LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –
Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 16/2018 proposto da:
C.S., domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Manieri Massimo, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero Dell’interno, Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1781/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, del 03/10/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/12/2018 dal Cons. Dott. Giuseppe De Marzo;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per l’inammissibilità e, in subordine, per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza depositata il 3 ottobre 2017 la Corte d’appello di L’Aquila ha rigettato l’appello proposto da C.S. nei confronti dell’ordinanza del Tribunale di L’Aquila di diniego del riconoscimento, in suo favore, dello status di rifugiato o, in subordine, della protezione sussidiaria o, in ulteriore subordine, della protezione umanitaria, a conferma della decisione assunta dalla Commissione territoriale di Foggia.
2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: a) con riferimento alla richiesta di protezione umanitaria che, nella storia personale dell’appellante, non era dato rilevare le ragioni per le quali egli ritenesse di essere esposto a minaccia grave ed individuale, a causa degli elementi peculiari della sua posizione personale, e che dai più recenti rapporti informativi sulla situazione del Mali emergeva un progressivo miglioramento delle condizioni di sicurezza del Paese e, in particolare, del centro sud, ossia delll’area dalla quale proveniva il C.; b) che, rispetto a tale situazione, l’appellante non era stato in grado di indicare dettagli di rilievo o elementi sintomatici e significativi idonei a giustificare approfondimenti concernenti la sua situazione personale; c) con riferimento alla richiesta di permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, l’appellante, la cui identità non era stata accertata, essendo il nominativo riportato un alias, non aveva fornito alcun riferimento specifico in ordine alla propria condizione personale, in riferimento alle condizioni ambientali della città nella quale viveva.
3. Avverso tale sentenza è stato proposto, nell’interesse del C., ricorso per cassazione affidato a due motivi. L’intimato non ha svolto attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, nonchè del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14, nonchè vizi motivazionali, in relazione al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria, per avere la Corte territoriale: a) da un lato, affermato che quest’ultima richiede il mero collegamento tra il richiedente e un territorio in stato di conflitto armato interno, indipendentemente dalla sua situazione personale e, dall’altro, imposto al ricorrente un onere di allegazione e, per quanto possibile, di dimostrazione della personale esposizione ad una minaccia grave ed individuale a causa degli elementi peculiari della sua posizione personale.; b) erroneamente ritenuto che la situazione del Mali non fosse inquadrabile nelle fattispecie astratte di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, anche alla luce della gravità della situazione del Mali, quale emergente anche dal sito web di Amnesty International.
La ricorrenza dell’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è stata esclusa alla luce delle acquisite informazioni sul Paese, da cui si desume che nella regione da cui proviene il richiedente (nel sud ovest del Paese) non sussiste una situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”. Tale accertamento implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il cui risultato può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: il motivo non indica il fatto decisivo il cui esame sarebbe stato omesso e che avrebbe condotto ad una decisione differente, ma, richiamando imprecisate diverse fonti fatte proprie da giurisprudenza di merito, tende a sollecitare un’impropria rivisitazione dei fatti relativi ai paventati rischi in caso di rientro nel paese di origine.
2. Con il secondo motivo si lamenta violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, in relazione all’omesso riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, per avere erroneamente fatto riferimento, a tal fine, ai parametri della protezione sussidiaria.
Il motivo è inammissibile: esso non indica neppure quale situazione di vulnerabilità avrebbe dovuto esser ravvisata nel caso di specie, vulnerabilità che deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, esser relativa alla violazione di diritti umani fondamentali e che non resta integrata da condizioni di povertà o relative in generali al suo Paese d’origine (Cass. n. 4455 del 2018). Resta da aggiungere che l’esito del giudizio sul secondo motivo non cambia, alla luce delle nuove disposizioni del D.L. n. 113 del 2018, in quanto le stesse non assumono rilievo rispetto ai fatti dedotti a fondamento dell’originaria domanda di protezione umanitaria.
3. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile. Non va provveduto sulle spese in assenza di attività difensiva della parte intimata. Essendo il ricorrente stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non sussistono i presupposti per il versamento del doppio del contributo unificato.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, il 13 dicembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019