LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 23099/18 proposto da:
-) M.S., elettivamente domiciliato a Faenza, via XX Settembre n. 29, presso l’avvocato Patrizia Bortoletto, che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
-) Ministero dell’Interno, elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ex lege;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna del 13 febbraio 2018 n. 448;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9 aprile 2019 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.
FATTI DI CAUSA
1. Nel 2015 M.S., cittadino *****, chiese alla competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:
(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;
(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).
2. A fondamento dell’istanza dedusse che i suoi genitori stipularono in ***** un mutuo usurario; che non avendo essi restituito il denaro, i loro creditori per vendetta annunciarono ai suoi genitori che l’avrebbero ucciso se fosse rientrato in *****.
3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza con provvedimento di cui il ricorso non indica la data.
Avverso tale provvedimento M.S. propose opposizione dinanzi al Tribunale di Bologna, che la rigettò con ordinanza 24.8.2016.
L’ordinanza venne impugnata dal soccombente.
4. La Corte d’appello di Bologna, con sentenza 13.2.2018 n. 448, rigettò il gravame.
La Corte d’appello ritenne che il racconto del ricorrente non fosse attendibile: sia perchè la versione dei fatti fornita dinanzi la Commissione territoriale fu diversa da quella fornita dinanzi al Tribunale (ove il ricorrente dichiarò, in sostanza, di essere un perseguitato politico); sia per la intrinseca inverosimiglianza di alcuni dei fatti narrati.
5. La sentenza è stata impugnata per cassazione da M.S. con ricorso fondato su due motivi.
Il ministero dell’interno ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8.
Nell’illustrazione del motivo si sostiene che la Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere “inveritiero”, senza alcuna “cooperazione istruttoria” ed alcun approfondimento, un racconto che invece si sarebbe dovuto reputare genuino.
1.2. Il motivo è inammissibile.
Lo stabilire, infatti, se la narrazione compiuta dal richiedente asilo, e relative alle circostanze poste a fondamento della domanda di protezione internazionale od il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, sia stata verosimile e credibile oppure no, non costituisce una valutazione di diritto, ma è un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità (Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 27503 del 30/10/2018, Rv. 651361 – 01).
Sindacabile in sede di legittimità, pertanto, potrebbe essere soltanto il metodo di giudizio applicato dal giudice di merito (ad esempio, per violazione dei precetti dettati dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8 in tema di ricerca e valutazione delle prove), ma non certo il merito del giudizio in sè riguardato, una volta che quei criteri siano stati osservati.
2. Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Col secondo motivo il ricorrente lamenta, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 2 e 32 Cost.; art. 24 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo; 11 del patto internazionale sui diritti civili e politici; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5.
L’illustrazione del motivo contiene varie censure, così riassumibili:
-) la Corte d’appello avrebbe omesso “ogni motivazione” sulla ritenuta insussistenza dei presupposti legittimanti la richiesta di protezione internazionale;
-) in ogni caso la Corte d’appello non ha compiuto alcun approfondimento istruttorio officioso circa la situazione oggettiva del paese di provenienza del richiedente asilo, accertamenti cui invece era tenuta anche in presenza di dichiarazioni inverosimili del richiedente;
-) la Corte d’appello ha errato nel rigettare la domanda di rilasci del permesso di soggiorno per motivi umanitari, cui invece l’odierno ricorrente avrebbe avuto diritto, in considerazione delle “condizioni di vita del tutto inadeguate ai parametri di benessere e di dignità umana cui si ispirano” le norme costituzionali ed internazionali cui l’Italia ha aderito.
2.2. Nella parte in cui lamenta la mancanza di motivazione, il motivo è manifestamente infondato. La Corte d’appello ha infatti indicato le ragioni di rigetto del gravame, ravvisate nella non credibilità 4;611a versione dei fatti fornita dal ricorrente.
2.3. Nella parte in cui lamenta il mancato esercizio, da parte della Corte d’appello, dei poteri officiosi per accertare le oggettive condizioni sociopolitiche del *****, il motivo è infondato.
Questa Corte, infatti, ha già ripetutamente affermato che il c.d. obbligo di “cooperazione istruttoria” da parte del giudice chiamato a decidere su una domanda di protezione internazionale viene meno, quando la domanda di protezione sia fondata sul D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7 o art. 14, lett. (a) o (b), e la versione dei fatti fornita dal richiedente asilo sia ritenuta non credibile (ex multis, Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16925 del 27/06/2018, Rv. 649697 – 01).
Con riferimento, invece, alla ricorrenza dei presupposti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. (c), per la concessione della protezione sussidiaria, in tal caso correttamente la Corte d’appello di è astenuta da qualsiasi approfondimento istruttorio, non risultando che il ricorrente abbia mai dedotto, a fondamento della propria richiesta di protezione, l’esistenza in ***** d’una situazione di violenza indiscriminata causata da conflitto armato.
2.4. Il motivo è altresì infondato nella parte in cui lamenta l’erroneità del rigetto della domanda di protezione c.d. umanitaria.
Questa Corte, infatti, ha già ripetutamente affermato che il permesso di soggiorno per motivi umanitari è una misura residuale ed atipica, che può essere accordata solo a coloro che, se facessero ritorno nel Paese di origine, si troverebbero in una situazione di vulnerabilità strettamente connessa al proprio vissuto personale. Se così non fosse, il permesso di soggiorno per motivi umanitari, misura “personalizzata” e concreta, finirebbe per essere accordato non già sulla base delle specificità del caso concreto, ma sulla base delle condizioni generali del Paese d’origine del richiedente, in termini del tutto generali ed astratti, ed in violazione della ratio e della lettera della legge (Sez. 1 -, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01).
Per quanto attiene, infine, alla deduzione dell’avvenuto inserimento lavorativo nel nostro Paese del richiedente, tale circostanza è da sola giuridicamente irrilevante ai fini della concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, in assenza di una situazione di vulnerabilità che, per quanto detto, deve dipendere dal rischio di subire nel Paese d’origine una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili (che nel caso di specie è stata solo genericamente dedotta), condizione che non può ravvisarsi nel mero rischio di regressione a condizioni economiche meno favorevoli.
3. Le spese.
3.1. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.
Poichè la parte vittoriosa è un’amministrazione dello Stato, nei confronti della quale vige il sistema della prenotazione a debito dell’imposta di bollo dovuta sugli atti giudiziari e dei diritti di cancelleria e di ufficiale giudiziario, la condanna alla rifusione delle spese vive deve essere limitata al rimborso delle spese prenotate a debito, come già ritenuto più volte da questa Corte (ex anis, Sez. 3, Sentenza n. 5028 del 18/04/2000, Rv. 535811).
3.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).
PQM
la Corte di cassazione:
(-) rigetta il ricorso;
(-) condanna M.S. alla rifusione in favore di Ministero dell’interno delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.100, oltre rifusione delle spese prenotate a debito, I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;
(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di M.S. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile della Corte di cassazione, il 9 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019