;

– la C.T.R. del Lazio con sentenza depositata il 4 aprile 2014, confermando la Commissione tributaria provinciale, ha accolto il ricorso dell’istituto contribuente sulla base delle seguenti considerazioni: è da escludere l’omessa motivazione della sentenza di primo grado; non risulta violato il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, con la conseguenza che gli immobili per cui è causa possono beneficiare dell’agevolazione;

– avverso la sentenza ricorre il comune, mentre il contribuente, resiste con controricorso.

CONSIDERATO

CHE:

1. Con un unico motivo d’impugnazione il comune lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7; in particolare, si duole che abbia ritenuto la sussistenza dell’esenzione prevista dall’articolo da ultimo citato, nonostante la sussistenza nella fattispecie di elementi comprovanti la commercialità dell’attività esercitata negli immobili oggetto di accertamento e lo svolgimento di attività diverse da quelle indicate nel citato art. 7.

1.1. Il motivo è fondato.

1.2. Il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), nel testo vigente dal 01/01/2003 al 03/10/2005 disponeva l’esenzione ICI per “gli immobili utilizzati dai soggetti di cui al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87, comma 1, lett. c), e successive modificazioni, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive”.

Tale art. 7, è stato integrato e modificato, dal D.L. n. 203 del 2005, art. 7, comma 2 bis, convertito in L. n. 248 del 2005, che aveva esteso l’esenzione alle attività indicate dalla medesima lettera a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse.

La norma ha, poi subito, un’ulteriore modificazione, con il D.L. n. 223 del 2006, art. 39, convertito con modificazioni nella L. 248 del 2006 che, sostituendo il cit. art. 7, comma 2 bis, ha stabilito che l’esenzione disposta dal D.Lgs. n. 504 del 1992 art. 7, comma 1, lett. i), si intende applicabile alle attività indicate nella medesima lettera “che non abbiano esclusivamente natura commerciale”.

Le modifiche legislative ora riportate non si applicano retroattivamente, trattandosi di disposizioni che hanno carattere innovativo e non interpretativo (in questo senso Cass. n. 14530 del 2010; Cass. n. 14795 del 2015).

Occorre precisare, inoltre, che le condizioni dell’esenzione sono cumulative nel senso che è richiesta la coesistenza, sia del requisito soggettivo riguardante la natura non commerciale dell’ente, sia del requisito oggettivo in forza del quale l’attività svolta nell’immobile deve rientrare tra quelle previste dall’art. 7 citato; deva trattarsi, in particolare, di immobili destinati direttamente ed in via esclusiva allo svolgimento di determinate attività tra le quali quelle dirette all’esercizio del culto ed alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi e all’educazione cristiana (cfr. Cass. n. 13966 del 2016).

Con riguardo alla verifica del requisito oggettivo è, pertanto, irrilevante, la destinazione degli utili eventualmente ricavati al perseguimento di fini sociali o religiosi; tale elemento, costituendo una fase successiva, non fa, infatti, venir meno il carattere commerciale dell’attività (Cass. n. 24500 del 2009).

Sotto il profilo della distribuzione degli oneri probatori è stato affermato ed è un principio del tutto condiviso da questo collegio che “il contribuente ha l’onere di dimostrare l’esistenza, in concreto, dei requisiti dell’esenzione, mediante la prova che l’attività cui l’immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti non sia svolta con le modalità di un’attività commerciale” (Cass. n. 6711 del 2015).

Sul diverso versante della compatibilità della norma in esame con il diritto unitario, da tempo si è affermato un orientamento di legittimità secondo cui deve tenersi conto della decisione della Commissione dell’Unione Europea del 19 dicembre 2012. Tale pronuncia ha verificato se il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), in tema di esenzione ICI, nelle sue diverse formulazioni succedutesi nel tempo, concretizzasse una forma di aiuto di Stato in violazione del diritto dell’Unione, in particolare con il Trattato, art. 107, paragrafo 1, che dispone: “sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza”. E’ stato, poi, precisato che anche un ente senza fine di lucro può svolgere attività economica, cioè offrire beni o servizi sul mercato. La finalità sociale dell’attività svolta non è, dunque, di per sè sufficiente ad escluderne la classificazione in termini di attività economica.

Per escludere la natura economica dell’attività è necessario che essa sia svolta a titolo gratuito o dietro il versamento di un importo simbolico. Da tali rilievi consegue l’irrilevanza delle argomentazioni sulle finalità solidaristiche che connotano le attività svolte dalla parte contribuente.

1.3. Nel caso di specie con riguardo agli avvisi di accertamento relativi agli anni dal 2003 al 2005, alla luce di quanto sopra esposto in relazione all’irretroattività, trova applicazione la normativa anteriormente vigente, mentre per l’imposta relativa all’anno 2006 la disciplina come successivamente modificata.

Nel merito la stessa parte contribuente afferma nel controricorso che l’immobile oggetto di accertamento è esclusivamente destinato dalle religiose dell’Istituto ad un’attività ricettiva. In particolare il fabbricato è utilizzato in parte come “studentato universitario”, in parte a “turismo religioso”, in parte alla “convivenza religiosa”.

Non vi è dubbio, pertanto, che si possa parlare nel caso di specie di esercizio di attività economica.

Nè può tenersi conto della circolare ministeriale (29 gennaio 2009) esplicativa dei criteri utili per stabilire quando le attività di cui all’art. 7 lett. i), debbano essere considerate di natura “non esclusivamente commerciale”. La Commissione UE nella pronuncia sopra richiamata ha ritenuto, infatti, che l’applicazione dei criteri di cui alla citata circolare non vale ad escludere la natura economica delle attività interessate ed ha concluso nel senso che l’esenzione di cui all’art. 7 citato, costituisce aiuto di Stato. In quella ipotesi, tuttavia, non è stato ritenuto possibile ordinare il recupero delle somme.

Tale ultimo aspetto è stato di recente affrontato e risolto dalla sentenza della CGUE del 6 novembre 2018, (cause riunite C-622/16 P – C-623/16 P, C-624/16). E’ stato chiarito, infatti, che l’ordine di recupero di un aiuto illegale è la logica e normale conseguenza dell’accertamento della sua illegalità e che diversamente si farebbero perdurare gli effetti anticoncorrenziali della misura. In questo senso è stato precisato che le decisioni della Commissione volte ad autorizzare o vietare un regime nazionale hanno portata generale.

Deve quindi concludersi, dando seguito a un orientamento di legittimità di recentemente espresso (Cass. n. 4066 del 2019), che l’esenzione prevista in favore degli enti non commerciali dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), è compatibile con il divieto di aiuti di Stato sancito dalla normativa dell’Unione Europea solo qualora abbia ad oggetto immobili destinati allo svolgimento di attività non economica nei termini sopra precisati: quando l’attività sia svolta a titolo gratuito ovvero dietro il versamento di un corrispettivo simbolico.

La sentenza impugnata non ha fatto buon governo dei principi ora enunciati, avendo riconosciuto il ricorrere dei presupposti dell’esenzione senza in alcun modo chiarirne le ragioni, laddove avrebbe dovuto accertare se le predette attività fossero in concreto esercitate con modalità non commerciali nei termini sopra esposti.

2. Segue l’accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio alla commissione tributaria per il Lazio, in diversa composizione per il riesame nei termini sopra esposti ed anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla commissione tributaria per il Lazio, in diversa composizione per il riesame nei termini sopra esposti ed anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019

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