Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.17273 del 27/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16128/2013 R.G. proposto da:

S.J., rappresentato e difeso dall’avv. Marco Di Porto, elettivamente domiciliato presso il suo studio, in Roma, viale Glorioso n. 18.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione n. 22, n. 93/22/13, pronunciata il 30/01/2013, depositata il 4/03/2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 maggio 2019 dal Consigliere Dott. Guida Riccardo.

RILEVATO

che:

1. con ricorso alla CTP di Roma, S.J. impugnò l’avviso di accertamento IRPEF recante un maggiore reddito di partecipazione alla David of Rome di J.S. e C. Snc, della quale egli era socio con una quota del 75%, conseguente all’avviso diretto alla società, anch’esso impugnato dinanzi allo stesso giudice, che recuperava a tassazione Euro 127.802,00;

la CTP romana, riuniti i ricorsi, con sentenza n. 461/17/2010, li rigettò;

2. il contribuente ha appellato la decisione di primo grado, in relazione al capo che lo vedeva soccombente, e la CTR del Lazio, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato il gravame, rilevando la legittimità della ricostruzione, con metodo induttivo, dei ricavi, che l’Amministrazione finanziaria aveva desunto dal ricarico applicabile alla merce, pressochè integralmente costituita dalle vendite (ad acquirenti stranieri) c.d. “tax free”, le cui fatture riportano l’indicazione dell’IVA sull’acquisto, ferma la constatazione che la società non aveva addotto alcun elemento specifico idoneo a dimostrare l’erroneità della determinazione del ricarico;

il giudice d’appello, infine, ha rimarcato che l’avviso d’accertamento oggetto del gravame, recante il maggiore reddito di partecipazione attribuito al socio S.J., era direttamente conseguente all’atto impositivo a carico della società;

3. il contribuente ricorre, per due motivi, per la cassazione di questa sentenza della CTR; l’Agenzia resiste con controricorso;

4. il ricorso è stato trattato all’odierna udienza camerale a seguito d’avviso notificato con invio telematico a mezzo PEC.

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo del ricorso, denunciando “il vizio di omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio.”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il ricorrente censura la decisione della CTR, per non avere illustrato le ragioni per le quali la percentuale di ricarico applicata alla vendita della merce a turisti residenti in paesi extracomunitari si doveva desumere dalle fatture di vendita tax free, anche in considerazione del fatto che la società aveva versato in atti “la specifica documentazione”, la cui produzione era stata erroneamente negata dalla CTR;

1.1. il motivo è inammissibile;

posto che la sentenza della CTR è stata pubblicata il 4/03/2013, il motivo di ricorso è quello dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nella nuova formulazione introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che si applica in relazione alle sentenze d’appello pubblicate a partire dall’11/09/2012;

secondo l’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte: “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.” (Cass. sez. un. 7/04/2014, n. 8053);

nel caso in esame la critica alla decisione della CTR consiste nell’inammissibile negazione del suo sviluppo motivazionale, senza la necessaria indicazione di alcuna delle specifiche anomalie del sostrato argomentativo della decisione, secondo i detti principi enunciati dalle sezioni unite;

2. con il secondo motivo, denunciando violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, il ricorrente censura l’affermazione della sentenza d’appello, secondo cui la società contribuente avrebbe dovuto dimostrare che nelle fatture di vendita tax free non era stata indicata l’IVA in acquisto, posto che lo stesso art. 21 non prevede, tra i requisiti formali della fattura, il costo di acquisto;

2.1. il motivo è inammissibile;

la censura in esso formulata non è pertinente alla ratio decidendi della sentenza impugnata che, in sostanza, non fa leva su ipotetiche carenze dei requisiti formali delle fatture di vendita, in sè considerate, ma riconosce la legittimità dell’accertamento induttivo del maggiore reddito della società, sulla base del ricarico della merce venduta, quale elemento risultante da meri calcoli matematici, posto che le fatture di vendita tax free riportavano – appunto – l’IVA assolta per l’acquisto della merce;

3. ne consegue l’inammissibilità del ricorso;

4. le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso, condanna il ricorrente a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.300,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019

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