Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.17265 del 27/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4192-2015 proposto da:

C.G., domiciliato in ROMA P.ZZA CAVOUR, presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato FABIO PACE (avviso postale ex art. 135);

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 91/2013 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA, depositata il 17/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 28/03/2019 dal Consigliere Dott. ANDREA VENEGONI.

RITENUTO

che:

Il contribuente C.G. esponeva di essere stato dirigente dell’Enel e di avere usufruito di una polizza sulla vita ed invalidità permanente, poi convertita, con effetto dall’1.1.1986, in trattamento di previdenza integrativa aziendale (PIA), organismo istituito in data anteriore al 28.4.1993.

Tale organismo successivamente trasferiva la posizione individuale del contribuente nell’ambito del c.d. Fondo Enel.

Al momento della cessazione del rapporto di lavoro, sulla liquidazione corrispostagli veniva applicata una ritenuta uguale a quella applicata sull’indennità di fine rapporto, mentre secondo il contribuente la ritenuta avrebbe dovuto essere quella del 12,50% prevista per i redditi di capitale, come per le erogazioni a fronte di polizze vita, quale doveva considerarsi quella in questione.

Chiedeva pertanto il rimborso dell’eccedenza trattenuta, ritenendo che la somma corrisposta fosse sempre un pagamento da polizza assicurativa e non, come riteneva l’ufficio, una prestazione pensionistica aziendale.

Impugnava il diniego dell’Amministrazione davanti alla CTP di Piacenza che accoglieva il ricorso.

L’ufficio proponeva appello e la CTR dell’Emilia Romagna lo accoglieva.

Il contribuente ricorreva allora a questa Corte che, con ordinanza n. 3429 del 2012, accoglieva il ricorso cassando con rinvio la sentenza impugnata.

Il contribuente riassumeva il procedimento e la CTR dell’Emilia Romagna rigettava la domanda, affermando che non vi era la prova dell’investimento dei relativi capitali sul mercato, e quindi del c.d. rendimento da assoggettare a tassazione agevolata.

Per l’annullamento di tale sentenza ricorre nuovamente a questa Corte il contribuente sulla base di sette motivi.

Resiste l’ufficio con controricorso.

Sia il contribuente che l’ufficio hanno depositato memorie.

CONSIDERATO

Che:

Con il primo motivo il contribuente deduce violazione o falsa applicazione della L. 482 del 1995, art. 6, dell’art. 42, comma 4, tuir (nel testo applicabile ratione temporis), del D.L. n. 669 del 1986, art. 1, comma 5, conv. In L. n. 30 del 1997, artt. 16 e 17 tuir, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 Il rendimento cui fa riferimento l’ordinanza n. 3429 del 2012 che ha determinato il giudizio di rinvio è il mero rendimento di polizza, applicabile alle fattispecie PIA come quella in questione, e non il rendimento derivante dalla gestione sul mercato, applicabile al fondo Fondenel.

Il motivo è infondato.

E’ vero che la sentenza n. 3429 del 2012 di questa Corte, da cui deriva il giudizio di rinvio, menziona esclusivamente il “rendimento” per assoggettare l’importo al 12,50%, ma questa stessa Corte in più occasioni (si vedano tra le altre sez. V, n. 30383 del 2011 e 15853 del 2018) ha chiarito che per” rendimento” si intende quello derivante dalla gestione del capitale sul mercato; quindi, non necessariamente sul mercato finanziario, ma certamente sul mercato.

Il principio affermato dalla CTR nella sentenza impugnata, che testualmente afferma che “con l’espressione rendimento deve intendersi il rendimento netto, imputabile alla gestione sul mercato da parte del fondo del capitale accantonato”) appare quindi, sotto questo profilo, corretto.

Con il secondo motivo deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 115 e 167 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Il contribuente ha prodotto documentazione fin dai gradi di merito attestante il rendimento, e l’ufficio non ha mai contestato questo dato.

Il motivo è infondato La CTR non ha fatto errata applicazione dei principi sull’onere della prova, ma ha ritenuto, con giudizio di fatto non sindacabile in questa sede, che la documentazione prodotta non adempisse a tale onere per provare il “rendimento sul mercato” secondo quanto precisato nel motivo precedente.

Afferma, infatti, la sentenza che dal documento prodotto dal contribuente, una perizia, emerge che sia le somme versate dal lavoratore che quelle a carico della società sono state investite nella struttura aziendale dell’Enel anzichè sui mercati finanziari, cosicchè il rendimento determinato in esso non fa riferimento all’investimento sui mercati.

Queste considerazioni superano quindi l’invocata non contestazione da parte dell’ufficio, perchè la CTR afferma che ciò che il contribuente aveva provato non era il rendimento derivante dalla gestione sul mercato, e quindi, in altri termini, non vi è nulla che si possa dare per non contestato, non essendo determinante ciò che emerge dal documento prodotto dal contribuente.

Con il terzo motivo deduce violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 7 e 63, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

La CTR non ha erroneamente esercitato poteri di integrazione della prova di ufficio, ponendo l’onere probatorio ad esclusivo carico del contribuente, ignorando che quest’ultimo aveva già fornito almeno un principio di prova, rappresentato dalla certificazione sull’ammontare del rendimento in atti.

Il motivo è infondato.

La CTR ha, evidentemente, ritenuto che non vi fosse stato alcun principio di prova, ma che il contribuente non avesse dato prova del rendimento sul mercato; ha ritenuto, pertanto, di essere in una situazione di carenza di prova, con giudizio di merito non sindacabile in questa sede.

Con il quarto motivo deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1 e dell’art. 163 c.p.c., nn. 4 e 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Non è compito del giudice indicare i mezzi di prova che le parti devono proporre.

Il motivo è infondato, non avendo qui la CTR operato in tal senso, ma avendo la stessa solo ricordato il principio che emerge dalla giurisprudenza, secondo cui l’aliquota agevolata è applicabile solo alle somme rappresentanti il rendimento sui mercati. Certo, questo significa che è onere del contribuente dimostrare che l’importo è il frutto di tale tipo di investimento, ma ciò non vuol dire che il giudice abbia indicato alle parti i mezzi di prova che essi devono proporre.

Con il quinto motivo deduce illegittimità della sentenza impugnata per omesso esame, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, del fatto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nella individuazione della tipologia di rendimento.

Il motivo è infondato.

Menzionando espressamente i rendimenti derivanti dalla gestione sui mercati finanziari, la CTR ha indicato a quale tipologia di rendimento faceva riferimento per applicare l’aliquota agevolata.

Con il sesto motivo deduce illegittimità della sentenza impugnata per omesso esame, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, del fatto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nella quantificazione del rendimento.

La CTR non ha tenuto conto del contenuto della certificazione in atti che attestava la distinzione del rendimento dal capitale.

Il motivo è infondato.

La CTR ha, in realtà, tenuto conto della produzione di parte, ma ha ritenuto questa certificazione irrilevante e non sufficiente perchè non indica quale è l’importo del rendimento derivante dalla gestione sul mercato.

Con il settimo motivo deduce violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 63 e degli artt. 384 e 392 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

La CTR ha disatteso gli obblighi e vincoli derivanti dal giudizio di rinvio, rimettendo in discussione l’an. Il motivo è infondato.

La sentenza di annullamento ha espresso il principio secondo cui:

“In tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, ad un Fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti ed a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31.12.2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a) e art. 17 (T.U.I.R.), solo per quanto riguarda la sorte capitale corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del c.d. rendimento si applica la ritenuta del 12.50%, prevista dalla L. n. 482 del 1985, art. 6; b) per gli importi maturati a decorrere dall’1.1.2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui all’art. 16, comma 1, lett. a)”;

la CTR ha applicato tale principio, in linea con quella che è stata l’interpretazione dello stesso della giurisprudenza.

Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.

Considerata, peraltro, la particolarità della questione, sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese.

Tuttavia, trattandosi di ricorso notificato in data successiva al 30 gennaio 2013, il rigetto dello stesso determina la necessità di dare atto del presupposto per il versamento del contributo unificato raddoppiato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussiste indipendentemente dalla compensazione delle spese (tra le altre, sez. V, n. 13803 del 2019).

PQM

rigetta il ricorso.

Compensa tra le parti le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019

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