LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto – Consigliere –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 22686/18 proposto da:
Z.A., elettivamente domiciliato a Parma, str. Petrarca n. 20, presso l’avvocato Paolo Righini, che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno;
– intimato –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna del 15 gennaio 2018 n. 123;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 9 aprile 2019 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.
FATTI DI CAUSA
1. Nel 2015 Z.A., cittadino pakistano, chiese alla competente commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4 (la data della richiesta non è precisata nel ricorso per cassazione):
(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e segg.;
(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).
2. A fondamento dell’istanza dedusse che nel suo Paese era stato vittima di violenze ed aggressioni da parte di un potente personaggio locale, che intendeva impossessarsi del podere da lui coltivato; che per tale ragione i suoi familiari vennero picchiati e lui era rimasto vittima di vari agguati, commessi con l’intento di ucciderlo.
3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza con provvedimento del 14.7.2016.
Avverso tale provvedimento Z.A. propose ricorso dinanzi al Tribunale di Bologna, che la rigettò con ordinanza 10.4.2017.
4. L’ordinanza venne impugnata dal soccombente.
La Corte d’appello di Bologna, con sentenza 15.1.2018 n. 123 rigettò il gravame.
La Corte d’appello ritenne che:
– la persecuzione di cui il ricorrente dichiarava di essere stato vittima aveva ragioni economiche, e non legittimava la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 7;
– non vi era in Pakistan una situazione di violenza diffusa, e pertanto non ricorrevano i presupposti nemmeno per il riconoscimento della protezione sussidiaria, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14;
– non era stato dimostrato nella specie alcun “motivo umanitario” che giustificasse il rilascio del permesso di soggiorno D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6.
5. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da Z.A. con ricorso fondato su tre motivi ed illustrato da memoria.
Il Ministero dell’Interno non si è difeso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo il ricorrente lamenta sia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 4 e 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, commi 2 e 3.
Sostiene che la Corte d’appello:
-) ha errato nel ritenere imprecisa la ricostruzione dei fatti narrata dal ricorrente;
-) ha errato nel non approfondire l’istruttoria;
-) ha errato nel non dare peso all’indizio rappresentato dalle cicatrici presentate dal ricorrente;
-) ha omesso di esaminare i documenti depositati dal ricorrente, dimostrativi della grave situazione di conflitto esistente in Pakistan;
-) ha errato nel non interrogare personalmente il richiedente.
1.2. Il motivo non precisa contro quale statuizione della Corte d’appello esso sia rivolto: se contro la statuizione di rigetto della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato; se contro quella di rigetto della domanda di protezione sussidiaria; od infine contro quella di rigetto della domanda di permesso di soggiorno per motivi umanitari.
In ogni caso, se e nella parte in cui il primo motivo di ricorso fosse rivolto contro la statuizione di rigetto della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, esso sarebbe inammissibile per estraneità alla ratio decidendi.
La Corte d’appello ha infatti rigettato la suddetta domanda non per difetto di prova, ma sul presupposto che nel proprio Paese il ricorrente non fosse vittima di alcuna persecuzione per motivi di razza, religione, ecc., secondo quanto da lui stesso riferito. E tale ratio decidendi non viene in alcun modo impugnata.
1.3. Analoghe considerazioni varrebbero se il primo motivo di ricorso dovesse intendersi rivolto contro la statuizione di rigetto della domanda di protezione sussidiaria, per le ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. (a) e (b).
1.4. Se poi il primo motivo di ricorso dovesse intendersi rivolto contro la statuizione di rigetto della domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. (c), il motivo è inammissibile anche in questo caso per estraneità alla ratio decidendi.
La Corte d’appello, infatti, ha ritenuto – con accertamento che in questa sede non è stato impugnato – che il ricorrente avesse posto a fondamento della sua domanda non già il rischio di subire danni alla persona in conseguenza d’una situazione di violenza indiscriminata, ma soltanto il timore di subire estorsioni, e di non potere procurare una dote alle sorelle (così la sentenza d’appello, p. 5).
Sicchè la Corte d’appello, in difetto di allegazione da parte del ricorrente, correttamente si è astenuta dal disporre accertamenti istruttori anche officiosi in merito alla situazione sociopolitica del Pakistan, trattandosi di questione estranea al thema decidendum.
1.5. Se, infine, il primo motivo di ricorso lo si intendesse rivolto contro la statuizione di rigetto della domanda di rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, il motivo sarebbe inammissibile, per le medesime ragioni appena indicate al p. precedente.
1.6. Con riferimento a tutte e tre le statuizioni della Corte d’appello, la censura di omesso esame di documenti è inammissibile, in quanto il ricorrente, in violazione del precetto di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, non indica in modo puntuale quali documenti sarebbero stati trascurati, quando sarebbero stati prodotti, e quale ne fosse il contenuto, ad eccezione di un solo documento (parrebbe, un articolo giornalistico). Anche di questo unico documento, tuttavia, il ricorso non illustra la decisività, il che rende anche con riguardo a tale isolata censura il ricorso inammissibile, per difetto di specificità.
2. Le spese.
2.1. Non è luogo a provvedere sulle spese, attesa la indefensio della parte intimata.
2.2. La circostanza che il ricorrente sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato esclude l’obbligo del pagamento, da parte sua, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17), in virtù della prenotazione a debito prevista dal combinato disposto di cui agli artt. 11 e 131 del decreto sopra ricordato (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 9538 del 12/04/2017, Rv. 643826 – 01).
P.Q.M.
la Corte di Cassazione:
(-) rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 9 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019