LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23145/2012 R.G. proposto da HOME SWEET HOME SRL CON SOCIO UNICO, rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Maria Cipolla, elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Roma, via Giuseppe Mazzini n. 134.
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato.
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Friuli-Venezia Giulia, sezione n. 11, n. 42/11/12, pronunciata il 19/04/2012, depositata il 14/05/2012.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 maggio 2019 dal Consigliere Dott. Guida Riccardo.
RILEVATO
che:
1. Home Sweet Home Srl, con socio unico, con sede legale in Cervignano del Friuli (UD), esercente l’attività di “lavori generali di costruzioni di edifici”, impugnò, innanzi alla CTP di Udine, l’avviso di accertamento che recuperava a tassazione, ai fini IRES, IRAP, IVA, per l’annualità 2004, ricavi non dichiarati, per un ammontare di Euro 395.700,00, derivanti dalla vendita di unità immobiliari, in seguito a una verifica della Guardia di Finanza che, sulla base di una serie di elementi presuntivi (prezzo dichiarato nei contratti di vendita inferiore ai valori OMI, contratti di mutuo stipulati dagli acquirenti per importi superiori al prezzo di acquisto degli immobili indicato nel rogito, differenze di prezzo tra unità immobiliari aventi le stesse caratteristiche), e delle indagini bancarie sui conti correnti intestati agli acquirenti, aveva indotto l’Organo fiscale a ritenere inattendibili i corrispettivi dichiarati dalla società venditrice;
la CTP, con sentenza n. 196/02/2010, rigettò il ricorso;
2. la contribuente ha appellato la decisione di primo grado e la CTR friulana, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato il gravame, rilevando che, diversamente da quanto sostenuto dalla società, l’Amministrazione finanziaria non aveva fatto illegittimo ricorso alla presunzione legale del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32, comma 1, lett. b), non essendo i conti correnti intestati alla società, ma a terzi ad essa estranei, e invece aveva correttamente utilizzato il metodo d’accertamento analitico-induttivo, del citato D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d); si era, pertanto, fatto legittimo ricorso ad una duplice serie di elementi presuntivi, ossia agli accertamenti bancari sui conti intestati a terzi e alle presunzioni semplici previste da quest’ultima norma, consistenti, nella specie, nella divergenza tra i prezzi dichiarati, da una parte, e i valori OMI o i prezzi di compravendita di unità immobiliari simili, trasferite nello stesso arco temporale, dall’altra, e, ancora, nel prelievo di contanti dai conti correnti bancari, da parte degli acquirenti, in concomitanza con i rogiti di compravendita e, infine, nel reperimento di preliminari recanti prezzi maggiori di quelli menzionati nei conseguenti atti di trasferimento immobiliare;
3. la contribuente ricorre, con tre motivi, illustrati anche con una memoria, per la cassazione di questa sentenza della CTR, mentre l’Agenzia resiste con controricorso;
4. il ricorso è stato trattato all’odierna udienza camerale a seguito d’avviso notificato con invio telematico a mezzo PEC.
CONSIDERATO
che:
1. con il primo motivo del ricorso, denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, la società censura la decisione della CTR che avrebbe fondato il proprio convincimento sulla base delle risultanze dei prelevamenti bancari compiuti dai clienti (acquirenti degli immobili) della società venditrice, sui propri conti personali, sebbene tali risultanze, in mancanza di un collegamento organico (familiare o di altra natura) tra i titolari dei conti e la stessa società venditrice, costituissero, al più, un mero indizio dell’asseriva evasione fiscale contestata a quest’ultima;
1.1. il motivo è inammissibile;
è ius receptum che il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, vigente catione temporis, di: “omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione” attiene necessariamente a un: “fatto controverso e decisivo per il giudizio”, ossia a un fatto storico-naturalistico, principale o secondario, risultante dalla sentenza o dagli atti processuali, dedotto con un’esposizione chiara e sintetica, in relazione al quale si assume un vuoto argomentativo (omessa motivazione), oppure la carenza della trama argomentativa che la renda inidonea a dare conto delle ragioni della decisione (insufficiente motivazione) o, infine, un percorso argomentativo incomprensibile per l’insuperabile contrasto tra asserzioni inconciliabili (motivazione contraddittoria) (cfr., ex multis, Cass. 29/07/2015, n. 15997; Cass. 29/07/2011, n. 16655);
nel caso in esame, è dato rilevare che la ricorrente, in sostanza, non si duole di un vizio del percorso argomentativo della decisione impugnata, ma lamenta, in modo non consentito, che la CTR sarebbe incorsa in un errore giuridico, per avere contra legem qualificato la verifica fiscale come accertamento analitico-induttivo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), non avvedendosi che si trattava, invece, di un accertamento induttivo, fondato, erroneamente, sull’ammontare dei prelievi in contante, dai propri conti correnti, ad opera degli acquirenti degli immobili;
2. con il secondo motivo, denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, la ricorrente censura la decisione della CTR che avrebbe erroneamente omesso di annullare l’atto impositivo, fondato, dal punto di vista del quantum del maggiore reddito ripreso a tassazione, esclusivamente, e in modo diretto, sulla presunzione di ricavi basata sui prelievi bancari non giustificati, laddove tali prelievi erano riferiti a soggetti (gli acquirenti degli immobili) totalmente estranei al soggetto verificato (la società cedente gli immobili), e in mancanza della dimostrazione, da parte dell’Ufficio, della riferibilità degli stessi conti correnti alla società, come invece prescritto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2;
3. con il terzo motivo, denunciando, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 2729,2697, c.c., la ricorrente censura la decisione della CTR che avrebbe errato nel ritenere che l’Amministrazione finanziaria avesse assolto all’onere di dimostrare l’ammontare dei ricavi non dichiarati sulla base di elementi presuntivi, quali i prelievi sui conti degli acquirenti che, non potendo assurgere a presunzioni legali, ai sensi del detto D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, costituivano presunzioni semplici, le quali, in generale, assumono valenza probatoria solo in quanto gravi, precise e concordanti;
3.1. il secondo e il terzo motivo, da esaminare congiuntamente per connessione, sono infondati;
vale la premessa che la prova dell’esistenza di attività non dichiarate, derivanti da cessioni di immobili, può essere desunta anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti (Cass. 20429/2014; 9474/2017; 11439/2018), secondo ordinari criteri di accertamento analitico-induttivo (art. 39 TUIR);
nella presente controversia tributaria, la CTR, attenendosi a questo principio, ha ravvisato la legittimità dell’accertamento dei ricavi non dichiarati alla luce di una serie convergente di indici presuntivi (vedi supra), in sè non contestati dalla contribuente, ed è pervenuta alla conclusione inappuntabile sul piano giuridico, perchè anch’essa coerente con il metodo di accertamento analitico-induttivo – che l’entità dello scostamento tra il prezzo dichiarato nei contratti di compravendita e quello effettivo corrispondesse all’ammontare dei prelevamenti, compiuti dagli acquirenti sui propri conti bancari, in prossimità della stipula dei rogiti, dei quali questi ultimi, in fase amministrativa, non avevano fornito alcuna giustificazione agli organi accertatori;
4. alla stregua di tali considerazioni, inammissibile il primo motivo, infondati il secondo e il terzo, il ricorso è rigettato;
5. le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.800,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 15 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019