Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.17257 del 27/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. BILLI Stefania – rel. Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24718-2015 proposto da:

ASSOCIAZIONE SAN GIUSEPPE CAFASSO, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZALE CLODIO 32, presso lo studio dell’avvocato LIDIA SGOTTO CIABATTINI, rappresentato e difeso dall’avvocato FABIO BROGLIA;

– ricorrente –

contro

ROMA CAPITALE, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEL TEMPIO DI GIOVE 21, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO ROSSI, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5453/2014 della COMM. TRIB. REG. di ROMA, depositata il 09/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/02/2019 dal Consigliere Dott. STEFANIA BILLI.

RITENUTO

CHE:

– la controversia ha ad oggetto l’impugnativa di tre avvisi di accertamento riguardanti l’omesso versamento dell’ICI per gli anni dal 2003 al 2005 dell’Associazione San Giuseppe Cafasso, riferiti ad alcuni immobili, ritenuti dal comune di Roma Capitale non esenti dall’imposta ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i;

– C.T.R. del Lazio con sentenza depositata il 18 giugno 2014, riformando la Commissione tributaria provinciale, ha accolto il ricorso del comune;

– avverso la sentenza ricorre la parte contribuente, mentre il comune, resiste con controricorso.

CONSIDERATO

CHE:

1. La parte contribuente propone due motivi di ricorso. Con il primo motivo d’impugnazione lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7; in particolare, ci si duole che la pronuncia impugnata abbia ritenuto la sussistenza di un onere probatorio a carico del contribuente per fruire dell’esenzione di cui alla norma sopra richiamata.

1.1. Il motivo è infondato.

1.2. Il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7 comma 1 lett. i), nel testo vigente dal 01/01/2003 al 03/10/2005 disponeva l’esenzione ICI per “gli immobili utilizzati dai soggetti di cui al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87, comma 1, lett. c), e successive modificazioni, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive”.

Tale art. 7, è stato integrato e modificato, dal D.L. n. 203 del 2005, art. 7, comma 2 bis, convertito in L. n. 248 del 2005, che aveva esteso l’esenzione alle attività indicate dalla medesima lettera a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse.

La norma ha, poi subito, un’ulteriore modificazione, con il D.L. n. 223 del 2006, art. 39, convertito con modificazioni nella L. 248 del 2006 che, sostituendo il cit. art. 7, comma 2 bis, ha stabilito che l’esenzione disposta dal D.Lgs. n. 504 del 1992 art. 7, comma 1, lett. i), si intende applicabile alle attività indicate nella medesima lettera “che non abbiano esclusivamente natura commerciale”.

Le modifiche legislative ora riportate non si applicano retroattivamente, trattandosi di disposizioni che hanno carattere innovativo e non interpretativo (in questo senso Cass. n. 14530 del 2010; Cass. n. 14795 del 2015).

Occorre precisare, inoltre, che le condizioni dell’esenzione sono cumulative nel senso che è richiesta la coesistenza, sia del requisito soggettivo riguardante la natura non commerciale dell’ente, sia del requisito oggettivo in forza del quale l’attività svolta nell’immobile deve rientrare tra quelle previste dal cit. art. 7; deve, in particolare, trattarsi di immobili destinati direttamente ed in via esclusiva allo svolgimento di determinate attività tra le quali quelle dirette all’esercizio del culto ed alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi e all’educazione cristiana (cfr. Cass. n. 13966 del 2016).

Con riguardo alla verifica del requisito oggettivo è, pertanto, irrilevante, la destinazione degli utili eventualmente ricavati al perseguimento di fini sociali o religiosi; tale elemento, costituendo una fase successiva, non fa, infatti, venir meno il carattere commerciale dell’attività (Cass. n. 24500 del 2009).

Sotto il profilo della distribuzione degli oneri probatori è stato affermato ed è un principio del tutto condiviso da questo collegio che “il contribuente ha l’onere di dimostrare l’esistenza, in concreto, dei requisiti dell’esenzione, mediante la prova che l’attività cui l’immobile è destinato, pur rientrando tra quelle esenti non sia svolta con le modalità di un’attività commerciale” (Cass. n. 6711 del 2015).

Sul diverso versante della compatibilità della norma in esame con il diritto unitario, da tempo si è affermato un orientamento di legittimità secondo cui deve tenersi conto della decisione della Commissione dell’Unione Europea del 19 dicembre 2012. Tale pronuncia ha verificato se il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. i), in tema di esenzione ICI, nelle sue diverse formulazioni succedutesi nel tempo, concretizzasse una forma di aiuto di Stato in violazione del diritto dell’Unione, in particolare con il Trattato, art. 107, paragrafo 1, che dispone: “sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza”. E’ stato, poi, precisato che anche un ente senza fine di lucro può svolgere attività economica, cioè offrire beni o servizi sul mercato. La finalità sociale dell’attività svolta non è, dunque, di per sè sufficiente ad escluderne la classificazione in termini di attività economica.

Per escludere la natura economica dell’attività è necessario che essa sia svolta a titolo gratuito o dietro il versamento di un importo simbolico. Da tali rilievi consegue l’irrilevanza delle argomentazioni sulle finalità solidaristiche che connotano le attività svolte dalla parte contribuente.

1.3. Nel caso di specie, alla luce di quanto sopra esposto in relazione all’irretroattività, trattandosi di avvisi di accertamento relativi agli anni dal 2003 e 2005, trova applicazione la normativa nella versione originaria.

1.4. Nella fattispecie, la parte contribuente non ha assolto l’onere probatorio, posto a suo carico, circa la natura non commerciale dell’attività svolta.

A nulla rileva la circostanza che la stessa abbia prodotto in giudizio il provvedimento relativo al riconoscimento della personalità giuridica, nè assume rilevanza la circostanza che abbia provato al sua natura di associazione “laica”. In proposito, per un verso si osserva che nei precedenti gradi di giudizio non è mai stato posto in contestazione il profilo relativo al requisito soggettivo richiesto per usufruire dell’esenzione; sotto un diverso aspetto, il collegio non ritiene di doversi discostare dal consolidato principio, espresso dalla S.C., secondo cui: “La sussistenza del requisito oggettivo – che in base ai principi generali è onere del contribuente dimostrare – non può essere desunta esclusivamente sulla base di documenti che attestino “a priori” il tipo di attività cui l’immobile è destinato, occorrendo invece verificare che tale attività, pur rientrante tra quelle esenti, non sia svolta, in concreto, con le modalità di un’attività commerciale..” (Cass. n. 4585 del 2008).

Alla luce dei principi sopra richiamati e del tutto condivisi da questo collegio, la sentenza impugnata ha, dunque, fatto, buon governo dei principi esposti, ponendo a carico della parte contribuente l’onere probatorio circa la natura non commerciale dell’attività svolta e ritenendo l’insufficienza, ai fini dell’applicazione dell’esenzione per cui è causa, della documentazione che attesti a priori il tipo di attività cui l’immobile è destinato.

2. Con il secondo motivo la parte contribuente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatti decisivi, oggetto di discussione tra le parti; in particolare, censura che il giudice di secondo grado non abbia esaminato l’eccezione relativa alla mancanza di accertamenti di fatto, avendo il comune fondato la pretesa impositiva solo su accertamenti d’ufficio.

2.1. Il motivo è infondato, in quanto la sentenza impugnata ha risolto la controversia sul profilo della mancata assoluzione dell’onere probatorio da parte della contribuente, questione che si pone a monte della valutazione delle risultanze istruttorie.

3. Segue il rigetto del ricorso e le spese del presente giudizio vengono liquidate sulla base del principio della soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la parte contribuente a pagare in favore del comune le spese di lite del presente giudizio, che liquida nell’importo di Euro 1400,00 per compensi, oltre rimborso e spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019

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